FlautoDiVertebra

15.05


Ad enumerare i danni mi limito,dalle dita dei piedi debutto, scortando le curve delle diafane dita, alle vene che percorrono il reticolato frangibile del dorso muscoli tesi schioccano all'ombratalvolta li seguo quei nerbi sono un tumulato porto di atti inevasie ascendo le caviglie, sogghignando degli abbrivi e alle stramazzateincolume nel fiato forse, ma non nella solitudine del blocco scisso cartilagine e gessocabro in zuccherine carezze e l'abbozzo seguo di questo saltimbanco,dolina di pupille, cocciuta scarabocchio i dadi la bocca sgombra e monto sulla linea lattescente sino alle ginocchiasoffiando addosso alle cicatrici delle corse a perdifiato senza scorgere e scorgermiaffidandomi al respiro e poi al pulviscologiungo smaniosa alle ceree cosce,che imperfette mi riuniscono e mi accovacciano torcendo il busto, le parole i pensieri, i varchie le non appropriate nuvole all'esserem'accade di scaraventare giù un pensiero e mutarmi in goccia, sovente mi smarrisco nel saltoesiguo seme ridivengo e poi ancora in noi m'imbatto.Or ora il tempo soccombe, il passo s'arresta sul cedevole ventre, allacciandomi meandro su meandro alle braccia sui seni addossate e quel neo immesso a destra al verso che sul collo sversa e screma le labbra polpute di malinconia quando indosso al foglio s'adagiaobliando che gli occhi oramai son serratibastante mi è il tempo di sperare di scorgere ancora il sole attraverso i palmi in un gioco di vanità e veemenza di polsi appesi ad un sorso dal mareex novo ci ameranno le stelle nella lucida e maldestra insaniacome quando, partoriti, in corpo maturati assecondati a braccetto e spasmodici di straforo dalle orecchie tarpate consumati.