Creato da giovannydelprete il 07/01/2009

FIDELIS

SOCIETA' E COMUNICAZIONE

AREA PERSONALE

 

TAG

 

ARCHIVIO MESSAGGI

 
 << Agosto 2024 >> 
 
LuMaMeGiVeSaDo
 
      1 2 3 4
5 6 7 8 9 10 11
12 13 14 15 16 17 18
19 20 21 22 23 24 25
26 27 28 29 30 31  
 
 

FACEBOOK

 
 

 

« Messaggio #25Messaggio #27 »

Post N° 26

Post n°26 pubblicato il 08 Gennaio 2009 da giovannydelprete

SOGNI DI
GLORIA.
Nell'autunno del 1935 il dispositivo italiano
conta in Eritrea 110.000 italiani e 53.000 indigeni, 35.000
quadrupedi, 4.200 mitragliatrici, 580 cannoni, 112 carri
armati, 3.700 automezzi e 126 aerei; in Somalia le forze sono
inferiori: 24.000 italiani e 30.000 indigeni, 8.000
quadrupedi, 1.600 mitragliatrici, 117 cannoni, 45 carri
armati, 1.850 automezzi e 38 aerei. Pronti per l'ultima guerra
coloniale del XX secolo.

A fronteggiare l'aggressione
fascista sono mobilitabili non meno di 300.000 soldati etiopici, ma
non sono inquadrati in moderne unità. E' ancora un esercito di tipo
feudale, praticamente lo stesso che ha sconfitto Baratieri ad Adua
nel 1896. Hailé Selassié, vista l'imminenza della guerra, ha fatto
ricorso al mercato internazionale degli armamenti acquistando (da
ditte cecoslovacche, danesi, francesi e svizzere) 16.000 fucili,
600 mitragliatrici, alcuni pezzi d'artiglieria (soprattutto
contraerea) e 10 milioni di cartucce. Una goccia rispetto agli
imponenti mezzi messi in campo da Mussolini. Certo le truppe sono
motivatissime e conoscono bene il terreno, possono anche disporre
di micidiali pallottole esplosive dum-dum, vietate dalla
convenzione di Ginevra, ma tutto questo non varrà a niente quando
gli italiani ricorreranno ai non meno vietati gas asfissianti.
Centinaia di combattenti abissini verranno sfigurati dall'iprite
lanciata dall'aeronautica fascista.


Il 2 ottobre 1935 scatta l'attacco
con l'attraversamento del confine segnato dal fiume Mareb. La
Società delle Nazioni, già minata nella credibilità da numerosi
scacchi internazionali, non può che condannare l'aggressione e il
18 novembre vota dure sanzioni economiche.


il generale Pietro Badoglio, comandante delle forze in Africa Orientale.Carbone e
petrolio non figurano nella lista degli articoli embargati e
l'URSS non si fa pregare nel rispettare il suo trattato
economico con l'Italia fornendo spregiudicatamente le materie
prime necessarie alla guerra imperialista; la marina
mercantile degli Stati Uniti non è vincolata giuridicamente
dalla decisione dell'organismo internazionale e la Germania
ignora l'embargo.


Mussolini organizza imponenti
manifestazioni contro le sanzioni dipingendo ai suoi sudditi
un'Italia ingiustamente strangolata dalle nazioni plutocratiche.
Viene proclamata l'autarchia economica per ridurre la dipendenza
dalle importazioni, con il ricorso a surrogati di ogni genere (per
esempio, lana di caseina e caffè di cicoria) e al riciclaggio di
tutti i rottami metallici.

Il culmine dell'esaltazione di massa viene raggiunto con la
pubblica raccolta delle fedi nuziali per sostenere le riserve auree
della nazione.


L'ondata di nazionalismo acceca
anche dissidenti come Vittorio Emanuele Orlando, Arturo Labriola,
Benedetto Croce e Luigi Albertini,La Chiesa cattolica, pur
trattandosi di una guerra contro cristiani copti scatenata da un
dittatore proclamatosi per l'occasione difensore dell'Islam,
sceglie un diplomatico silenzio. In un disperato e indecente sforzo
di evitare la guerra nel dicembre 1936 viene presentato il piano
Hoare-Laval che consiste nel cedere all'Italia gran parte
dell'Etiopia (Ogaden, Tigrai, Dancalia), conservando l'indipendenza
al resto del Paese. E' nel continente nero che si svolge la prova
generale del vergognoso accordo di Monaco a spese della
Cecoslovacchia, ma nessuno se ne accorge. Eppure l'Italia virile
vuole una gloriosa guerra contro i barbari abissini.


aerei italiani bombardano le truppe abissine.Hitler non
partecipa alla grande finzione. Esporta merci embargate verso
Roma. mostra di dimenticare le divergenze con Mussolini
sull'Austria e si prepara ad incassare il suo credito. Il 7
marzo 1936 tre miseri battaglioni tedeschi rimilitarizzano la
Renania senza colpo ferire. Francia e Gran Bretagna non si
avvedono che è stato così scardinato l'intero equilibrio
europeo.


Tre corpi d'armata dall'Eritrea
penetrano vigorosamente in terra abissina. Il primo ha come
obiettivo Adigrat, il secondo Entisciò e il terzo puntò
direttamente su Adua. Il 5 ottobre cade Adua e l'8 novembre viene
presa Makallè. L'emozione in Italia è grande e per l'occasione
viene lanciata la canzone "Adua è liberata". I carabinieri
penetrano in queste città insieme ai reparti dell'84° e del 60°
reggimento fanteria.


Contemporaneamente dalla Somalia
avanza su due direttrici (Dolo, Filtù, Neghelli, Madarà da un lato
e Scebeli, Ogaden, Harar, Dire Daua dall'altro) il corpo d'armata
misto agli ordini di Rodolfo Graziani, il pacificatore della Libia.
Alla fine di novembre De Bene viene opportunamente promosso per far
posto a un professionista della guerra come il generale Pietro
Badoglio, I Carabinieri Reali sono coinvolti presto in aspri
combattimenti. Il 15 dicembre l'armata abissina, al comando del
valoroso ras Immirù, tenta una manovra per attaccare l'Eritrea
guadando il fiume Tacazzè e risalendo verso la zona di Selaclacà.
In zona sono state costituite da poco quattro bande di irregolari
agli ordini del maggiore dei Carabinieri Giuseppe Contadini. Una di
queste, la banda Cohain (denominazione ricevuta dalla zona di
reclutamento) guidata dal carabiniere Domenico Palazzo e al comando
del brigadiere Silvio Meloni riceve l'ordine di effettuare una
ricognizione insieme al 27° battaglione eritreo nella zona di Adì
Chiltè o Adì Abò. Vengono affrontati da superiori forze abissine
alle quali tengono testa per otto ore, fino a quando i superstiti
riescono a rompere l'accerchiamento.


il carabiniere Vittoriano Cimmarrusti, medaglia d'oro a Gunu Gadu.Meloni e Palazzo
vengono feriti e catturati, ma mantengono un comportamento
dignitoso e valoroso che impone il rispetto ai vincitori,
meritando la medaglia d'argento. Il brigadiere Giovanni
Amorelli cade solo dopo essere stato ferito tre volte nel
generoso tentativo di riannodare i contatti con il battaglione
eritreo, mentre il suo collega Angelo Alaimo cade alla testa
dei suoi irregolari mentre si lancia al contrattacco (due
medaglie d'argento alla memoria).


Anche gli indigeni si comportano con
grande valore. Il bilancio delle perdite è di 28 fra morti e
dispersi e 19 feriti. Non vi sono medaglie per loro in questa
sfortunata azione.


BATTAGLIA PER IL PASSO
UARIEU.
Vista stroncata l'offensiva contro l'Eritrea, gli
abissini si asserragliano nell'aspra regione del Tembien agli
ordini dei ras Cassa e Semin e del degiac Mulughietà. Sono in
20.000, occupano posizioni favorevoli e hanno giurato di tenere
fino all'ultimo la zona, feudo personale del ras Seium. Tra di loro
vi sono moltissimi combattenti scioani ed amhara, giustamente
famosi per il loro valore, ritenuti invincibili dalle truppe di
colore degli invasori. Poiché conoscono perfettamente la regione e
godono di una buona mobilità tattica, gli abissini non hanno alcuna
intenzione di resistere passivamente, ma mirano a infiltrarsi nella
regione tra Makallè e Adua per colpire il fianco italiano. Badoglio
previene la manovra attaccando per primo a Zaban Chercatà il 20
gennaio 1936, ma gli abissini sferrano un attacco poderoso contro
il passo Uarieu, la porta del Tembien. Per quattro giorni la
situazione è critica fino a quando l'aeronautica e rinforzi del 24°
battaglione eritreo non spezzano l'assedio. Alla resistenza
vittoriosa partecipano le sezioni 302ª, 312ª e 391ª a cavallo dei
carabinieri.


Dal diario del capitano Aldo
Pucciani, capitano della 391ª sezione a cavallo: «Ore 9,45 ( ... )
Una frazione nemica, evitata la colonna eritrea attaccante, ci
sbarra il passo. Il comando di corpo d'armata prende posizione su
un'amba mentre noi carabinieri e zaptié ci schieriamo in formazione
di combattimento a fondo valle, dove il terreno permette l'uso del
cavallo. Si accende la battaglia. Gli abissini, oltre 2.000,
asserragliati nel paese di Mekenò, aprono un fuoco micidiale con
pallottole esplosive e si lanciano quindi in puntate offensive,
specialmente sulla destra attraverso il letto del torrente Aini,
allo scopo di effettuare l'avvolgimento delle salmerie e del
comando. ( ... ) I carabinieri a cavallo, con celere manovra, si
spiegano per proteggere la posizione tenendosi pronti alla carica
qualora il nemico si presenti nella breve spianata, mentre una
squadra, col comandante la sezione, forte di 20 cavalieri e armata
di mitragliatrici, si lancia verso il burrone. Gli abissini aprono
un fuoco intenso, ma i cavalieri, superato il terreno battuto dalle
raffiche avversarie, raggiungono di balzo il ciglio del burrone,
dove regolari in tenuta kaki e amhara in futa, armati di lunghi
kuradè (scimitarre), si scagliano furibondi all'attacco. I nostri,
però, li affrontano imperterriti».


E una guerra che, nell'orrore,
rivela aspetti fantastici e fiabeschi. Insieme al crepitio delle
armi automatiche e agli scoppi delle dum-dum, i sensi sono
frastornati dal balenare delle baionette e delle scimitarre.
Rotolano a terra fregi tribali di piume ed elmetti coloniali color
kaki. Da una parte squillano le trombe alla carica, dall'altra
risponde l'acuto suono del negarit abissino.


Un anonimo degiac dalla barbetta a
pizzo, in sella a un muletto bianco, mentre esorta i suoi amhara
all'attacco, viene disarcionato da una pallottola vagante. Il caldo
è insopportabile e non tira un alito di vento, ma la spietata
fatica della battaglia non arresta l'ardore degli uomini. Sono
passate quasi 6 ore e i contendenti sono ancora avvinghiati in un
stretta mortale intorno alle salmerie.


combattimento fra le truppe italiane e la guardia imperiale etiopica a Mai Ceu.«Sono le 15: il
capitano dell'Arma, presi gli ordini dal comandante il corpo
d'armata, organizza un reparto d'assalto: carabinieri e zaptié
con mitragliatrici leggere, preceduti e guidati
dall'ufficiale, si lanciano in avanti, divorano il breve
pianoro, si accrescono dei valorosi difensori del burrone e
piombano sulla sinistra nemica. La lotta si ravviva
accanitamente in un corpo a corpo furibonda ove gli abissini
rivelano tutto il loro istinto sanguinario e guerriero».


Il diario del capitano Pucciani, nel
sobrio pudore dello stile militare, non spiega che cosa sia un
corpo a corpo. Come in una rissa improvvisa i colpi grandinano da
ogni parte, budella fuoriescono dalla voragine creata da una
baionettata, una sciabola trancia un braccio, le ossa scricchiolano
per il fendente del calcio di un fucile. Ovunque urla di terrore,
ferocia e morte, che coprono il rantolo dei moribondi e l'ansimare
di chi è ancora vivo.


Alla fine sotto le scariche
implacabili dei carabinieri, gli abissini ondeggiano e si danno
alla fuga. Quattro medaglie e undici croci al valore sono la
testimonianza del prezzo del valore pagato dai carabinieri e dagli
zaptié in quella sanguinosa e terribile giornata. Sul campo restano
i corpi di 400 etiopi.


Ma la guerra non è soltanto sangue e
coraggio: è anche sudore e olio di gomiti. La vastità e la natura
selvaggia del teatro di guerra richiedono un'intendenza capace di
mantenere le sue promesse di efficiente supporto logistico per le
truppe di prima linea. I carabinieri sono lì, nelle retrovie, per
proteggere il flusso vitale e vulnerabile dei rifornimenti dalle
frequenti infiltrazioni nemiche, mantenere l'ordine e raccogliere
informazioni, Sorge così il comando Carabinieri d'intendenza e
l'ispettorato delle retrovie con undici sezioni.


Dalla seconda metà del maggio 1935
l'opera infaticabile di questi organizzatori si rivela
determinante. C'è tanto da fare: disciplinare le operazioni di
scarico a Massaua; sorvegliare la manovalanza indigena e
metropolitana; custodire magazzini e ammassi; dirigere e regolare
in senso alterno le autocolonne sulla congestionatissima
Massaia-Asmara; proteggere la linea ferroviaria dell'Asmara;
controllare gli operai in afflusso dalla madre patria e contribuire
alla formazione della rete di servizi di polizia militare nella
colonia.


Soprattutto la disciplina dei
movimenti si rivela un compito faticoso. e ingrato non solo perché
bisogna operare lontani dai propri reparti e spesso senza un
adeguato cambio tra un ciclo ed un altro, ma perché bisogna
mantenersi fermi e cortesi per far rispettare le regole della
circolazione a tutti, anche a chi pretende un trattamento diverso,
accampando urgenze particolari. Il risultato di questo lavoro
oscuro, ma determinante, è rappresentato dal movimento regolare
lungo le arterie logistiche, senza quegli ingorghi da incubo che
costano tempo, ritardi e, in definitiva, vite umane al fronte.


carabinieri mitraglieri impegnati nell'avanzata sull'Adì Abá.A volte si
verificano anche gli imprevisti come, per esempio, quando in
un nucleo di carabinieri dell'intendenza viene a conoscenza di
un'infiltrazione di un forte gruppo di abissini comandati da
un casmagnac di ras Seium. La marcia fino alla zona di Enda
Medani Alem è estremamente dura, il terreno sconosciuto ed
insidioso, ma la tenacia viene ricompensata. Dopo un'ora di
combattimento gli abissini sono volti in fuga ed il loro
casmagnac catturato. A due prodi sottufficiali e a un milite
dell'Arma viene conferita la medaglia al valore sul campo.


Se sul fronte settentrionale le
operazioni non sono facili, a sud (sul fronte somalo) il semplice
fatto di eseguire una comune avanzata è, di per sé, un'impresa
eroica. Le zone di sbarco delle truppe sono lontane dal confine
somalo-etiopico e ancor più lontani sono gli obiettivi
dell'avanzata.


Il generale Graziani, quando si
rende conto di avere a disposizione appena un centinaio di mezzi,
si impegna in un serio sforzo di lobby burocratico-militare.
All'apertura delle ostilità gli automezzi sono diventati 1.800, ma
Graziani sa che deve battere il ferro finché è caldo e ai primi del
1936 totalizza 3.400 veicoli, che cresceranno ancora fino alla
ragguardevole somma di 5.300 mezzi. Se la Fiat non riesce a fornire
gli automezzi nella quantità richiesta, Graziani (dimenticando le
regole dell'autarchia) ricorre ai mezzi delle americane Dodge e
Ford, che costituiscono gran parte del suo autoparco. Il generale
si dà anche da fare per avere unità adatte a combattere su un
fronte cosi duro, sollecitando oltre alla divisione Peloritana
anche l'invio della divisione coloniale Libia e di bande
autocarrate di carabinieri.


I suoi avversari non sono da
sottovalutare. Essi dispongono nella zona di truppe relativamente
ben inquadrate e ben addestrate, agli ordini di comandanti
piuttosto giovani, quindi pieni di ardore e di iniziativa, e
affiancati da consiglieri militari stranieri. La figura di
comandante di maggior spicco è il ras Destà Damtù, che ha una
quarantina d'anni, è un personaggio di primo piano nell'impero
etiopico, buon conoscitore dell'Europa e delle sue complesse
questioni. Anche l'Italia non gli è sconosciuta perché ha
partecipato a una missione diplomatica con il ras Maconnen e ha
visitato anche l'Asmara.


Nella sua opera di comando è
affiancato dal suo coetaneo degiac Nasibù Zamanuel, che ha
ricoperto l'incarico di console all'Asmara e per qualche tempo è
stato addetto alla missione etiopica a Roma. Esponente di spicco
del movimento nazionalista dei Giovani Etiopi, conosce molto bene
le lingue italiana e francese.


le truppe in Eritrea di ritorno dagli estremi confini dell'Impero (Domenica del Corriere).La primissima
operazione effettuata dagli italiani in Somalia ha luogo ai
primi di novembre e consiste in un'offensiva di rettifica del
fronte nell'Ogaden per conquistare migliori posizioni
d'attacco. Cadono le località strategiche di Goharrei,
Gabredarre e Hamanlei, nomi che torneranno quando si
svilupperà lo sforzo offensivo finale delle truppe italiane
con alla testa proprio i Carabinieri.


Nel gennaio 1936 si svolge la
battaglia di Ganale Doria, una ben coordinata puntata offensiva nel
settore ovest del fronte somalo. La colonna centrale, agli ordini
del colonnello Martini, si scontra con la disperata resistenza
delle truppe etiopiche lungo l'importante camionabile che congiunge
Dolo a Neghelli. All'uadi Dei Dei gli etiopici riescono a tenere in
scacco per due lunghi giorni la colonna Martini e solo dopo
combattimenti furiosi le truppe di ras Destà vengono volte in
rotta. Anche se la via per Neghelli è aperta, continuano feroci
scontri sino alla fine, quando le truppe italiane sconfiggono
definitivamente il nemico catturando un enorme bottino di armi,
munizioni e vettovaglie.


Subito dopo, il 28 gennaio, si apre
la seconda fase delle operazioni che vede il generale Bergonzoli
impegnato in operazioni di grande polizia, cioè di lotta
antiguerriglia, lungo la direttrice di Mega. La colonna autocarrata
è composta da una squadriglia di autoblindo, un gruppo squadroni a
cavallo e un battaglione di ascari somali. La colonna ha già alle
spalle sei combattimenti in quattro giorni su strade che le memorie
ufficiali non esitano a definire di carattere biblico. L'obiettivo
dei pozzi di Ueb è faticosamente raggiunto a circa sessanta
chilometri da Mega e la colonna è pronta secondo gli ordini
ricevuti a rientrare finalmente alle linee di partenza. Per inciso,
è interessante notare che la direttrice operativa è stata coperta
con una media di 10 chilometri al giorno, un segno evidente delle
asperità del terreno e del peso dei combattimenti.


Gli abissini hanno in serbo un colpo
di coda per gli invasori. Sulla via del ritorno, in una zona
particolarmente accidentata, scatta un'imboscata che falcia con il
fuoco gli elementi avanzati dei plotoni dell'Aosta. Alla testa del
reparto, il capitano De Rege si rende subito conto della minaccia
di un'infiltrazione avvolgente dei guerriglieri etiopi e non esita
a superare le posizioni avversarie per scongiurare
l'accerchiamento. Il tiro preciso degli abissini e la loro velocità
di movimento lo falciano alle spalle durante uno scontro selvaggio
e disperato. E' un momento critico. Il brigadiere Salvatore
Pietrocola capisce che deve compiere un gesto che sia d'esempio per
i commilitoni. Si slancia in una corsa folle verso il nemico,
supera le sue stesse pattuglie avanzate, combattendo in preda ad un
furore primordiale. Una pallottola gli spezza una gamba, un'altra
gli perfora il torace, eppure il brigadiere riesce ancora a
lanciare le sue bombe a mano contro il nemico, per cadere poi a
terra accanto al corpo del suo comandante.


Il generale Bergonzoli, testimone
della scena, propone la medaglia d'oro per l'eroico brigadiere.


La guerra non è ancora finita e i
Carabinieri scriveranno altre pagine di valore in questa guerra pur
ingiusta e sciagurata. Fedeli alla consegna, non sanno che non sarà
l'ultima e molti di loro faranno appena a tempo ad abbracciare i
loro cari prima di partire di nuovo per le aride terre della
Spagna.

 
 
 
Vai alla Home Page del blog

CERCA IN QUESTO BLOG

  Trova
 

ULTIME VISITE AL BLOG

legionealdomie08decarolistefanopeppe061973m.matalunoba_facacciatorefranco66casale.valterziogiovanni65f.galessimarualdozimra2andreabilliasecondobaninogiuseppingra
 

CHI PUò SCRIVERE SUL BLOG

Solo l'autore può pubblicare messaggi in questo Blog e tutti gli utenti registrati possono pubblicare commenti.
I messaggi e i commenti sono moderati dall'autore del blog, verranno verificati e pubblicati a sua discrezione.
 
RSS (Really simple syndication) Feed Atom
 
 
 
 

© Italiaonline S.p.A. 2024Direzione e coordinamento di Libero Acquisition S.á r.l.P. IVA 03970540963