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Post n°197 pubblicato il 03 Settembre 2012 da stefano6680
Paul Krugman: “Usano il panico da deficit per smantellare i programmi sociali” Un articolo illuminante, da leggere e diffondere, del premio Nobel Paul Krugman, uscito in questi giorni sul New York Times. Come è ormai chiaro a tutti, Krugman spiega perché le politiche di austerity non hanno senso dal punto di vista economico, al contrario: l’austerity è solo la scusa per smantellare i programmi sociali su scala globale. Ecco l’articolo: “Il tempo giusto per le misure di austerità è durante un boom, non durante la depressione”. Questo dichiarava John Maynard Keynes 75 anni fa, ed aveva ragione. Anche in presenza di un problema di deficit a lungo termine (e chi non ce l’ha?), tagliare le spese quando l’economia è profondamente depressa è una strategia di auto-sconfitta, perché non fa altro che ingrandire la depressione. Allora come mai la Gran Bretagna (e l’Italia, la Grecia, la Spagna, ecc. NDR) sta facendo esattamente quello che non dovrebbe fare? Al contrario di paesi come la Spagna, o la California, il governo britannico può indebitarsi liberamente, a tassi storicamente bassi. Allora come mai sta riducendo drasticamente gli investimenti, ed eliminando centinaia di migliaia di lavori nel settore pubblico, invece di aspettare che l’economia recuperi? Nei giorni scorsi, ho fatto questa domanda a vari sostenitori del governo del primo ministro David Cameron. A volte in privato, a volte in TV. Tutte queste conversazioni hanno seguito la stessa parabola: sono cominciate con una metafora sbagliata, e sono terminate con la rivelazione di motivi ulteriori (alla ripresa economica NDR). La cattiva metafora – che avrete sicuramente ascoltato molte volte – equipara i problemi di debito di un’economia nazionale, a quelli di una famiglia individuale. La storia, pressappoco è questa: Una famiglia che ha fatto troppi debiti deve stringere la cinghia, ed allo stesso modo, se la Gran Bretagna ha accumulato troppi debiti – cosa che ha fatto, anche se per la maggior parte si tratta di debito privato e non pubblico – dovrebbe fare altrettanto! COSA C’È DI SBAGLIATO IN QUESTO PARAGONE? La risposta è che un’economia non è come una famiglia indebitata. Il nostro debito è composto in maggioranza di soldi che ci dobbiamo l’un l’altro; cosa ancora più importante: il nostro reddito viene principalmente dal venderci cose a vicenda. La tua spesa è il mio introito, e la mia spesa è il tuo introito. E allora cosa succede quando tutti, simultaneamente, diminuiscono le proprie spese nel tentativo di pagare il debito? La risposta è che il reddito di tutti cala – il mio perché tu spendi meno, il tuo perché io spendo meno.- E mentre il nostro reddito cala, il nostro problema di debito peggiora, non migliora. Questo meccanismo non è di recente comprensione. Il grande economista americano Irving Fisher spiegò già tutto nel lontano 1933, e descrisse sommariamente quello che lui chiamava “deflazione da debito” con lo slogan:”Più i debitori pagano, più aumenta il debito”. Gli eventi recenti, e soprattutto la spirale di morte da austerity in Europa, illustrano drammaticamente la veridicità del pensiero di Fisher. Questa storia ha una morale ben chiara: quando il settore privato sta cercando disperatamente di diminuire il debito, il settore pubblico dovrebbe fare l’opposto, spendendo proprio quando il settore privato non vuole, o non può. Per carità, una volta che l’economia avrà recuperato si dovrà sicuramente pensare al pareggio di bilancio, ma non ora. Il momento giusto per l’austerity è il boom, non la depressione. Come ho già detto, non si tratta di una novità. Allora come mai così tanti politici insistono con misure di austerity durante la depressione? E come mai non cambiano piani, anche se l’esperienza diretta conferma le lezioni di teoria e della storia? Beh, qui è dove le cose si fanno interessanti. Infatti, quando gli “austeri” vengono pressati sulla fallacità della loro metafora, quasi sempre ripiegano su asserzioni del tipo: “Ma è essenziale ridurre la grandezza dello Stato”. Queste asserzioni spesso vengono accompagnate da affermazioni che la crisi stessa dimostra il bisogno di ridurre il settore pubblico. Ciò e manifestamente falso. Basta guardare la lista delle nazioni che stanno affrontando meglio la crisi. In cima alla lista troviamo nazioni con grandissimi settori pubblici, come la Svezia e l’Austria. Invece, se guardiamo alle nazioni così ammirate dai conservatori prima della crisi, troveremo che George Osborne, ministro dello scacchiere britannico e principale architetto delle attuali politiche economiche inglesi, descriveva l’Irlanda come “un fulgido esempio del possibile”. Allo stesso modo l’istituto CATO (think tank libertario americano) tesseva le lodi del basso livello di tassazione in Islanda, sperando che le altre nazioni industriali “imparino dal successo islandese”. Dunque, la corsa all’austerity in Gran Bretagna, in realtà non ha nulla a che vedere col debito e con il deficit; si tratta dell’uso del panico da deficit come scusa per smantellare i programmi sociali. Naturalmente, la stessa cosa sta succedendo negli Stati Uniti. In tutta onestà occorre ammettere che i conservatori inglesi non sono gretti come le loro controparti americane. Non ragliano contro i mali del deficit nello stesso respiro con cui chiedono enormi tagli alle tasse dei ricchi (anche se il governo Cameron ha tagliato l’aliquota più alta in maniera significativa). E generalmente sembrano meno determinati della destra americana ad aiutare i ricchi ed a punire i poveri. Comunque, la direzione delle loro politiche è la stessa, e fondamentalmente mentono alla stessa maniera con i loro richiami all’austerity. Ora, la grande domanda è se il fallimento evidente delle politiche di austerità porterà alla formulazione di un “piano B”. Forse. La mia previsione è che se anche venissero annunciati piani di rilancio, si tratterà per lo più di aria fritta. Poiché il recupero dell’economia non è mai stato l’obiettivo; la spinta all’austerity è per usare la crisi, non per risolverla. E lo è tutt’ora.
Post n°196 pubblicato il 07 Febbraio 2012 da stefano6680
Mi chiamo Carmen Abbazzia, ho 39 anni, sono/ero, operaia carrellista, reparto logistica della Fiat di Pomigliano. Ho sempre amato il mio lavoro. Era dura, turni massacranti a guidare il carrello elevatore sulla catena di montaggio e caricando e scaricando camion. Sono stata assunta nel 2002 e non ho mai subito un provvedimento disciplinare, ho avuto un solo infortunio: un carrello mobile che mi ha fratturato il naso. La vita era dura anche allora senza un marito e i genitori e tre figli da allevare. I 1.800 euro di straordinari erano una sicurezza che oggi ha lasciato posto all’angoscia di dover sopravvivere con 800 euro di cassa integrazione. Con un affitto di 550 euro, restano 250 euro per campare.
* questa lettera la dedico ai delegati Fim-Cisl della Berco ! *
Post n°195 pubblicato il 19 Gennaio 2012 da stefano6680
Post n°194 pubblicato il 11 Gennaio 2012 da stefano6680
Federazione Impiegati Operai Metallurgici
Post n°193 pubblicato il 24 Dicembre 2011 da stefano6680
Caro Babbo Marx,
mi chiamo Nino, ho cinque anni e sono comunista. Io lo so che non esisti più, che sei uno che è morto tanti e tanti anni fa, come so che il socialismo è solo una bellissima utopia… ma io ci credo lo stesso, Babbo Marx: credo in te e nel socialismo… anche perché sennò non mi resta che credere nella Nintendo DS (la prossima versione dicono che sarà la Nintendo PD, ma io non la voglio che già so che è una versione brutta fatta per far felici i bimbi borghesi).
Caro Babbo Marx, io quest’anno ho deciso di scrivere a te e non a quel democristiano di Gesù Bambino o a quel panzone capitalista di Babbo Natale perché sono stufo di chiedere pace e serenità per tutti i bimbi che soffrono o merci prodotte a mezzo di merci scambiando le quali si realizza il plusvalore favorendo così l’accumulazione capitalistica… Io quest’anno voglio il conflitto! E non mi dire che non ci sta perché se lo sono fregati tutto i tunisini e gli egiziani nei mesi scorsi e in cambio mi puoi portare al massimo un po’ di “sana dialettica sociale”. Quella regalagliela a Luigino e a Nicolino! Io voglio che il mio papà la smette di girare per casa in pigiama come una pizza moscia… lui dice che non sa che fare, che a trent’anni un lavoro dopo che l’hai perso chi te lo da… Babbo Marx, io gliel’ho pure detto che tu alla sua età venivi arrestato e cacciato dal Belgio e andavi a Parigi per unirti alla Rivoluzione… ma lui niente… fissa un po’ il vuoto un po’ la boccetta di Valium… voglio che invece di urlare contro la mamma, vada a farlo contro quelli che lo hanno licenziato, contro quelli che il lavoro non glielo danno, contro il capitale… A proposito della mamma poi voglio che anche a lei fai tirare fuori tutto quello che si tiene dentro: i lamenti dei vecchiacci a cui pulisce il culo, quelli del padrone del laboratorio che la rimprovera se si fa vedere fuori con la tuta da lavoro… che lei e le altre sono lì a nero e allora è pericoloso (per il padrone, mica per loro)… e poi ci sono io che non sa dove lasciarmi: l’asilo costa troppo e meno male che ci sono i nonni… ma a forza di “lasciami e prendimi e vai al laboratorio e corri dal vecchio” alla fine pure lei s’è fatta la sua bella boccetta… ma quella di papà dice che non le piace, lei preferisce il Tavor. E così io, caro Babbo, passo le mie giornate coi nonni e a forza di stare con loro mi sono accorto di una cosa: ogni giorno a casa dei nonni scompare qualcosa… ieri per esempio è sparita la collana d’oro che la nonna teneva in bella mostra sul mobile della sua camera, l’altro giorno l’orologio che papà aveva regalato al nonno al suo primo stipendio, e la settimana scorsa pure il pendolo del salotto che a me mi piaceva tanto perché a mezzogiorno uscivano gli uccellini da uno sportellino e cantavano… non è che quel tipo che ogni tanto viene a casa e guarda e tocca e pesa tutto quello che vede è uno che mandi tu per prendere le cose dalla casa dei nonni e riciclarle poi come regali per altri?! Io lo so che tu sei per la socializzazione dei mezzi di produzione e perché ciascuno dia secondo le sue capacità e riceva secondo i suoi bisogni, per cui non faresti mai una cosa così… ma allora chi è quel tipo, Babbo? E perché dopo che se n’è andato la nonna piange? Allora ti chiedo un regalo anche per i nonni: che la prossima volta tirano fuori il nerbo che usavano per le mucche e glielo diano addosso! E lo danno addosso anche a quelli che lo mandano a quel tipo schifoso!
Ecco Babbo Marx: questi sono i regali che ti chiedo. Come vedi sono stato buono: non t’ho chiesto la Rivoluzione che già sapevo che mi avresti risposto tutto incazzato che tu non fai il cuoco per l’osteria dell’avvenire. No, Babbo: io voglio il conflitto qui ed ora, quello di ogni giorno, quello che non ti fa accettare di stare sempre peggio, che ti fa dire “io sono più importante”. Tu mi hai insegnato ad essere materialista, caro Babbo, e io ho capito che la vita è una e non possiamo passarla a soffrire come il democristiano e il ciccione vorrebbero. La vita è breve, e anche se questi cattivi vogliono che la mamma e il papà si vedono solo la televisione e non pensano ad altro se non all’ultimo amore del Grande Fratello, io voglio che si risvegliano, che si staccano dall’oppio moderno e scendono per le strade. Che non pensano che il vicino Mohammed sia inferiore, che la collega di lavoro della mamma rubi i bottoni, che quel vecchio cacone è solo una grande rottura. Voglio solo che si risvegliano, Babbo Marx. Voglio che fanno come nei racconti del nonno sulle lotte sue nella fabbrica e in quelli della nonna sulle manifestazioni sotto al Comune per la casa e l’asilo… Voglio quel paese lì, Babbo Marx. Come mi dice sempre l’amico mio Pierpaolo… “Torniamo indietro, col pugno chiuso e ricominciamo daccapo.”
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