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« Messaggio #120AUTORE - EDITORE »

La leggenda dell'Autore - Editore

Post n°121 pubblicato il 01 Dicembre 2008 da feroce.saladino
 

 La leggenda dell’Autore che volle farsi Editore

 

Rispondo un po’ in ritardo alla richiesta di Lady Eileen di raccontare la mia esperienza di autore-editore.

Quando faticosamente arrivi allo stadio in cui hai prodotto qualcosa che ritieni possa avere la dignità di uno scritto e vorresti far conoscere agli altri con un’appropriata veste editoriale – sebbene l’aver composto qualcosa in forma leggibile non faccia di te necessariamente uno scrittore – sorge un nuovo problema che avevi completamente rimosso o sottostimato: l’impossibilità di pubblicare. Non sto a dilungarmi sulle difficoltà e gli ostacoli pressoché insormontabili che qualunque “scrittore” esordiente incontra nella ricerca di un editore che trasformi il prodotto di tanto lavoro, sacrifici, tempo, passione, in un libro, il tuo primo libro.

Mi ero stancato di dover elemosinare una briciola di interesse o un minuscolo frammento del prezioso tempo che case editrici di serie A, B o C, segreterie editoriali, curatori di collane, collaboratori e figure anonime gelosamente custodivano, opponendo risibili dinieghi o difficoltà insormontabili alle mie discrete proposte di esaminare il manoscritto o quantomeno ottenere un minimo di considerazione da parte di qualche addetto ai lavori che potesse, non dico schiudermi le porte della pubblicazione, ma almeno avvicinarmi all’obiettivo.

Così ho deciso di assumermi completamente la responsabilità dei miei destini letterari, fondando io stesso una casa editrice che avrebbe pubblicato prima di tutto i miei lavori, eventualmente estendendo ad altre opere e ad altri autori il suo campo di attività. Se poi le cose non fossero andate a buon fine…crepasse pure Sansone con tutti i Filistei.

In fondo la figura dell'editore è assimilabile ad un'entità metafisica di cui quasi non ci si accorge e che si potrebbe anche trascurare. Infatti, chi si incarica di stampare i libri è propriamente il tipografo; l'editore non scrive, ma si avvale di autori, scrittori, curatori, traduttori, fotografi, disegnatori. Non rilega e non impagina: questo è compito di legatorie, grafici, illustratori. E neppure diffonde e fa conoscere il libro: spetta alla distribuzione, alla pubblicità, ai critici. E allora cosa fa una casa editrice? Sceglie i testi da pubblicare e gli autori, che costituiranno il suo patrimonio umano e culturale; coordina le persone coinvolte nella realizzazione dei progetti e interviene in tutte le fasi mirate alla realizzazione del prodotto “libro”; infine, cosa non meno importante, decide riguardo il taglio distintivo e la politica editoriale da adottare, secondo criteri di coerenza e omogeneità, nella scelta dei temi, dei contenuti, degli autori che formeranno l'impostazione culturale dell'impresa.

Ebbene, sono riuscito miracolosamente a riunire in una sola persona, il sottoscritto, quasi tutte queste figure, professionalità e competenze.

La prima cosa che giustifichi la necessità e l’esistenza di una casa editrice, per quanto minuscola e monocomponente, è… avere qualcosa da pubblicare. E io disponevo di una quantità di dialoghi derivanti da relazioni virtuali, scambi di mail, video-conversazioni, litigi, mascheramenti letterari, goffi tentativi di seduzione a distanza e battute più o meno godibili, più o meno divertenti, argute o bizzarre riguardo l’eterna, terrena Commedia delle relazioni fra i due sessi.

Materia impubblicabile, lo ammetto, da parte di un editore moderno che riconosce dignità e soprattutto ritorno economico solo alle opere narrative, ai libri-inchiesta su argomenti di attualità o scandalistici, alla trasposizione cartacea di spettacoli comico-televisivi, o riflessioni, conversazioni, memorie, grumi autoreferenziali, apparizioni autobiografiche di vip, personaggi “divenuti” famosi e idoli delle folle.

Per il mio primo libro – M@il di cuore, m@il d’amore –, l’unico, per ora, che si sia concretizzato in una più che dignitosa forma cartaceo-editoriale, dovendo necessariamente contare sulle sole mie forze e finanze, ho operato in completa autarchia. Ero “scrittore” ma dovevo anche trasformarmi in editor, curatore e correttore di me medesimo. Ho gestito da solo i rapporti con la tipografia e ho fornito i dovuti suggerimenti al grafico per ottenere la veste editoriale, l’impaginazione e la realizzazione delle copertine come desideravo, proprio come fanno le signore dell'alta società che, non avendo problemi lavorativi o economici controllano, affiancano e sovrintendono all'attività dell'architetto cui hanno affidato il compito di arredare la casa.

Nel frattempo, mentre attendevo la consegna delle copie, completavo l’iscrizione alla camera di commercio e gli atti formali di carattere fiscale connessi con la mia “avventura” editoriale. La prima cosa da regolarizzare è l'iscrizione all'ufficio IVA: aprire una partita IVA consente di emettere e ricevere fatture, per incamerare il valore aggiunto sulle prestazioni e “scaricare” cioè scontare poi sul totale dell'imposta da restituire allo Stato, l'importo dell'IVA che si è già pagata con gli acquisti di beni o servizi relativi all'impresa. Un piccolo imprevisto è stata la scelta della categoria in cui iscrivermi all'Agenzia delle Entrate: la voce corrispondente a “Scrittore” non esiste; dopo varie ricerche, l'impiegato dell'ufficio mi ha proposto una voce generica, “Altre creazioni artistiche e letterarie”, in cui possono rientrare eterogenee figure di “creativi”: poeti, scrittori, sceneggiatori, e altri realizzatori di “opere d'arte o dell'ingegno” che non rientrano in categorie specifiche.

Ma per essere riconosciuto come impresa in campo editoriale, cioè per diventare “Editore” a tutti gli effetti, dovevo iscrivermi alla Camera di Commercio, al Registro delle imprese. Ora io non avrei avuto alcuna difficoltà a fondare una Casa Editrice bonsai, ovvero un'azienda formata unicamente da me stesso, ma un inghippo fiscale me lo impediva. Infatti le mie prospettive di partenza erano più che sicure: avrei avuto, chissà per quanto, solo spese e nessun introito. Sarebbe stato logico e naturale iscriversi all'Ufficio IVA scegliendo come categoria principale le “Altre creazioni artistiche” e come attività aggiuntiva l'“Editoria”, usufruendo del regime contabile dei “minimi” che prevede appunto una contabilità semplificata per un volume di affari annuo non superiore a 30.000 €: io vi rientravo ampiamente poiché fondavo un'azienda in perdita, con spese sicure e nessuna garanzia, non dico di guadagno, ma neppure di recupero degli investimenti. Però non era possibile approfittare di quella opportunità perché, come ogni regola comporta un'eccezione, dal regime dei minimi era proprio espressamente esclusa l'Editoria, insieme con poche altre attività. Ciò forse è dovuto al fatto che ai libri in commercio si applica un'IVA agevolata (4% anziché il solito 20% degli altri prodotti o servizi) assolta direttamente dall'Editore, cioè non aggiunta al prezzo finale del libro ma “pagata” a monte dall'editore stesso. A farla breve, non potevo iscrivermi direttamente come impresa editoriale poiché in tal modo avrei dovuto tenere una contabilità ordinaria e appoggiarmi ad un commercialista-vampiro a cui avrei dovuto corrispondere, per i suoi servigi - consistenti in una specie di lista della serva, dove andavano elencati solo alcuni importi con il segno “meno” davanti e nessun segno “più”-, alcune migliaia di euro.

Dopo vari ripensamenti, notando che fra le varie categorie possibili per l'iscrizione all'Ufficio IVA c'era anche la voce “Editoria Musicale”, ho scelto quest'ultimo genere di attività che mi consente di realizzare partiture, spartiti e insomma di stampare musica, oltre che, teoricamente, produrre CD audio. Ciò mi era doppiamente utile poiché io non sono solo un aspirante scrittore ma anche un musicista mancato, nel senso che non sono in grado di suonare, cantare o comporre, ma posso leggere la musica e decifrarne i simboli; inoltre possiedo un potente programma che mi permette di scrivere e digitalizzare partiture, stampare spartiti e anche memorizzarli su CD. Insomma, dispongo di tutto quanto serve per stampare musica, oltre che i libri normali, e grazie a quel escamotage superavo anche la difficoltà fiscale sopra descritta e finalmente potevo scegliere la contabilità secondo il regime dei minimi.

Superato lo scoglio della partita IVA, per operare come scrittore è più che sufficiente l'iscrizione alla sola categoria delle “Altre creazioni”, ma per esistere come impresa editoriale bisogna iscriversi alla Camera di commercio: è questo il motivo per cui ho dovuto aggiungere l'attività secondaria di “Editoria musicale”. L'iscrizione al registro delle imprese, che presuppone la regolarizzazione all'Ufficio IVA, è stata assai meno tormentata e anche non troppo onerosa (c'è una tassa annuale da pagare di poco superiore ai 100 €).

Mi sono dilungato sugli aspetti fiscali dell'attività editoriale, ma immagino che a voi interessino di più i risvolti “romantici” e culturali della produzione di libri. Ne parlerò la prossima puntata.

Solo un'amara considerazione: entro faticosamente nel mondo dell'imprenditoria e guarda caso le borse e l'economia globale subiscono un crollo quasi come quello di Wall Street nel 1929...Sarà un segno premonitore?...

 
 
 
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