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Un blog creato da francesconieddu il 09/06/2009

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Chet Baker - Rughe & jazz

Post n°1 pubblicato il 10 Giugno 2009 da francesconieddu
 
Foto di francesconieddu

Chet Baker è considerato da molti il più grande trombettista bianco della storia del jazz. Nacque a Yale, in Alabama, in piena crisi del ’29, da una famiglia assai modesta. Il padre, dopo aver tentato la carriera di musicista, sbarcherà il lunario con lavori saltuari. La madre, perennemente preoccupata di garantire con il suo impiego di commessa un sostentamento dignitoso al suo amatissimo pargolo, lo subisserà di attenzioni e aspettative per tutta l’infanzia e l’adolescenza, con ciò segnando i successivi rapporti di Chet col gentil sesso. Giovanissimo si arruola nell’esercito, dando inizio ad una vita errabonda interamente dedita a due passioni totalizzanti: la musica e la droga. Non sapeva leggere la musica; suonava ad orecchio, riproducendo con sorprendente facilità, all’istante, ciò che ascoltava. Nel '51 fu scelto da Charlie Parker per suonare nella sua band in una serie di concerti nella West Coast. Nel '52 si unì al Gerry Mulligan Quartet, divenendone in breve una delle punte di diamante, per via delle sue capacità strumentali fuori dal comune. Giunse alla notorietà con l'assolo di My Funny Valentine, eseguita dal Quartet. Dopo il rapido declino del Quartet, dovuto ai problemi di droga di Mulligan e a disaccordi fra Mulligan e Baker, questi fondò una propria band in cui, oltre che suonare la tromba, cantava. Nel '54 vinse il premio di migliore strumentista nel sondaggio della prestigiosa rivista Down Beat, superando musicisti del calibro di Miles Davis e Dizzy Gillespie.Aveva un'aspetto attraente ed un’aria molto cool: la tromba puntata sul pavimento del palco, lo sguardo malinconico, gesti misurati, rare parole. Possedeva un carisma naturale, per cui risultava intrigante nonostante fosse del tutto inaffidabile e non si creasse problemi ad impantanare nel fango della tossicodipendenza chiunque gli orbitasse intorno. Le biografie lo descrivono come un padre pessimo e come un compagno -per le donne e gli uomini con cui ha diviso qualcosa- se possibile peggiore.Divenne un'icona, il James Dean del jazz, finché le droghe cominciarono a minarne l’esistenza conducendolo al carcere anche nel nostro Paese, a Lucca, per oltre un anno, dopo un processo che fece davvero scalpore. Qualcuno racconta di note struggenti provenienti dalla cella, e di persone radunate all’esterno ad ascolatarle ammaliate. Seguirono espulsioni da Germania ed Inghilterra ed innumerevoli disavventure collegate alla dipendenza; il tutto inframmezzato da una quantità imprecisabile di incisioni, realizzate alla minima opportunità pur di pagarsi il vizio. Morì ad Amsterdam, nel 1988, in circostanze tuttora poco chiare.Questo ritratto più che sommario, integrabile attraverso la consultazione dei numerosi documenti facilmente reperibili, non vuole avere nessunissima pretesa; ha soltanto il fine di introdurre la domanda che sorge spontanea ascoltando Chet Baker suonare e cantare: "Come è possibile che un uomo tanto dissoluto abbia raggiunto le vette del lirismo?"Per quanto mi riguarda, ancora una volta la risposta è nei libri; in questo caso, nel Narciso e Boccadoro di Hermann Hesse: talvolta rotolare nel fango è la via più breve per giungere alla santità. E’ l’unica spiegazione che io trovo ragionevole, a proposito di come Chet abbia maturato la sua arte. In cosa consista la sua arte, invece, l’ha chiarito con geniale semplicità Paolo Fresu, uno dei migliori trombettisti attualmente in circolazione. Intervistato di recente da La Nuova Sardegna, ha espresso questo concetto: "Amo sia Miles Davis che Chet Baker. Si tratta di due maestri, mostri sacri. La musica di Davis ha a che fare con la tecnica; quella di Baker, coi sentimenti".Sono fatalista, detesto i rimpianti: la sezione “Occasioni mancate” è forse la più anoressica del mio personalissimo archivio, raccoglie ben poche schede. Mi sono imbattuto in Chet una decina d'anni fa, è stato un colpo di fulmine, e da allora ne custodisco la scheda in quella nostalgica sezione. Lui è lì, sul palco, suona, rapito; la penombra, il fumo, la campana della tromba, nascondono alla vista rughe prodigiose, fenditure profonde sino al cuore.

 
 
 
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