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F. W. Murnau Nosferatu (1922)

Post n°135 pubblicato il 26 Dicembre 2010 da feroce.saladino

Nosferatu di F. W. Murnau (1922)

Prova di codifica del film integrale, reperibile a questo indirizzo di You Tube:

http://www.youtube.com/watch?v=rcyzubFvBsA

 

(con qualche secondo di pubblicità all'inizio)

 

 
 
 

I VAMPIRI ALL'ANGOLO DELLA STRADA I

Post n°136 pubblicato il 17 Gennaio 2011 da feroce.saladino

I

Basta. Non se ne può più. Le librerie, le bancarelle e anche gli scaffali del reparto libri nei supermercati grondano di romanzi, volumi, racconti di vampiri.

Raccolte formato “Mammuth” della Newton-Compton, Cronache, Interviste, Diari, Crepuscoli, Eclissi, Nuove Lune, Promessi morsi, Promessi vampiri e via sanguinando è una vera emorragia. È ora di darci un taglio: finiamola con questi sciupafemmine non-morti e quindi inestinguibili, altrimenti ci porteranno via anche le poche ragazze-lettrici ancora non vampirizzate da tali pallidi libertini, ultima inflazionata versione domestica di una gloriosa stirpe di nobili succhiasangue. Piantiamogli un bel paletto acuminato in mezzo al cuore o, meglio ancora, diamo alle fiamme l’inutile, pericolosa montagna di libri degenerati, manifestazione di un’editoria consumistica e massificata; applichiamo ciò che la fantasia di Ray Bradbury aveva escogitato in Fahrenheit 451 e in un mondo finalmente liberato da queste insane letture, dedichiamoci ai classici, alla vera letteratura, a svaghi più sani e stimolanti.

Ma se proprio non si riesce a debellare il morboso vizio, se non si riesce a distogliere lo sguardo da queste copertine patinate, dove impera la notte e da cui fuoriesce un rivolo di sangue umano; se non si ha la forza di resistere alla frenesia erotico-letteraria che spinge le pudiche fanciulle a lasciarsi irretire da questi tenebrosi personaggi, almeno cerchiamo di educare i loro gusti, facciamo loro conoscere i vampiri D.O.C., i protagonisti del genere gotico, coloro da cui è nata la leggenda, i veri Dracula e principi delle tenebre.

Torniamo alle origini. Tutto ha inizio, come in un vero racconto gotico, in una notte buia e tempestosa, presso la villa Diodati, sul lago di Ginevra.

E’ il giugno del 1816. A causa di un tempo insolitamente freddo e piovoso, due coppie sono costrette a trascorrere le vacanze al chiuso. Si tratta dei poeti George Byron e Percy Bysshe Shelley con le reciproche amanti, più un “quinto incomodo”, il ventunenne John William Polidori, medico e segretario personale di Byron. Il Lord inglese, che evidentemente si sentiva in colpa per aver invitato gli amici a raggiungerlo nella villa e a dividere con lui quella forzata inattività, lancia l’idea di scrivere ciascuno un racconto terrificante. Mary Wollstonecraft, divenuta quello stesso anno Sig.ra Shelley, concepisce in quella occasione il celeberrimo Frankenstein, ovvero il Prometeo moderno, vero caposaldo della letteratura dell’orrore. Byron compone un frammento in cui due compagni di viaggio giungono in Grecia; qui, uno dei due – che si rivelerà essere un vampiro – in punto di morte lega a sé l’amico con uno strano giuramento.

Proprio su questo abbozzo, Polidori elaborò in seguito il racconto Il Vampiro, pubblicato nel 1819, che ebbe grande popolarità in Europa e aprì la strada al più noto capolavoro del genere, il Dracula di Bram Stoker, pubblicato nel 1897. 

Queste e altre notizie si possono trovare su Wikipedia alle voci “John Polidori” e “Vampiro”; e anche in altri siti:

http://digilander.libero.it/catafalco/letteratura/polidori.htm

http://www.occhirossi.it/libri_horror/IlVampiro.htm

http://www.horrormagazine.it/rubriche/2635

http://illibroeterno.blogspot.com/2010/06/il-vampiro-john-william-polidori.html

Ora, però, vorrei proporre alcune personali ipotesi sulla vicenda, per far luce sullo strano rapporto che legava Polidori, uomo di lettere e precoce medico che coltivava strane fantasie riguardo veleni, misture letali e misteriose sostanze, all’irrequieto poeta romantico Lord Byron. Questi lo aveva portato con sé nelle sue peregrinazioni, assumendolo come segretario personale, ma la forzata convivenza a Villa Diodati mise evidentemente allo scoperto la loro incompatibilità di carattere tanto che il giovane medico si trovò licenziato dopo pochi mesi, a fine agosto 1816. Polidori nutriva nei riguardi del fascinoso ma sregolato poeta romantico, protagonista di scandali, carattere ribelle e inquieto, un rapporto di amore-odio. Byron, invece, mal sopportava la pedanteria, la fatua pretenziosità, le stravaganze mostrate dal suo accompagnatore per il quale aveva coniato il nomignolo di “Polly-Dolly”, cioè la “bambolina” Polly, volendo intendere un fatuo damerino (oggi forse lo chiameremmo “un fighetto” o, peggio, “una signorina”) oppure un irritante idealista senza nerbo?

Polly è anche il nome della protagonista femminile nella Beggar’s Opera (ovvero L’opera del mendicante, 1728) di John Gay, “ballad-opera” di feroce satira e denuncia sociale da cui B. Brecht ricavò la sua Opera da tre soldi. Polly, nella pièce di Gay, è una bella ragazza, di pessima famiglia, sinceramente innamorata del bandito Macheath – che ha sposato segretamente – malavitoso dongiovanni dedito al gioco, all’alcool e alle puttane.

I - continua

 
 
 

I VAMPIRI ALL'ANGOLO DELLA STRADA - II

Post n°137 pubblicato il 23 Gennaio 2011 da feroce.saladino

II

Il racconto di Polidori, pubblicato nel 1819, sembra aver origine dal rancore di una delusione amorosa, quella del “mollato” che si sfoga raccontando peste e corna del suo ex. Infatti il personaggio diabolico nelle cui sembianze prendono forma le leggende dei vampiri, Lord Ruthven, è troppo scopertamente simile a Lord Byron. Anche la scelta del nome è indicativa: nel 1816 era uscito il romanzo Glenarvon opera di Caroline Lamb, amante ferita e rifiutata da Byron, dove al poeta è affibbiato il ruolo del crudele protagonista, Ruthven Glenarvon, assassino delle sue amanti, punito con la dannazione eterna ma attivo anche da morto come spettro molestatore delle sue vittime.

 

Il vampiro di Polidori è un dandy aristocratico, ben inserito nell’alta società londinese, incallito giocatore, personalità inquietante e magnetica, fascinoso affabulatore, insolitamente pallido, con gli occhi di ghiaccio e inespressivi e, ovviamente, ammaliatore di belle donne. Non dichiaratamente malvagio o depravato, ma imperscrutabile, avvolto da un alone di mistero, è il tipico bel tenebroso da cui tutte le femmine sono attratte, sia quelle “che fanno delle virtù domestiche il vanto del proprio sesso”, sia “quelle che lo disonorano con i loro vizi”.

Il bel giovane Aubrey (in cui Polidori, inconsciamente proietta se stesso), orfano, erede, con la sorella di una grande fortuna, con un alto senso dell’onore e della virtù, romantico idealista, convinto “che i sogni dei poeti” rappresentino “la realtà della vita”, è inevitabilmente attratto dal fascino negativo che promana da Lord Ruthven-Byron (classica condizione dell’immaturo, anche sul piano sessuale, che si lega morbosamente al più esperto poiché questi potrebbe farlo uscire dalla sua inettitudine) e insieme partono per l’Europa.

Nel corso del viaggio, che potrebbe costituire un’occasione di istruttive esperienze, anche erotiche per Aubrey-Polidori, il giovane rampollo si irrigidisce nel suo moralismo sessuofobo, rileva il cinismo, i vizi e la mancanza di scrupoli del compagno di viaggio che non biasima direttamente, ma da cui si separa dopo aver sventato l’ennesimo suo tentativo di traviare una brava ragazza.

Aubrey prosegue da solo per la Grecia, dove avrebbe la possibilità di sedurre un’incantevole e delicata creatura, Iante, ma invece di trattenersi piacevolmente con lei, va in giro ad esplorare i ruderi della civiltà classica. Una sera, attraversando un bosco che le leggende locali affermano essere infestato dai vampiri, un diabolico essere uccide proprio la fanciulla di cui si era innamorato e misteriosi segni sul suo corpo e sulla gola fanno sospettare l’opera di un vampiro. Il giovane cade preda di una febbre violentissima, poi si riprende e continua il viaggio con Lord Ruthven, con cui si è nel frattempo riappacificato.

I due sono assaliti dai briganti; Ruthven viene ferito a una spalla e ben presto muore, ma fa in tempo a impegnare Aubrey in uno strano giuramento: non dovrà mai rivelare, per un anno più un giorno, per nessuna ragione e ad alcun essere, quello che sa dei misfatti o della morte del Lord, qualunque cosa accada. E il giovane giura.

Ciò risulterà fatale a lui stesso e alla giovanissima sorella la quale convola a nozze proprio con Ruthven redivivo, soddisfacendo la notte stessa, anziché la passione dello sposo, “la sete di un VAMPIRO!”, un giorno prima della scadenza del giuramento che, per l’alto senso dell’onore, il fratello non poteva infrangere.     

 

Il racconto si sviluppa con un crescendo di situazioni e di eventi anche cruenti che Aubrey interpreta come opera del vampiro Ruthven, ma non vi è mai una constatazione diretta e oggettiva. Si tratta di un processo indiziario che un abile avvocato, l’avvocato del diavolo-vampiro, potrebbe tranquillamente confutare come opera di fantasia di una mente malata, di un giovane roso dall’invidia per i successi dell’amico più navigato, un frustrato affetto da mania di persecuzione.

Due anni dopo la pubblicazione del Vampiro, dopo aver tentato di entrare in una comunità religiosa e aver scritto l’ambizioso poema  The Fall of the Angels, ispirato al Paradiso perduto di J. Milton, Polidori si suicida con l’acido prussico (cioè il cianuro, una sua ossessione). Aveva 26 anni. 

                                                                               Il feroce Saladino  

 

 
 
 

I DUE FIGARO - Saverio Mercadante

Post n°138 pubblicato il 27 Maggio 2011 da feroce.saladino
Foto di feroce.saladino

 

 

In occasione della prima ripresa moderna dell´opera di Mercadante, I DUE FIGARO, che andrà in scena a fine giugno nell´ambito del Ravenna Festival - direzione di R. Muti - ho recuperato e stampato il libretto completo, scritto da Felice Romani per la prima rappresentazione dell´opera per la musica di Michele Carafa.

Il libretto, integrale, si basa sul testo stampato a Milano nel 1820, utilizzato da diversi compositori fino al 1840. Comprende inoltre una dettagliata sintesi della trama, le varianti al testo, frammenti critici e un commento storico-letterario.

Tutto questo in un volumetto di 108 pagg., al prezzo di copertina di € 7,50, sconto del 33% per un netto a copia di € 5,00. Per le prenotazioni, inviare una mail a:

                          dino.finetti@libero.it

                          cell. 3491248728

 

Ecco uno stralcio dalle note che seguono il testo:

 

 
 
 

Due Figaro… tre... oppure quattro?

Post n°139 pubblicato il 27 Maggio 2011 da feroce.saladino
Foto di feroce.saladino


Due Figaro… tre... oppure quattro?

Insolita questa commedia di Felice Romani, ottimo e prolifico  “poeta” al servizio dell’opera, che da par suo ha sfornato oltre un centinaio di libretti per musicisti contemporanei del calibro di Bellini, Donizetti, Mercadante, ma anche Rossini e il giovane Verdi.

 

L’argomento, innanzi tutto. Prima che Beaumarchais terminasse la sua trilogia di Figaro, un attore della compagnia parigina che rappresentava Le mariage de Figaro, il cittadino Honoré-Francois Richaud, detto Martelly, (1751-1817), per rispondere alle critiche rivoltegli da Beaumarchais in persona in merito alla sua interpretazione di Almaviva, elaborò un testo teatrale con gli stessi personaggi, Les deux Figaro ou Le sujet de comédie, andato in scena per la prima volta a Parigi nel 1790, poco dopo lo scoppio della rivoluzione francese e rimasto in cartellone fin quasi alla fine dell’avventura napoleonica (1813).

Il musicista Michele Carafa de Colobrano (1787-1872), autore partenopeo di nascita e di formazione, grande  amico ed epigono di Rossini, assistette probabilmente a una di quelle rappresentazioni durante il primo soggiorno a Parigi (1806). Quindici anni dopo, nel 1820, andava in scena al Regio Teatro alla Scala il melodramma: I due Figaro o sia Il soggetto di una commedia, su versi del Romani. La presente pubblicazione riproduce il testo stampato a Milano in concomitanza di quel primo allestimento. Lo stesso libretto verrà in seguito utilizzato da altri compositori: Giovanni Panizza (1824), Dionisio Brogialdi (Barcellona, 1825), Saverio Mercadante (vedi più sopra l’articolo riguardante il ritrovamento a Madrid della partitura completa, datata 1826) e infine Giovanni Antonio Speranza (Torino, 1839, ma preceduta da una “prima” a Napoli, 1838); tutti, tranne Mercadante, musicisti ancor più oscuri e dimenticati del Carafa.

 

Della versione di Mercadante, attendiamo la prima ripresa moderna diretta da Riccardo Muti, a Salisburgo e a Ravenna (giugno 2011).

 

Inaspettatamente, dei versi del Romani per il melodramma musicato da Giovanni Antonio Speranza, si trovano numerose ristampe, in Italia ma anche in Spagna, che testimoniano evidentemente una certa popolarità e/o diffusione dell’opera fra il 1839 e il  1844, quando la spinta eversiva della Rivoluzione francese in Martelly e in seguito gli echi libertari nel clima politico italiano intorno al 1820, quando vedeva la luce il melodramma di Felice Romani-Carafa, si erano spenti.

 

[…]

 

I personaggi.

Figaro, divenuto una figura mitica, la maschera della furbizia e dell’inventiva, qui è un essere meschino. “All’idea di quel metallo” soggiace tutta la sua umanità e fantasia. Mira solo ai soldi e non si fa alcuno scrupolo dei sentimenti di Inez e della Contessa; è in malafede anche nei riguardi della propria sposa, Susanna che evidentemente, 12 anni dopo le nozze, non sopporta più e rappresenta solo un ostacolo alle proprie mire. Significativa anche la sua misoginia che si esprime nei versi:    

Il complotto è sventato... o donne audaci!

Voi congiurar!... tremate... io solo impero…

Quel che voglio sarà... voi tornerete

A strisciar come prima, o vili insetti.   [pag. 34]

Il Conte di Almaviva è ormai un vecchio balordo e cocciuto, facile preda di imbroglioni e servette che sanno il fatto loro. Ha assunto i panni di una tipica figura dell’opera buffa napoletana (ma anche del teatro di Goldoni): il padre autoritario che vuole imporre un matrimonio d’interesse alla figlia, ma anche il tutore geloso, gabbato nella sua “inutile precauzione” di evitare alla pupilla contatti con possibili spasimanti. Il conte si è trasformato nel suo avversario di un tempo, Bartolo, e gli si è spenta anche la libido, la voglia di trasgredire, motore dell’azione nelle Nozze di Figaro di Mozart-Da Ponte: non approfitta nemmeno dell’amata di un tempo, Susanna, quando lei invoca il suo perdono baciandogli devotamente la mano. È un vecchio rassegnato, cinico e deluso dall’amore, che fa queste considerazioni:

Che mai giova al nostro bene

Maritarsi per amor?

Tosto o tardi estingue Imene

Dell’amore il primo ardor.

Come un dì Rosina amai!

Come anch’essa un dì m’amò!

Finalmente la sposai…

L’amo ancora? Non lo so.

O dolci trasporti – di teneri affetti,

Se fuggon sì rapidi – i vostri diletti,

Felice quell’anima – che mai vi provò.   [pag. 16]

[…]

Il grande assente, alfine, in questa commedia, è proprio l’amore, pur essendo il (convenzionale) principio ispiratore di questo genere teatrale e di quasi tutto il teatro tout court, in prosa come in musica.

 

[…]

 

Inez e Cherubino, infine, i due amanti, non si concedono alcun trasporto, alcun abbandono (forse perché impediti dal procedere implacabile degli avvenimenti). Inez è troppo acerba e inesperta, e Cherubino, plasmato dalla rude vita militare, ha pure lui una filosofia di vita, sebbene mitigata dalla giovane età,  pragmatica e cinica; l’amore è una palestra di inganni, dove trionfa chi è più abile e scaltro:

Amor, che i timidi – audaci rendi,

Con noi discendi – a congiurar.

Colle tue solite –  astuzie e frodi

Ne insegna i modi – di trionfar.     [pag. 27]

 

Tutto sommato una commedia composta di splendidi versi, I due Figaro, dove l’amore, con “astuzie e frodi” ha l’ultima parola. Ma sembrano più parole di circostanza, una formula retorica, come lo scontato lieto fine delle favole, più che una genuina fiducia nella forza del sentimento.

 

Da tanti imbrogli e palpiti

Alfin respiri ogni alma:

----

Amor che al nodo è pronubo

Più non la turberà.               [pag. 79]

 

Il nodo matrimoniale, coronamento dell’amore, suggella la fine di ogni turbamento dell’anima, ma anche di ogni passione.

 

                                                      Dino Finetti

 

 

 
 
 
 

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