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Post N° 74

Post n°74 pubblicato il 06 Giugno 2007 da feroce.saladino
 

Una storia ferrarese (parte III)   

 

Silvana accettò: coincideva con la sua giornata libera e non erano previsti cambi di turno per coprire l’assenza di qualche collega. Ci accordammo per una certa ora, offrendomi di venirla a prendere. Lei fece la controproposta di vederci direttamente sul posto o in un bar lungo il tragitto e poi proseguire insieme.

Tutti quei sotterfugi escogitati senza troppa convinzione dalla pudica fanciulla per evitare che la madre e i vicini scoprissero che usciva di sera con uno sconosciuto, mi facevano sentire un poco di buono, un bieco profittatore, un riprovevole opportunista che insidiava la virtù dell’ingenua verginella. Questa comica situazione, pur nella sua anacronistica assurdità, aveva un risvolto positivo: la stagionata gallinella accettava il rischio di essere sbranata dal lupo cattivo, quindi era in qualche modo disposta ad essere concupita dal subdolo seduttore, premessa indispensabile al buon esito di qualunque conquista.

Alla fine la vittima designata accettò che mi recassi a casa sua, dato che un’imprevista sostituzione pomeridiana le lasciava poco tempo per prepararsi ed uscire con la sua macchina, ma avrei dovuto attenderla in auto, a qualche metro di distanza dal viottolo che conduceva alla sua abitazione, cercando di non dare nell’occhio: mi avrebbe raggiunto appena pronta preavvisandomi con il cellulare. Degna di un film di spionaggio, quella macchinosa manovra cui pazientemente mi sottoponevo era coerente con la piccola bugia a cui la mia complice era ricorsa per nascondere alla madre il nostro primo incontro al bar: aveva giustificato l’uscita dicendo che andava a prendere le pizze da consumare per cena. Come in quella vecchia canzone di Morandi, “Fatti mandare dalla mamma…”, dove un focoso giovanotto, dovendo urgentemente chiedere spiegazioni alla fidanzatina, imponeva a quest’ultima di raggiungerlo al più presto con la scusa di andare a “prendere il latte”: scene che fanno un po’ sorridere, come nelle commedie all’italiana anni ’60, storie d’altri tempi, di antico sapore strapaesano, di cui si è ormai persa la memoria…

La sera del convegno mi recai nel luogo stabilito; spensi le luci e il motore dell’auto. Il cuore era in tumulto; ero agitato come un liceale al suo primo appuntamento galante o piuttosto, come un ladro in procinto di esordire nel mondo del crimine. L’amor proprio non mi avrebbe concesso altre occasioni per dimostrare a me stesso che ero un uomo e non un caporale: sapevo che, se mi fosse andata buca, avrei continuato a tormentarmi e autoflagellarmi per un bel po’ di tempo. Cercai razionalmente di controllare l’affanno fisico e psicologico di cui ero in balia. Qual era il modo migliore per rivelare le mie non platoniche intenzioni alla sfuggente infermiera? Una dichiarazione in piena regola era assolutamente improponibile, sia per l’età dei due interessati, non propriamente adolescenziale, sia per la mancata frequentazione preliminare dei medesimi. Decisi che avrei tentato di rubarle un bacio non appena fosse entrata in macchina. Se avessi indugiato rinviando ad un momento più propizio, la serata si sarebbe trascinata in uno snervante minuetto di leziosaggini e cortesie, in un ballo da cicisbei che al massimo poteva concludersi con il classico bacino della buona notte sulla guancia.

Quando la mia preda entrò nell’auto, scusandosi per il ritardo, appressai il mio viso al suo come per salutarla con un innocente bacio, ma con maldestra mossa da principiante cercai al contempo di cingerle le spalle per trarla verso di me e unire le mie labbra alle sue… ma si sottrasse con una certa fermezza, guardandomi con un misto di severità e meraviglia, mentre faceva “No” con il dito, come una maestra quando bonariamente rimprovera le monellerie di un suo scolaretto.

Quel goffo tentativo di approccio non mi aveva procurato un’amante, ma almeno aveva chiarito qual era la mia posizione: mi sentivo alleggerito, come dopo un esame importante, anche se ero stato rimandato a settembre... Anche lei, evidentemente, pur respingendomi, non aveva escluso una continuazione del rapporto e forse pregava in cuor suo che avessi pazienza e che riprovassi con più tatto. Era il momento delle confidenze e delle confessioni, l’ora della verità e dei chiarimenti, ma l’imbarazzo reciproco ci fece rimandare il tutto, con tacito accordo, ad altra occasione o al dopo cena, dato che eravamo in forte ritardo rispetto all’ora fissata con la prenotazione.

La sede del Jazz Club di Ferrara, dove era previsto il concerto, è ricavata da un antico torrione che fa parte della cinta muraria eretta all’epoca degli Estensi. Al piano terra si trova il ristorante; al piano superiore c’è lo spazio per le esibizioni, con il palco, le sedie, i tavolini e un piccolo bar.

Arrivammo quasi in contemporanea con l’inizio del concerto. Non avevo mai cenato in quel posto e purtroppo solo dopo essermi seduto mi accorsi di aver scelto male la mia posizione a tavola. Infatti, giusto alle mie spalle, un maxi schermo proiettava le immagini della performance in corso al piano di sopra, mentre le casse diffondevano la musica. Quella infelice collocazione era l’ennesima piccola beffa del destino poiché la mia amica, rivolta verso lo schermo situato alle mie spalle, non era affatto interessata alla musica (come era prevedibile, del resto, dato che non aveva la minima cognizione di jazz e ignorava anche chi fosse A. Piazzolla), mentre io, essendo la mia carriera di tombeur de femmes troncata sul nascere, avrei gradito almeno stemperare i dispiaceri nella musica. Riconobbi in quella disposizione il paradigma della mia vita: come sempre, costretto dalle circostanze a voltare tristemente le spalle ai piaceri e alle passioni.

Silvana, né intimorita né zittita dal flusso della musica, che per lei era sicuramente assimilabile a un sottofondo per la conversazione, durante la cena, ebbe modo di raccontarmi la seguente incredibile storia.

[segue]

 
 
 
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