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CUIB QUADRATUM

Un laboratorio di Idee ma sopratutto di Azione. Per questo il nostro simbolo: l'Ascia Bipenne. Le due scuri, la forza spirituale e quella fisica, devono essere presenti in egual misura; per fare l'Uomo completo. Filosofo e guerriero allo stesso tempo. Studioso e ribelle............PER RESTARE 100 ANNI TRA I PALAZZI NUOVI E VECCHI, PER RESTARE 100 ANNI SORPASSANDO I GOVERNI!

 

 

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Comandano anche nelle catacombe

Post n°3 pubblicato il 20 Marzo 2008 da CUIB_QUADRATUM
Foto di CUIB_QUADRATUM


Lyubov Razdolskay è morta il 4 febbraio scorso nel mercato di Dimona,
travolta dall’esplosivo di un kamikaze venuto da Hebron. Centinaia di
ebrei romani della comunità siburense l’hanno preceduta di diciotto
secoli e riposano a migliaia di chilometri dalla Terra Promessa. Ma a
dar loro degna sepoltura tra i cubicoli sotterranei della Capitale
saranno le stesse mani che hanno ricomposto il corpo di Lyubov nel
piccolo cimitero ai bordi del Negev. Tre mesi fa l’Unione delle
comunità ebraiche italiane ha incaricato i volontari di Zaka,
l’organizzazione non governativa israeliana specializzata nel soccorso
e nel riconoscimento delle vittime di attentati, di supervisionare il
restauro delle catacombe ebraiche di Villa Torlonia, scoperte nel 1918
e mai aperte al pubblico per problemi «tecnici e religiosi». Le
gallerie che si dipanano per oltre un chilometro a dieci metri di
profondità sotto quella che fu la residenza del Duce sono disseminate
di ossa e teschi del II e III secolo d.C.: gli ultimi testimoni del
secondo tempio di Salomone, sostengono i rabbini, dunque inviolabili.
Si tratti pure di cenere.

«La legge concordariale 101 prevede che i cimiteri ebraici vadano
conservati nel rispetto delle nostre regole», spiega Sandro Di Castro,
membro della giunta dell’Ucei. E non conta che dal punto di vista dei
Beni Culturali le catacombe siano un monumento, l’unico nel suo genere
con volte magnificamente affrescate: «La sistemazione consona delle
ossa è prioritaria a qualsiasi intervento di recupero». Dal 1988 le
catacombe dipendono «culturalmente» dalla sovrintendenza archeologica
ma «simbolicamente» dal rabbinato italiano che, dopo anni e anni di
consultazioni tra la Città Santa e quella Eterna sul trattamento dei
resti umani, ha convocato gli esperti degli esperti.

La sede di Zaka è un piccolo ufficio ricavato in un garage
condominiale, vicino alla stazione degli autobus di Gerusalemme.
L’indirizzo originario era un vicolo di Mea She’arim, il quartiere
ultraortodosso. Ma da un paio d’anni l’organizzazione è diventata
internazionale e si è aperta ai non religiosi. «Tra i nostri 1500
volontari ci sono anche 150 subacquei e sono tutti laici», dice Yehuda
Meshi Zahav, presidente e fondatore di Zaka, kippà in testa e lunghi
riccioli ai lati. Alle sue spalle la foto autografata del premier
Olmert, quella del presidente Simon Peres, l’obitorio a cielo aperto
del post-tsunami. Tredici anni gomito a gomito con la morte: «Abbiamo
cominciato nel 1995, l’attentato terroristico al 405, l’autobus che
collega Tel Aviv a Gerusalemme». Da allora Zahav e gli altri hanno
ricomposto migliaia di corpi, in Israele e all’estero, chiamati spesso
a distinguere la gamba della vittima da quella del suo carnefice. La
seconda intifada e la stagione dei kamikaze, l’11 settembre 2001, New
Orleans devastata dall’uragano Katrina, lo tsunami. Dovunque ci siano
morti ebrei c’è Zaka. A Gerusalemme, sulle coste dell’Oceano indiano,
nella Roma di due millenni fa.

Quello delle catacombe capitoline per Yehuda Meshi Zahav è stato un
pronto soccorso alla memoria: «Nei tunnel di Villa Torlonia ho toccato
teschi di uomini che avevano avuto rapporti con il secondo tempio,
un’emozione cosmica». Chiude gli occhi. Il salvaschermo del computer
mostra un’immagine di lui accanto agli affreschi policromi degli
antenati. La religione contro la Storia: «Il primo problema era
stabilire cosa fare delle ossa sparse qua e là negli anni dalle razzie
dei ladri. Con i rabbini abbiamo deciso di ripristinare le tombe
ripristinabili e di spostare, di qualche metro, le altre». Una
discussione sul sesso degli angeli per un profano ma dall’alto delle
rovine di Gerusalemme è il compimento ciclico della vita di un ebreo.

Il restauro attende solo l’approvazione rabbinica: nel 2005 il
ministero dei Beni culturali italiano ha stanziato per i lavori un
milione e 440 mila euro. «È un intervento serio, le catacombe sono
state saccheggiate, scavate non sempre con cura scientifica: il rischio
di dissesto statico è alto», osserva l’archeologa Mariarosaria Barbera,
responsabile dell’opera per la Sovrintendenza di Roma insieme
all’architetto Marina Magnani. Passi per i loculi riposizionati: ma
basta un soffio, ammette Zahav, per bloccare il cantiere: «La
pavimentazione piena di polvere di ossa non può essere calpestata». Ci
vorrebbe una passerella di vetro, se solo la scienza dell’antichità
cedesse il passo alla fede senza tempo. L’ultima sfida di Sakè: mettere
insieme ossa e teschi, passato e presente, sacro e profano.



(Da La Stampa del 22 febbraio 2008)

 
 
 
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