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Post n°40 pubblicato il 19 Settembre 2011 da forblog
Se par condicio deve essere, che lo sia sin dalla culla. Una buona regola che non ha però riscontro nella realtà: il numero di padri che si votano a pappe e pannolini si conta infatti sulle dita di una mano. Con un risicato 4% i maschi italici dediti alla prole soccombono alle madri, vincitrici a tavolino di una partita ancora tutta da giocare, nonostante dal 2000 le regole esistano (Legge Turco sulla maternità) e, negli anni, le proposte di miglioramento si siano sprecate in Italia come in Europa. I buoni esempi che arrivano da oltre Manica, il primo ministro inglese David Cameron, ad esempio, che si prese qualche settimana di permesso per occuparsi della figlia, alla lunga faranno scuola, convincendo anche il signor Mario Rossi a lasciarsi travolgere da colichette e passati di verdure. Un valido incentivo ad intraprendere la “via dell’astensione” si avrà (forse) dal 2012, anno di entrata in vigore dell’accordo sul congedo parentale, frutto dell’intesa tra i ministri delle politiche sociali dell’Unione Europea. Le nuove norme, oltre a migliorare la conciliazione tra lavoro e vita familiare, promettono l’equivalenza tra uomini e donne nel mercato del lavoro, parificando ruoli e trattamenti di mamma e papà. Entrambi potranno contare su uno stop di 4 mesi, sfruttabile anche da lavoratori a tempo determinato o part-time, e su orari flessibili in fase allattamento. Un sollievo per tutti i genitori degli stati membri dell’Unione, madri in testa, che potranno sostituire all’atavico "o il lavoro o la famiglia" il contemporaneo “il lavoro e la famiglia”. Con buona pace del ménage famigliare, anche la mamma-manager potrà indifferentemente confinare i sensi di colpa nel cesto della biancheria o nel cassetto della scrivania. Una rivoluzione di mentalità che già conta proseliti di vecchia data, pronti però a dare man forte alle nuove leve. "La scelta che facemmo ce la giocammo liberamente nell'ambito della coppia e non mi è mai pesata: a partire dai tre mesi e sino all’inserimento all'asilo nido, di Chiara mi presi cura io". Niente solidarietà femminile, ma qualche appoggio maschile, per questo mammo ante litteram che con le difficoltà di gestione riuscì però a fare i conti: "lo svezzamento non fu un gioco da ragazzi: convincere la bambina a mangiare fu più complicato di scalare l’Himalaya" . Più complicato, invece, tenere le fila del discorso con il resto del mondo. "Ancora ricordo l’imbarazzo delle educatrici all’inserimento al nido e la latitanza femminile nei piccoli bisogni quotidiani: nonostante mi presentassi sul tram con Chiara in braccio e il passeggino ripiegato, nessuna mi lascava il suo posto! Devo invece ringraziare il direttore di un ufficio postale che, per evitarmi una coda chilometrica annaffiata dalle lacrime di mia figlia, aprì uno sportello e risolse personalmente il mio problema". Una storia già sentita: gli uomini fanno squadra, le donne no. A meno che si tratti di colleghe, preferibilmente già mamme. "La componente femminile del mio ufficio appoggiò la mia scelta, mentre quella maschile, ad eccezione dell’entusiasmo di due giovani, si cullò in una sana indifferenza. Al mio rientro in ufficio ho dovuto però gestire la miriade di buoni consigli da parte delle altre mamme, che forse temevano l'usurpazione delle loro funzioni. Un’esperienza comunque molto positiva, che mi ha permesso di coltivare da subito il rapporto con mia figlia". Il momentaneo blocco lavorativo non sembra invece causare rallentamenti nella carriera dei padri, pronti a tornare alle loro postazioni una volta conclusa la baby-mission. "Anch’io mi sono sorbito i discorsi sulla responsabilità aziendale quando ho manifestato la necessità di lavorare meno dopo la nascita dei bambini. Post-congedo invece, ad eccezione di qualche battuta goliardica, ho incassato solo il supporto dei colleghi e la stima dello staff femminile che, pur desiderando il supporto dei mariti, è consapevole dell’impossibilità di veder realizzato il proprio sogno. Il congedo, del resto, anche nell’immaginario collettivo è tradizionalmente materno: persino i moduli di richiesta sono tutti declinati al femminile". La mia decisione di «andare in maternità», anche se per sole 2 settimane, è dovuta ad esigenze molto concrete: ad agosto gli asili sono chiusi, i nonni in vacanza e l’organizzazione per la gestione del pupo va in crisi. In azienda hanno accolto bene la mia decisione: il ricorso al congedo è un diritto, ma la disponibilità e l’appoggio dei nostri referenti lavorativi sono importanti per affrontarlo con la giusta serenità". Vien da pensare che paternità e maternità viaggiano dunque sugli stessi binari. "Non esattamente: l’uomo può scegliere se, quando e per quanto tempo congedarsi, la donna, invece, è obbligata per legge ad andare in maternità per almeno 5 mesi. Le ricadute negative per la carriera, soprattutto in aziende poco sensibili, non sono escludibili. Diverso sarebbe se la legge obbligasse anche i padri a prendersi un periodo di congedo dal lavoro: donne e uomini sarebbero davvero sullo stesso piano". Nell’attesa del 2012 non resta che tener duro e cercare di tamponare al meglio le esigenze quotidiane. Usufruire delle due ore di allattamento previste per la moglie è la soluzione adottata da Nicola Bettiol, Unit Manager Randstad, e padre della piccola Aurora. "Il desiderio di vivere più tempo possibile con mia figlia è andato di pari passo con l’esigenza di risolvere un problema concreto: non avendo nessun parente nelle vicinanze, pur ottimizzando al meglio la mia giornata, non riuscivo a seguire Aurora e a supportare la mia compagna. Chiedere il congedo era la soluzione perfetta per tutta la famiglia". Un compromesso niente male per un manager che, tra svezzamenti e pannolini, ha dovuto fare i conti anche con le sue ambizioni professionali. "Da subito ho sentito l’azienda solidale con la mia richiesta tanto che, al mio rientro, il percorso di crescita professionale cha avevo avviato non ha subito interruzioni a causa del congedo". |
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