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Bill Bryson – Breve storia di (quasi) tutto (trad. di Mario Fillioley, TEA 2003)
Bill Bryson, con brillante ironia e una serie incredibile di informazioni, racconta e commenta le vicende di un numero impressionante di personaggi scientifici, alcuni dei quali famosi, altri perfetti sconosciuti che, essendo vissuti “all’ombra dei giganti” (e non sulle loro “spalle”), e non riuscendo a pubblicare le loro opere perché preceduti da qualcun altro, non avranno mai l’onore di essere menzionati in un libro di testo di scienze!
Nell’introduzione Bryson scrive:
«In momenti diversi, negli ultimi 3,8 miliardi di anni dapprima abbiamo aborrito l’ossigeno e poi l’abbiamo amato alla follia; ci siamo fatti spuntare ali, pinne ed eleganti vele dorsali; abbiamo depositato uova e falciato l’aria con lingue biforcute; siamo stati lisci o pelosi, abbiamo vissuto sottoterra e sugli alberi; siamo stati grandi come cervi e piccoli come topi, e milioni di altre cose ancora. Una minima deviazione da ciascuno di questi processi evolutivi e adesso ci ritroveremmo a leccare alghe dalle pareti di una grotta, a ciondolare su una riva rocciosa alla maniera dei trichechi o ancora a sfiatare da un’apertura sopra la testa prima di immergerci a diciotto metri di profondità per concederci un boccone di quei deliziosi vermi che vivono affondati nella sabbia» (pag. 11).
Nella prima parte del libro, Persi nel cosmo, Bryson parla dell’evoluzione del modello del Big Bang. Cita Alan Guth che nel suo The Infationary Universe «paragona il centesimo piano dell’Empire State Building al tempo presente e il Big Bang al livello stradale: le galassie più distanti si trovano al sessantesimo piano, i quasar al ventesimo. Dopo la scoperta di Penzias e Wilson la nostra conoscenza si spinge fino a mezzo millimetro dal piano terra» (pag. 22).
Quando Arno Penzias e Robert Wilson si imbatterono nella radiazione cosmica di fondo, non pensavano di aver «scoperto il bordo dell’universo» e di «“vedere” i primi fotoni, sebbene il tempo e la distanza li avessero trasformati in microonde». Anzi, credevano che il “fastidioso rumore” provenisse da qualche difetto dell’antenna per le comunicazioni che stavano utilizzando. Cercarono di pulire a fondo l’antenna, togliendo «anche quello che un articolo (che uscì qualche tempo dopo) definì “materiale bianco dielettrico”, altrimenti noto come cacca di uccello». Ma il rumore non poteva andare via perché, secondo una metafora ormai abusata, stavano ascoltando la “eco del Big Bang”!
Ancora ignari della fonte del rumore, Penzias e Wilson telefonarono a Princeton e descrissero a Dicke il problema […] Dicke si rese subito conto di quello che i due giovanotti avevano scoperto. Bene ragazzi, disse ai suoi colleghi mentre riagganciava, ci hanno battuti sul tempo».
L’Astrophysical Journal pubblicò sia l’articolo di Penzias e Wilson sia quello di Robert Dicke che spiegava la natura della scoperta: «Dicke fu battuto sul tempo».
La seconda parte del libro, Le dimensioni della Terra, si apre (pag. 53) con l’Epitaffio per Sir Isaac Newton scritto da Alexander Pope:
«Nature and nature's laws lay hid in night; God said: Let Newton be!, and all was light» (La natura e le sue leggi erano sepolte nella notte; Dio disse: che Newton sia! E fu luce ovunque.)
In realtà sulla tomba di Newton fu inciso un altro epitaffio: «Sibi gratulentur mortales tale tantumque exstitisse humani generis decus» (Si rallegrino i mortali perché è esistito un tale e così grande onore del genere umano).
Bryson racconta (pag. 59-60) il resoconto del confidente di Newton, Abraham de Moivre, secondo cui Newton «nel 1684 ricevette la visita del dottor Halley», il quale cominciò a tempestarlo di domande su quale potesse essere la «curva descritta dai pianeti». La risposta di Newton fu immediata: la curva era un’ellisse (come Keplero aveva già dimostrato). Halley gli chiese come lo sapesse. «Ma perché l’ho calcolato; al che il dottor Halley gli chiese di mostrargli i suoi calcoli; Sir Isaac cercò tra le sue carte, ma non riuscì a trovarle. Pressato da Halley, Newton accettò di rifare i calcoli e di trarne uno scritto. Mantenne la promessa spingendosi oltre. Si ritirò per due anni di intensa riflessione emergendo alla fine col suo capolavoro: Philosophiae naturalis principia mathematica, meglio noto come i Principia».
«Prossimo agli dei, inaccessibile ai mortali», sentenziò Halley. Perfino Gottfried Liebniz, con cui Newton ebbe una lunga e amara contesa circa la priorità nell’invenzione del calcolo infinitesimale, riconobbe il suo contributo».
«Quanto alla gravitazionale universale – scrive Bryson (pag. 60-61) – potrà sembrare assurdo che qualunque cosa facciate il vostro piccolo campo gravitazionale attrae pareti, soffitto, lampadario, il gatto, e tutto il resto attrae voi: un paio di piccole moltiplicazioni e una divisione».
EdMax