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Post N° 41

Post n°41 pubblicato il 08 Gennaio 2009 da giovannydelprete


Il terrore in Alto
Adige



Non sempre la terra delle mele
renette, dei picchi innevati, delle case fiorite di vivaci gerani e
del turismo di montagna è stata così tranquilla, ordinata e
prospera come è attualmente. L'Alto Adige, o S?dtirol secondo la
denominazione tedescofona, è stata una zona di grandi inquietudini
e di persistente terrorismo etnico per undici anni. La terra
tirolese era stata annessa all'Italia all'indomani della vittoria
nella Grande Guerra. Si era accettato un confine strategico al
prezzo di includere una popolazione che era legata da molti secoli
agli Asburgo e senza tener conto del diritto all'autodeterminazione
proclamato solennemente dopo il crollo dell'impero austroungarico.
pattuglia carabinieri ntiterrorismo in Alto AdigeLa relativa quiete tra le due
guerre fu turbata dalla politica di italianizzazione forzata voluta
dal fascismo. Proibiti lingua e nomi tedeschi, favorita
l'immigrazione di funzionari di provata fede italiana. Questa
politica venne rovesciata dopo l' settembre quando tutto il
Trentino-Alto Adige e buona parte del Triveneto vennero inglobati
nel protettorato nazista del Territorio Costiero Adriatico.
L'elemento italiano pagò duramente le conseguenze della nuova
situazione politica e il dopoguerra fu avvelenato dalle divisioni e
dagli odi recenti.


A tutela degli interessi della
minoranza tedesca si costituì VSVP (Sudtiroler
Volkspartei
), nel cui interno quale allignavano frange
estremiste che approfittavano della polarizzazione tra italiani e
tedeschi e della mancata applicazione dell'accordo italo-austriaco
De Casperi-Gruber (settembre 1946) sulla questione altoatesina.
Posti sotto pressione, gli italiani reagirono appoggiando spesso le
formazioni politiche più nazionaliste e conservatrici dell'arco
parlamentare. In Austria gruppi di ultranazionalisti, tacitamente
tollerati dalle autorità locali, fornirono santuari ed appoggi
logistici ai movimenti terroristici altoatesini. Il primo attentato
fu compiuto il 6 ottobre 1956 a Bolzano. Una carica esplosiva venne
piazzata presso una porta dell'oratorio Don Bosco, un ritrovo
abituale dei giovani italiani che il giorno successivo avrebbe
dovuto ospitare il congresso provinciale della DC. Da allora fu uno
stillicidio di bombe contro caserme (attaccate come le basi di un
esercito d'occupazione), tralicci e rotaie. La regione si avvitò in
una tragica spirale terroristica ed una densa cappa di paura
avvolse le vallate. Il culmine della campagna terroristica si ebbe
nella cosiddetta notte dei fuochi. Nella notte fra l'11 e il 12
giugno è tradizione che si svolga una processione conclusa da un
falò in onore del Sacro Cuore di Gesù: nel 1961 questa festa si
trasformò nella celebrazione dell'odio.


La prima esplosione si ebbe al
centro di Bolzano dieci minuti dopo l'una di notte, seguita da una
serie ininterrotta di altre deflagrazioni in periferia e nelle
vallate vicine. L'obbiettivo principale della dimostrazione di
forza del movimento terrorista furono i tralicci della luce: in due
ore ne vennero abbattuti a decine. Le cariche (di due chili di
plastico ciascuna) danneggiarono anche ponti, binari e condotte
forzate, costringendo al blocco delle attività gli stabilimenti del
capoluogo e interrompendo rotabili di importanza nazionale. Nel
corso della mattinata venne trovata nella zona di Merano una carica
di dinamite destinata a distruggere un cavalcavia. Anche la diga di
Selva dei Molini avrebbe dovuto saltare in aria con il brillamento
di mezzo quintale di dinamite e di una grossa mina. I militari
dell'Arma fecero a tempo a disinnescarla, mentre un loro collega
con grande coraggio staccò un pacchetto di plastico da un traliccio
e lo lanciò lontano prima che esplodesse.


La notte dei fuochi non fu uno
scoppio di violenza improvvisa: fu un'operazione scientifica che
impiegò almeno 200 elementi. L'esplosivo non era normale polvere da
mina. Era plastico, un mezzo impiegato da professionisti, di
difficile reperibilità. La sua consistenza è quella della
plastilina, può essere tagliato, pressato, manipolato senza
problemi, è resistente all'acqua ed al caldo e aderisce
perfettamente all'oggetto da distruggere. Solo con un detonatore il
plastico diventa mortale. La reazione delle forze dell'ordine,
passate le incertezze e le sottovalutazioni iniziali, fu dura.
Carabinieri e Polizia furono impegnati in costanti pattugliamenti,
mentre l'Esercito veniva utilizzato per tentare di sigillare i
passi montani attraverso i quali si infiltravano armi e
terroristi.


Nel 1962-63 gli estremisti
altoatesini compirono incursioni anche nel resto dell'Italia, con
attentati a Corno, Domodossola, Rimini, Rovereto, Roma, Verona e
altre località. Dal 1960 il governo aveva deciso di gettare nella
mischia anche la sezione controspionaggio del SIFAR (Servizio
Informazioni Forze Armate) con risultati iniziali non molto
incoraggianti a causa dello scarso coordinamento con gli altri
organi informativi delle forze di polizia e militari. I Carabinieri
distaccati presso quel servizio condivisero tutte le frustrazioni
di una concorrenza inutile e dannosa. Nel frattempo la lotta si
incrudeliva, provocando le prime vittime. Il 3 settembre 1964 cadde
in un'imboscata a Selva dei Molini un carabiniere, Vittorio
Tiralongo. Sei giorni dopo un sottufficiale e quattro militi furono
feriti gravemente sulla strada Rasun-Anterselva. Solo
ventiquattr'ore più tardi la stessa sorte toccò a un altro
milite.


Al fianco dei commilitoni in divisa
operavano dietro le quinte i colleghi dei SIFAR. Silenziosamente
venne istituito un centro di controspionaggio a Bolzano, guidato
dal maggiore Pignatelli, dipendente dal colonnello Monico
responsabile per tutto l'Alto Adige. A una guerriglia che operava
con sistemi non convenzionali, si rispose con mezzi altrettanto
spicciativi. Durante tutto il 1963 divamparono le polemiche,
talvolta scatenate da fiancheggiatori dei terroristi, sui presunti
metodi sbrigativi delle forze dell'ordine, sull'uso di agenti
provocatori in Italia ed all'estero, sulla presunta responsabilità
per una serie di attentati di ritorsione avvenuti in Austria. Una
delle mosse vincenti compiuta in quel periodo fu rappresentata da
un accordo stipulato nel 1964 con i servizi austriaci per sollevare
le coperture di cui godevano i fuoriusciti tirolesi.


GLI ULTIMI COLPI Di CODA. Gli
estremisti (che probabilmente miravano a ripetere le gesta del
patriota Andreas Hofer contro gli occupanti napoleonici)
replicarono brutalmente alzando il livello dello scontro. Il 26
agosto 1965 attaccarono la caserma dei CC a Sesto Pusteria. Non si
trattò di un attacco in piena regola, ma di una scorribanda
rapidissima: dalla finestra della cucina arrivò una gragnola di
piombo. Il carabiniere Palmicri Ariu venne fulminato sulla porta
della cucina ed il carabiniere Luigi De Gennaro spirò all'ospedale
di San Candido-Innichen. Due mitra avevano sparato 33 colpi a una
distanza di 3 metri dalla fatale finestra.


Dalle indagini condotte dalla
legione di Bolzano emersero pesanti sospetti a carico di quattro
fuoriusciti, già ritenuti responsabili della morte di un altro
carabiniere. L'allora presidente del consiglio, Aldo Moro, rese
omaggio ai due caduti. Fu probabilmente questo tragico episodio a
decidere le sorti della campagna antiterroristica. Un anno dopo
venne stabilito uno stretto coordinamento tra il SIFAR e gli
analoghi servizi informativi e di polizia. I frutti non si fecero
attendere: la rete di sorveglianza divenne sempre più stretta e le
complicità intorno ai terroristi si smagliarono gradualmente. A
livello politico si cominciò a mettere insieme quel pacchetto di
provvedimenti a tutela della minoranza tedesca (pacchetto Moro) che
avrebbe privato il movimento separatista di qualunque sostegno
politico (anche da Vienna), aprendo un periodo di tranquillità e di
pace nella regione sconvolta.


Ma prima di arrivare a questo esito
altri carabinieri caddero vittime della guerriglia. La notte del 25
giugno 1967 saltò l'ennesimo traliccio, provocando la morte
dell'alpino Armando Piva. Una squadra fu chiamata sul posto per la
necessaria opera di bonifica della zona circostante. La bonifica è,
nel gergo degli artificieri, l'ispezione sistematica e accurata
alla ricerca di un qualunque ordigno esplosivo (proietto
d'artiglieria inesploso, mina, eccetera). Quando si ha a che fare
con trappole esplosive le precauzioni vanno raddoppiate: sono
aggeggi infernali, escogitati con tutta la raffinatezza di cui una
mente umana è capace. La squadra era composta dal capitano
Francesco Gentile, dal sottotenente Mario Di Lecce e dai sergenti
dei paracadutisti Olivo Dordi e Marcello Fagnani. Con il passare
delle ore, ogni anfratto venne setacciato, ogni pendio controllato
meticolosamente dai quattro uomini che si muovevano con perfetto
coordinamento. Due avanti, due dietro a spazzare il terreno con lo
sguardo.


Verso le due del pomeriggio
l'ispezione sembrava conclusa. I quattro imboccarono la strada
carrabile che conduceva al fondo. Una vampata accecante maciullò
tre uomini: soltanto il sergente Dordi si salvò per miracolo. Fu
una triste medaglia d'oro quella conferita il 14 agosto del 1967
alla memoria di Gentile. Per fortuna, da allora, di terrore in Alto
Adige non si è più parlato.

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