Bushi ni nigon nashi

- non devi trattare le cose importanti troppo seriamente -

Creato da BubY790 il 24/02/2005

 

Io non sono affatto forte. Ho solo imparato a raccogliere i cocci e a rimetterli assieme, ma questo lo sanno fare tutti, un po’ di colla di qua, un po’ di là, un po’ di “non fa niente”, “passerà”, “non importa” ed eccomi di nuovo in piedi. No, non sono forte. Io cado in pezzi ogni momento. È solo che so ricominciare.
[Carmelita Zappalà - da La Notte è in Fiamme] 

 

 

Com’è che un amore finisce? Finisce quando non ce n’è più, quando ce n’è troppo, quando in realtà non c’è mai stato. Un amore finisce perchè qualcosa si consuma: allora non bisogna usarlo, forse, l’amore. Ma finisce pure quando non si consuma niente e anzi: tutto rimane come il primo giorno. Così perfetto che pare finto. E allora almeno un po’ forse bisognerebbe usarlo, l’amore. E se poi finisce perché mentre lo usi ti cade per terra e si rompe? Anche quello può capitare. Così come che lo lanci in aria, per giocare, e quello però non ti torna più indietro: può capitare. O magari finisce perché te lo scordi da qualche parte, perché lo vuoi tenere sempre chiuso in tasca per non perderlo, ma così marcisce, va a male. Finisce perché andavi di fretta, finisce perché rimani indietro, finisce perché vuole finire, perché deve finire. Finisce perché non c’è cosa più impossibile da tenere a mente, quando un amore comincia, che potrebbe finire….

[Chiara Gamberale “Le luci nelle case degli altri”]

 

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TOO MUCH LOVE WILL KILL YOU

I'm just the pieces of the man I used to be 
Too many bitter tears are raining down on me 
I'm far away from home 
And I've been facing this alone
For much too long 
Oh, I feel like no-one ever told the truth to me 
About growing up and what a struggle it would be 
In my tangled state of mind 
I've been looking back to find 
Where I went wrong 

Too much love will kill you 
If you can't make up your mind 
Torn between the lover 
And the love you leave behind 
You're headed for disaster 
'Cos you never read the signs 
Too much love will kill you - every time 

I'm just the shadow of the man I used to be 
And it seems like there's no way out of this for me 
I used to bring you sunshine 
Now all I ever do is bring you down 
Ooh, how would it be if you were standing in my shoes 
Can't you see that it's impossible to choose 
No there's no making sense of it 
Every way I go I'm bound to lose 
Oh yes, 

Too much love will kill you 
Just as sure as none at all 
It'll drain the power that's in you 
Make you plead and scream and crawl 
And the pain will make you crazy 
You're the victim of your crime 
Too much love will kill you - every time 

Yes, too much love will kill you 
It'll make your life a lie 
Yes, too much love will kill you 
And you won't understand why
You'd give your life, you'd sell your soul 
But here it comes again 
Too much love will kill you 
In the end... In the end

 

 

E poi ci sono quelle cose che non si possono scrivere. Assenze.

Post n°314 pubblicato il 30 Luglio 2013 da BubY790

 

E no, lo so che non dovevo scrivere stanotte, che domani ho una giornata difficile e mi sveglierò presto e bla bla bla, chissenefrega dico io, questa roba qui di vomitare su un foglio bianco quello che la testa rifiuta e il cuore suggerisce e le dita trasudano è più un’urgenza che una banale necessità, è quel genere di cosa che ti fa dimenticare le scadenze, che ti fa saltare la fermata, ti ruba ore di sonno e ti spezza a metà la vita. Lo sanno bene quelli che. Quelli che vivono di sillabe. Di suoni nascosti sotto la lingua. Quelli che scrivono, lasciano riposare, rileggono e cestinano. E’ che le parole vanno a male. Ti svegli una mattina e te le trovi tutte lì, molli e verdognole come zucchine imputridite sul fondo di un frigorifero.
Qualcuno dice che non devo farlo. Che bisogna andare avanti a scrivere senza guardarsi indietro, che la storia che ho in testa… sarà lei a scrivere me. Altri suggeriscono di prendere spunto dalla mia realtà, che un punto di vista personale sulle cose è quanto di più onesto io possa fare nei confronti di un ipotetico lettore. 
E allora eccolo il resoconto breve dell’1.24 di notte.
L’altra sera ero ad una festa, una di quelle in cui arrivi tutta figa e vai via a pezzi, con i vestiti bagnati, i capelli crespi, il trucco sciolto e le scarpe in mano, una roba così. Alla fine, c’è stato un momento in cui mi sono guardata intorno e ho pensato: nessuno se ne accorge che io ormai non ci sono più. Ascolto, parlo, sorrido, mi butto in piscina, ma non ci sono più. 
Emme deve avermi adocchiato da lontano che sembravo sul punto di lasciarmi cadere perché mi ha invitato al suo tavolo, ma io non sono andata. Mi sono rinchiusa nello spogliatoio cercando di asciugarmi i vestiti con un phon da viaggio, ricacciare indietro l’angoscia, smettere di pensare alle aspettative, lasciarmi andare, lasciarlo andare, lasciarsi tornare. Cose così insomma. Ci ho provato. E forse per un po’ è stato come avrebbe dovuto essere sempre. La cosa più strana di tutte è che sono stata presente a me stessa per tutto il tempo, come se non volessi perdermi un solo secondo di vita. Nessuna sensazione sprecata, nessuna nebbia emozionale. Io c’ero. E ho continuato ad esserci fino ad oggi, quando alle 17.17 qualcosa di strano, come un lembo di realtà che si sovrappone ad un’altra, è accaduta. Io c’ero. Ed era nulla di più che un’emozione in transito, una cosa da poco a pensarci bene, o da tanto, per una come me, colma di mancanze come sono. 
Sono gli addirittura che mi stendono, i gran bel quello, gran bel quell’altro, sono quelle cose tipo ritrovarsi dopo settimane di assenze, sono come quella cosa lì che diceva Charles, quella che succede con le persone un po’ distratte, che appena le abbracci sembrano ricomporsi, mentre prima cadevano in mille pezzi. Sembrano tornare a se stesse, finalmente presenti a se stesse. Per questo le senti sospirare. All’improvviso, mentre parlano di altro. Le abbracci e loro sospirano. E basta quello. Basta quello.

Forse semplicemente continuerei a non sapere niente dell’amore.
E invece, qualcosa lo so.
So che passa. So che finisce. Che si delude. Illude. Corrode. Che evapora.
Che è una pozzanghera d’acqua limpida, e poi sporca.
Che è un liquido fatto di umore corporei. Che è cattiveria. Dolcezza. Che credi sia finito e poi torna. Che è indistruttibile.
Anche se si sfibra ogni secondo che passa. So che è imprendibile.
E che non si può dire.

[Simona Vinci]

 

 

 
 
 

All [we] need is love...

Post n°313 pubblicato il 29 Luglio 2013 da BubY790

Cuori piccoli li nutriamo di grandi illusioni, e al termine del processo camminiamo come discepoli a Emmaus, ciechi, al fianco di amici e amori che non riconosciamo [...].
Per questo conosciamo l'avvio delle cose e poi ne riceviamo la fine, mancando sempre il loro cuore. Siamo aurora ma epilogo, perenne scoperta tardiva.
Ci sarà forse un gesto che ci farà capire...

[Alessandro Baricco - Emmaus] 

 
 
 

Disegni ambigui e macchie di inchiostro. Carenze.

Post n°312 pubblicato il 17 Luglio 2013 da BubY790

 

E’ una sera da scrivere. Ecco perché sono qui. Con il culo sul pavimento piastrellato del balcone, la schiena contro l’armadio delle scope, le gambe incrociate, gli occhi pieni delle stelle che non vedo, le dita che prudono delle parole che non dico.
In questi giorni di fughe sconclusionate piene di attese, progressi professionali e rapide smentite sottaceto, luci stroboscopiche ed ombre cinesi, ho avuto a malapena il tempo di soffermarmi sulle cose sbagliate e dar loro un nome. Le ho chiamate impulso, urgenza e sentimento. E mi hanno portato nient’altro che guai.
Guai con il pensiero logico. Le muffe razionali, i grilli sparlanti, le oscurità emotive, l’allergia alle privazioni, gli spiragli soprattutto. Le porte che lasciano passare la luce, quel tanto che basta per pensare che lì dietro c’è il giorno. E’ come se il domani avesse un nome, da pronunciare sottovoce, ma non arrivasse mai. E questa specie di notte prima degli esami sa di cannella e uva fragola, birra cruda e sapone di marsiglia.
Così giro intorno alla luna stanotte, che mi dia delle risposte, se ne ha. Perché io so solo che, come quello, so di non sapere.
Stasera sto scrivendo come se in realtà stessi componendo una macchia di Rorschach, sporco il foglio un pezzo alla volta, riempio righe, incastro dettagli, ma in realtà quello che vorrei dire è che non ho nulla da dire. A parte, forse, questo smisurato bisogno di raccontarsi verità, come fanno quelle amiche che passano pomeriggi interi a mangiare gelato e scambiarsi monosillabi, solo per il gusto di condividere. Che tanto, alla fine, qualcosa verrà fuori.
E ci scommetto le ginocchia, qualcosa verrà fuori anche da questo post, che è nato così, come una voglia segreta e non può chiudersi senza nulla da dire. Ma anche sì. 
Del resto, pare sia così che funziona

"Si sedette sui gradini, senza entrare. Era ancora buio.
C'erano rumori strani, rumori che di giorno non si sentono.
Come briciole di cose che erano rimaste indietro,
e adesso si davano da fare per raggiungere il mondo,
e arrivare puntuali all'alba, nel ventre del rumore planetario.
C'è sempre qualcosa che si perde per strada, pensò.
Devo smetterla, pensò. […] Non si finisce da nessuna parte, così.
Sarebbe tutto più semplice se non ti avessero inculcato
questa storia del finire da qualche parte, se solo ti avessero insegnato,
piuttosto, a essere felice rimanendo immobile
".
[Alessandro Baricco - City]

 

 

 

 

 
 
 

Vorrei poter credere che la vita sia davvero qualcosa di più di un fiume che ti trascina via...

Post n°311 pubblicato il 13 Luglio 2013 da BubY790

E’ che nutrivo molte aspettative nei confronti della settimana appena trascorsa. Pensavo che qualcosa sarebbe accaduto, di grandioso, e che tutto sarebbe stato come desideravo fosse.
Credevo in un’epifania. Nella salvezza, nella morte e resurrezione. Credevo, soprattutto.
E forse aspettavo, intimamente, che quel sogno fatto al mattino, con l’alba che entrava dalle finestre, si sarebbe avverato. Mia nonna lo diceva sempre. Non raccontarli i sogni che fai, che se no non si avverano più, diceva. Io non li ho raccontati a nessuno. Li ho cullati nella mente per un po’, accarezzati alla luce del sole e rigirati tra le mani come fossero un cubo di rubik da cui tirar fuori una soluzione. Orienta gli spigoli e posiziona gli angoli. E tenta di non disfare la parte del cubo che hai risolto. Dei 43 miliardi di miliardi di combinazioni prima o poi l’azzeccherai quella giusta, che diamine.
Una cosa che ho capito con il tempo è che quello che credi di sapere di te stessa è solo una minima parte delle cose che la vita ti farà scoprire di essere. Io ho capito di avere il tipo di pazienza che solo i vinti hanno. Quelli che tanto, che vuoi che cambi, un giorno in più, una settimana, mesi, anni. Non importa. La vita è talmente lunga e il mondo così vasto e il mare di combinazioni del mio cubo magico sterminato.
La mia è una sorta di pazienza meditativa. Il tipo di calma apparente che nasconde un ribollire di emozioni ingestibili, voli pindarici, doppi salti mortali, tuffi carpiati e contorsioni spasmodiche.

"Avrei superato meglio quel momento se le mie emozioni mi avessero
tirato tutte nella stessa direzione, ma non era così semplice.
Venivo sbattuta di qua e di là come un foglio di carta nel vento"
.

Così mi costringo al silenzio, alla vita, all’impegno, agli interessi, agli amici, all’avere sempre qualcosa da fare, pur di non dar voce alle debolezze delle 2.30 di notte.
Faccio finta di nulla, ma mi accorgo di tutto. 
Ascolto i suoni, imparo lezioni e seguo andamenti, metto mi piace. Non chiedo. Non più.
Ho capito che avrei dovuto smettere quella sera che fu, quando alla fine di tutto le risposte c’erano, ma mancavano le domande. Soprattutto mancava la parte bella di ogni inizio.
Che poi non esserci è un no. Te lo prendi in faccia come uno schiaffo e finisce che ti spella viva e basterebbe anche quello, senza tutte le cambiali di circostanza da accettare come garanzia. Basta quello. Non esserci è un no. 
Mi sono chiesta più volte che cosa ha determinato tutto questo.
Se congiunzioni astrali sfavorevoli, interazioni stellari improbabili, eclissi lunari ed eruzioni vulcaniche abbiano interferito in maniera così inaspettata e preponderante nella mia vita, se invece si tratti della solita storia del si chiude una porta affinché si possa spalancare un portone e abbassare un ponte levatoio, se magari ho sbagliato qualcosa, se non sono abbastanza o se semplicemente non poteva funzionare.
Forse dipende dalla personalità. Come diceva Chiyo è una questione di elementi. Nella mia probabilmente ci sono acqua e legno.  L'acqua si scava la strada attraverso la pietra e, quando è intrappolata, si crea un nuovo varco, ma il legno mi tiene ancorata al terreno come un albero sakura, impossibile da estirpare. Quale dei due prevalga è questione di momenti.
In certe notti mi dimentico le questioni di principio e sono come in balia di una malefica dolcezza che mi fa dire le cose giuste alle persone sbagliate. E viceversa. 
Altre mi ritrovo ad introdurre nuove variabili ai metodi di risoluzione del cubo. Mi blocco su una fase, sbaglio mossa, ragiono troppo, disfo tutto e ricomincio. Resto incollata al terriccio dei miei “basta quello”.
Predico bene e, invece di razzolare, ruzzolo male. Di pancia, faccia a terra e gomiti scorticati, come succede a tutti quelli che inciampano sulla persona giusta al momento sbagliato. E viceversa.

 Le avversita’ assomigliano a un forte vento
che non soltanto ci tiene lontano dai luoghi in cui
altrimenti saremmo potuti andare, ma ci strappa
di dosso tutto il superfluo cossichè in seguito
ci vediamo come realmente siamo
e non come ci piacerebbe essere.

[A. Golden - da Memorie di una Geisha] 

 

 
 
 

Notti insonni e coscienza di se stessi. Forse.

Ale mi chiede cos’è che scrivo. E perché. E con quali parole. E se ce la faccio a tirar fuori il marasma di sensazioni che mi toglie il sonno nelle notti importanti, quelle che vengono sempre prima di una giornata difficile, la riunione programmatica, l’incontro ufficiale, la relazione, la presentazione, l’analisi delle competenze, la vivisezione emozionale.
E’ che uno poi finisce per credere anche alle stramberie che il suo cervello gli disegna per difenderlo dalle ingiustizie della vita, dalle mancanze inaccettabili e dalle assenze ingiustificate. Ci si organizza per incoraggiarlo con la musica giusta, i colori più adatti, le candele profumate accese intorno, un fondo di caffè che nasconde verità insostenibili et voilà, nous avons il mare di frasi fatto di parole, sillabe e punteggiatura da riversare su un blog di notte. Che io, a dirla tutta, manco volevo venirci qui. Volevo bazzicare uno di quei luoghi molto stylish, fashion, so posh e love make up che vanno tanto di moda oggi, quelli che se scrivi bene di una borsa te la spediscono a casa declinata in tutte le fantasie. Sarebbe stato più facile.
Io, a poter decidere, volevo nascere un’insalata bionda, una rallegratrice di serate o una pattinatrice su ghiaccio. Non questa specie di soldatessa senza divisa. Non questo cumulo di postulati da dimostrare. Non il nodo da sciogliere. Non io.
Che ad essere me ci ho rimesso la vita. La vita finora, s’intende.
Quello che ti spiegano è che occorre dar valore alle cose che si fanno, che ogni creatura vivente va rispettata, che l’ordine, l’onestà, la rettitudine, perfino la militanza sono parte di un disegno di amore per gli altri, il proprio paese e se stessi.  Quello che ti insegnano è a non far del male, a non mentire, a non scappare di fronte alle responsabilità. Ti chiedono di fare del tuo meglio, di sistemare il disordine, di condividere esperienze e cose, di non aver paura di abbracciare persone, culture e punti di vista. 
Quello che ti dicono di fare è diverso da quello che fanno. E questa non è onestà.  
Vai avanti per un po’ a chiederti per quanto ancora le parole non rifletteranno i fatti e se è davvero così che funziona. A volte ti senti migliore, altre sbagliato, nella maggior parte dei casi solo diverso. Alla fine sei solo il risultato di alcune scelte complicate, di un'adolescenza da cercatore d'oro e di un'eredità intellettuale da preservare.
Sarebbe potuto essere facile, certo. Ma avrebbe avuto un altro sapore la vita per me.
Io ammiro chi non si nasconde dietro una bandiera. Quelli che non si aggregano per sentirsi più forti. Quelli che non frequentano i comizi e le adunate e le parate militari, quelli che non partecipano ai cortei. Ammiro quelli che vivono del coraggio che riescono a racimolare ogni mattina. Quelli che hanno l’anima pura e non si contraddicono. I soldati che piangono davanti alle macerie di una città, i medici che crollano di fronte alla morte, i magistrati uccisi, i giornalisti rapiti, le madri coraggio di figli arsi vivi, il popolo dei clown d’ospedale, la stirpe silenziosa dei ricercatori scientifici. I figli della matematica, quelli della letteratura e di tutte le altre arti nobili. Io ammiro chi ancora ci crede, e non si vergogna di aver fiducia. Chi non distrugge. Chi costruisce. Chi si interroga. Chi capisce. Chi sa leggere, chi sa spiegare. Chi sa dimostrare, chi si ferisce, chi si cura degli altri, chi si difende, chi combatte. Chi si piega, ma non si spezza e quei pochi senza nome, che anche spezzati, feriti a morte, fragili come cristallo, vanno avanti per tentativi e non smettono mai di dire grazie. 
E quindi grazie. 

 



 

 

 

 
 
 

Me... about today...

Post n°309 pubblicato il 03 Luglio 2013 da BubY790

 
 
 

Solo un imprevisto potrà salvami da me stessa...

 

Ispirata no. Satura forse. Debordante di motivi. Ecco perché sono qui anche stasera. Con l’anima a brandelli e il sangue che mi va a fuoco. Scriverò fino a che non mi sentirò svuotata. Quindi preparatevi, se avete voglia di leggere, oppure andate… mica mi offendo. Del resto danno la partita su qualche canale. Lo so perché in questo palazzo e in quello di fronte e a destra e a sinistra e in fondo al viale gridano tutti. A Roma usa così, cori da stadio in salotto, vuvuzela sul balcone. E’ la cultura der pupone, mica puoi fargliene una colpa.
Io ho scostato le tende e aperto questa finestra che da sui tetti prima ancora di telefonare. Perché ho bisogno di scrivere e lo sa chi mi conosce davvero, il mio è un impulso senza opzioni. Non importa cosa, non importa dove né perché, io mi fermo da tutto – di solito – raccatto qualcosa che scriva o macchi o tagli e lo faccio. Vale lo stesso per le superfici. Basta che siano.
Andava bene tempo fa, quando si scarabocchiavano fino allo sfinimento le tovagliette dei pub, una volta ci ho scritto sopra che l’amore avrebbe salvato il mondo. E pensavo davvero l’avrebbero incorniciata una volta che me ne fossi andata. Era quel genere di cosa che credi quando sei alle stelle e hai tutto quello che ti serve per essere felice e ti senti fortunata e grata e hai mille grazie nella testa che non sai a chi rivolgere e per questo cerchi di contagiare lo spazio circostante e chi lo abita con i tuoi deliri da Pollyanna. Stasera pensavo che vorrei provarla un’altra volta la sensazione di non voler essere in nessun altro posto al mondo. Solo un’altra volta, un’altra piccola illusione e poi smetto. Giuro.
Ma immagino sia tardi ormai. E che il mio essere un’adulta mi preserverà dalle emozioni troppo forti. Come no.
La fatica per sembrare indifferente mi sta consumando da dentro, ma mica demordo. Me ne accorgo che vado in pezzi, ma resisto. Stoica. Davanti al disastro delle mie questioni di  principio. Una poltiglia informe che sa di roba andata a male.
Le energie che disperdo cercando di far finta di niente vengono sottratte al traballante raziocinio che mi contraddistingue, tutti i Non Importa che ho collezionato cominciano ad importare e so che presto o tardi mi faranno un culo così. Prendo provvedimenti per la coerenza, gli aggrovigliamenti inaspettati e i mesi di silenzio e zuccherini. E’ difficile comprendere perché fra tutte le voci e i silenzi e i modi di camminare e di ridere e di fare l’amore in cui ti imbatti capita quello che ti raggiunge proprio lì , dove fa sempre freddo, e lì rimane. E’ difficile, ma in qualche misura lo capisci subito che sei fregata, ti rifili storielle come se avessi ancora l’energia per crederci. E te le racconti fino a che non diventano credibili. C’è questo di patetico.
Una volta mi ha scritto una tipa che era stata lasciata dal suo uomo perché lui la amava troppo e aveva annullato tutto per lei e non ne poteva più. Un’altra volta ho sentito di una ragazza che ha lasciato il suo amore perché temeva di perderlo e non voleva soffrire. E’ paradossale, no? Già me li immagino i miei 25744 illustri sconosciuti che si agitano e scalpitano che l’amore è una cosa semplice e che abbiamo gli occhi foderati di prosciutto e i sensi anestetizzati dal sale delle nostre lacrime e bla bla bla quanto la fate lunga. Noi donne sappiamo praticare l’antica arte dell’astrarci totalmente da una valutazione razionale dell’individuo – oggetto del nostro interesse - che abbiamo di fronte per puntare tutto su “quello che sentiamo”. Ci fidiamo più dei nostri sensi, regolati da ormoni, bisogni e fandonie, che dei fatti nudi e crudi.
Solo le onde d’urto ci riportano alla realtà, quella zona di discontinuità che ci mette in subbuglio le emozioni, il campo fluidodinamico che ondeggia altalenando tra dentro e fuori, esserci e sparire, scrivere e tacere. E’ allora che cominciamo a tenere duro. A soppesare le situazioni, ridimensionare le aspettative, rivalutare l'amore - o quantomeno il rispetto - per noi stesse. E tieni oggi, tieni domani diventi di cemento armato e ti ritrovi i chiodi dentro al cuore e scaglie di diamante al posto degli occhi, legno di quercia sui polpastrelli e sai quella patina di resina vischiosa che sembra Distacco di cui ti ricopri?
E’ un’armatura. Si chiama difendersi. 

Siamo tutti, forse, il Peter Pan di qualcuno.
Innocenti: tutti.
Senza cuore, con chi è davvero pronto a darci il suo.
[C. Gamberale] 

 

 
 
 

La vita continuò perché la vita continua, e il tempo passò, perché il tempo passa.

Post n°307 pubblicato il 25 Giugno 2013 da BubY790
 

 

Che poi io se dovessi chiedere una grazia a qualcuno chiederei di non dover più pensare così intensamente alle cose, di non lasciarmi coinvolgere così a fondo dagli eventi, di non essere messa costantemente alla prova. Chiederei un po’ di silenzio, nella testa. La pace.
Mi anestetizzo dalla vita andando al parco a correre ogni sera. Nascondo tutti i miei “non importa” sotto il tappeto ed esco. 
La prima volta che ci sono stata avevo un inverno di ghiaccio e lame affilate che mi squaciavano da dentro, così, per la paura di spezzarmi, ho percorso i primi metri del tracciato camminando lenta. Mi guardavo attorno come una bestia ferita a morte che cerca un posto in cui nascondersi. 
Poi è successo che qualcosa ha preso a bruciarmi addosso. Tutto il groviglio di angosce filamentose, brutture, nodi e spasmi sfilacciati si è sciolto e mi è colato via dagli occhi. Ho fatto un respiro, finalmente. 
Il primo respiro profondo dopo mesi di nero e apnea.
Ho camminato per ore quel giorno, ripetuto lo stesso identico percorso fino a sfinirmi di lacrime ed euforie, stupore, meraviglia, sconcerto.
Ed era come se non avessi mai visto gli alberi. Come la luce, all’improvviso. Dentro gli occhi, di mattina.
E io non lo so se l’avete presente l’inverno. Le emozione sotto ghiaccio. Le ferite che non rimarginano. Le labbra secche, le parole screpolate, gli occhi di vetro. Quella specie di buio nel cuore. Una canna fumaria infilata nel petto e il nero fuligginoso che ti ricopre l’anima. Una cosa così.
Che pensi non passerà mai. E invece.
Invece il destino delle persone è di andare avanti. Invece una nuova primavera c’è per tutti. Invece la speranza non deve abbandonarti. Invece dai che puoi farcela, tu sei così immensa. Una briciola.
Succede ancora che a volte devo aggrapparmi. Succede che devo fermarmi e prendere fiato. Succede che devo nascondermi, quando, con gli occhi pieni di perché, mi guardo indietro e non capisco.
Invece, ecco, il destino delle persone è di andare avanti. Me lo ripeto da giorni, vai avanti e ti salverai. Chiudi gli occhi sulle cose sbagliate, allontana il dolore, rifuggi l’angoscia e chi ne è foriera, gira come gira il sole e vivi dentro la luce. Danza in un cerchio di fuoco e sbarazzati  della sfida con una scrollata…
Ci sono battaglie che non si vincono, forse perché non sono nemmeno battaglie. Sono prove. Tentativi di persuasione e deboli esperimenti di scoramento. Sono quel genere di incognita che ti insegna a non biascicare giuramenti a vanvera, non dire più per sempre e credere al futuro semplice. Ti insegna che i segreti sono manette e che bisogna dire sempre la verità, anche se ti trema la voce. Ti insegna che a rincorrere il nulla succede che ti perdi. E che presto o tardi ti succederà di dire allo specchio "non hai imparato niente" un'altra volta. 

 

 

 

 
 
 

Le anime nude sono sempre così miserabili...

Eccola la sera che. La aspettavo da settimane. Sognavo di mettermi qui alla luce di una lampada, con la finestra spalancata sui tetti di Roma e scrivere. Oddio, che poi scrivere ho scritto eh. Ho scritto su foglietti strappati e ricevute di ristorante, suole di scarpe per bambini e vetri appannati. Ho scritto “nella [mia] camera, nella febbricitante bianca luce artificiale, nella camera cosparsa di carta e libri, [ho scritto] alla [mia] scrivania, [ho scritto] a Peter e a Penn, e la pioggia picchietta[va] sul vetro della finestra, la pioggia imperla[va] il vetro della [mia] finestra e rotola[va] via dolcemente come lacrime”… [J.K.]
Ma stanotte è diverso. Perché ho chiuso fuori il mondo, stanotte che è proprio una notte di quelle. Una notte che piove. 
Scrivo senza censure della [me] che ho preso a conoscere negli ultimi mesi, ora che ho un posto adatto, una scrivania di vetro temperato e acciaio, davanti ad una finestra che guarda le luci di questa città e si incanta. Ho spento, disconnesso e fatto logout. Salutato tutti con la mano, che tanto ci vediamo domani. Per forza. E ci sentiamo certo, magari un’altra volta. Che stanotte mi sento nostalgica. E ho voglia di scrivere. E ho voglia di facciamolo e basta, fanculo il resto e il mondo e loro e domani.
Ho voglia di conseguenze. Di ore notturne e fughe dalla realtà emotivamente sconclusionate.
E di pensare. E riflettere. E capire, leggere e ascoltare - ancora una volta - questa cavolo di canzone che mi è entrata in testa, una sera di queste, quando ridevo e cantavo e c’era un’aria di festa dei sensi, che sembrava tutto possibile. Di possibile ora c’è questo silenzio di giorni. Il senso delle cose senza ragione, che arrivano all’improvviso e ti rovesciano i cassetti. Lasciandoti lì, smarrita e stupida, a chiederti il perché.
La prossima volta rimani, ti prego, così buttiamo i cuscini dal balcone e ci sembreranno ali di angeli in volo e turbinii di colombe bianche. La neve. Zucchero filato per gli occhi. 
Da grande voglio fare quella che incastra le parole giuste alle domande sbagliate. Quella che ci prende, con la gente. Quella che lo capisce che si soffre di meno se non ti aspetti nulla. Che lo sa che le cose – spesso o sempre – sono proprio quello che sembrano. E che quando arriva il momento in cui bisogna lasciar perdere non stia lì troppo a lambiccarsi il cervello sui punti interrogativi, ma lasci fluire punti di sospensione senza scadenza.
Kurt diceva che la verità è che non c’è verità. Che nessuno se ne va mai per davvero e nessuno resta per sempre. Così, in questa vita sospesa, io peso ogni cosa e mi lascio investire dalle situazioni e coinvolgere dalle assenze e spezzare dai silenzi, ma spingo a fondo sul tasto del “non importa”. Per salvarmi. Non importa, tranquilli tutti: io sto bene. Non importa, siate felici: io ce la faccio anche da sola. Non importa, abusatemi: io sono invincibile. Non importa.
Perchè quando attraversi l’inferno, transitando di corsa sotto i portici delle tue cattedrali al collasso, afferrando ogni maceria come fosse una reliquia preziosissima e sacra, l’unica parola che ti viene in mente per la tua vita è ABUSATA. Non è colpa di nessuno. E’ che succede. Succede di essere vittime, ma anche di diventare carnefici. Succede di subire e succede di scappare. Succede che il silenzio è l’unica strada percorribile. Il classico ti chiamo domani di un domani che non arriverà mai. E tu sei lì semplicemente ad esserci, come dietro una porta chiusa, senza il campanello e con le mani legate. Esserci. Aspettando. 
Non importa sai, il tempo è solo giorni. I giorni finiranno e presto sarà tardi per tutto. 

 

 
 
 

In attesa di giochi senza memoria dove vendersi e svendersi e poi dimenticare. Cosa di alta magia non ferirsi mai.

Post n°305 pubblicato il 24 Maggio 2013 da BubY790

Dovrei fare mille cose, lo so. E chiamare. Dovrei chiamare. Ma non ora. Ora ho questa specie di urgenza di scrivere, l’impellente sensazione di prurito nelle dita, lo stupore cieco delle parole che mi nascono in testa. Leggevo di quella storia del rimanere imperturbabili dal blog di Lab.

L’immagine stupenda di qualcuno forte e fiero, che non si piega, che non cede, che non ha paura, che non implora, che non chiede, non pretende e non si aspetta. Vive. Semplicemente. Per se stesso.

Credo che sia la condizione ottimale per vivere in questo mondo. Non esporsi. Non dichiararsi. Non essere mai troppo se stessi.

E al diavolo io vivo tutto al 100%. Al diavolo voglio essere quella che non teme le emozioni. Al diavolo sono fedele a quello in cui credo. Al diavolo io sono senza filtri. Al diavolo io non conosco tecniche. Al diavolo non si gioca con i sentimenti.

 

Da oggi alte le mani e bassa la guardia. Nessuno si merita di starti troppo vicino se non è passato prima per l’inferno. E anche in quel caso. Non scoprirti. Nessuna emozione deve tradirti, nessun cedimento. Niente.  Da oggi sei quella che non dice. Quella che non chiede. Quella che non ha bisogno.

 

Ti ci abituerai. 

 

 
 
 

Guardo le stelle... prendo coraggio. Sopravvivo.

Post n°304 pubblicato il 11 Aprile 2013 da BubY790

 

Stasera ho scritto una mail a Sham. Le ho raccontato ogni cosa, le sensazioni, i sentimenti, il senso del non senso, la disfatta, l’abbandono, le luci nella notte, i miei risvegli, le ho detto di tutte le volte che mi sforzo di fare qualcosa di importante mentre quello che vorrei è lasciarmi cadere nel vuoto. Ci sono cose, come questa musica di pianoforte, che sembrano parlino di me. Che raccontino il mio stato meglio di qualunque post o sms ed e-mail io decida di scrivere. Così ho deciso di non provarci per un po’ e di mettermi lì a leggere tweets in giro, regalare stelline di approvazione, copiare sui miei quaderni pezzi di libri che mi hanno accarezzato il cuore in questi giorni. Sembra di vivere dentro le citazioni.
Questi giorni che sono pieni di uno strano senso di primavera. Il dolore che sto incubando, il male profondo, lo stato di abbandono in cui versano le mie braccia, l’acqua dagli occhi, il sorriso spento stanno via via lasciando il posto ad una specie di rassegnazione. Il fiume di desolazione che straripava ad ogni tramonto ora scorre composto e lento nel suo letto di ciottoli e ghiaia, l’angoscia della prima sera è stata domata, adesso dorme accoccolata come un gatto selvatico sulla poltrona dove alle 3.40 di ogni notte la raggiungo. Aspetto l’alba accarezzandomi i ricordi come un vampiro affamato e poi torno a letto, dove riesco a dormire altre due ore. Poi è giorno. E con la luce del sole la vita è più sopportabile.
Poi tragitti, scale e ascensori. Telefoni, computer, persone, persone, persone e spremersi fino all’ultima goccia, fuorché… pensare.
Stasera sono tornata in quella chiesa. E non è stato per pregare. Sono entrata e mi sono seduta in un angolo. C’era come una musica d’organo che non faceva alcun suono. C’era quindi un silenzio d’organo. E c’ero io, che riuscivo ad esistere in un posto, immobile, senza impazzire.
Le chiese mi hanno sempre fatto piangere. E sempre mi sono chiesta il perché. Forse è per quell’uomo morto, appeso lì sulla croce. Forse è per l’esattezza di tutte le centinaia di candele accese da una speranza. Forse è per l’incanto straziante di quei vetri colorati, le colombe bianche, i fiori sempre freschi, la luce limpida che filtra dalle porte. Forse è per il principio della cassa armonica, che aumenta l’intensità del suono e ne caratterizza il timbro, sfruttando il fenomeno della risonanza, che mi sembra di sentire di più [me] quando ci sono dentro. 

"Abbi il coraggio di restare pur avendo fallito alla grande.
Fai che la gente si chieda perché sorridi ancora…

 

 
 
 

Mangia. Prega. Ma smettila di amare.

Post n°303 pubblicato il 04 Aprile 2013 da BubY790

 

“Tutti vogliamo che le cose restino uguali, accettiamo di vivere nell’infelicità perché abbiamo paura dei cambiamenti, delle cose che vanno in frantumi, ma io ho guardato questo posto, il caos che ha sopportato, il modo in cui è stato adoperato, bruciato, saccheggiato, tornando poi ad essere sé stesso, e mi sono sentita rassicurata.

Forse la mia vita non è stata così caotica, è il mondo che lo è, e la sola vera trappola è restare attaccati a ogni cosa.

Le rovine sono un dono. La distruzione è la via per la trasformazione.

Anche in questa città eterna l’Augusteo mi ha dimostrato che dobbiamo essere sempre preparati ad ondate infinite di trasformazioni.”

 

 

 
 
 

Half a world away...

Post n°302 pubblicato il 24 Marzo 2013 da BubY790

 

Quando hai l’anima a brandelli non dovresti metterti a scrivere. Quando il tuo iTunes si ferma sulla discografia dei REM dovresti mettere in pausa il cervello, spegnere il computer e uscire di casa. Dovresti camminare finché hai fiato, arrivare dall’altra parte del mondo e perderti.
Quando il tempo diventa un ventilatore impazzito che spazza via i ricordi, quando la luce è solo l’artificio di una specie di calma irreale da fine del mondo, no, non dovresti fermarti. Dovresti attraversare l’oceano a nuoto.
Prendere un biglietto di sola andata per Tokyo. Restarci. Imparare il silenzio in un tempio buddista. Perdere gli occhi per l’incanto della fioritura dei ciliegi. Quando sei così stanca da non riuscire a concepire un pensiero che non sia di rassegnazione allora non dovresti pensare. Ma volare. Infilarti una tuta, allacciarti l’imbragatura del deltaplano e buttarti. Lanciarti da un aereo da turismo, catapultarti giù da una scarpata, rotolarti da una montagna innevata con una tavola da snowboard. Tutto, tranne pensare.
E invece ho passato questo w-e da sola. E non ho fatto altro. 
Ho pensato così tanto da farmi esplodere le tempie. Mi sono stretta così a lungo le ginocchia al petto che ora ho dei solchi profondi all’altezza del cuore. Ci raccolgo le lacrime come fossero acqua piovana. E poi le bevo.
Mi sento addosso queste parole. E ogni singola nota. E’ così. E’ così che mi sento. 
So solo che devo andare... e che non so come fare.

 

 

 
 
 

Monologo di Lee...

Post n°301 pubblicato il 21 Marzo 2013 da BubY790
 

Devo trovare un uomo. Si chiama Coccodrillo. Spaccia. O forse non è lui. Sai se Leone si bucava? Tu dici di no, ma spesso non si dice neanche a chi ti sta vicino. No, hai ragione tu, Leone non era il tipo. Però cosa faceva lì a Bessico? C'è quel tipo, Federico, un fascista ripulito, l'ho preso da parte, mi ha spiegato le virtù di quel palazzo. Ho imparato a imitarli sai, a volte cammino e parlo come loro, sento anche quello che pensano, non ci credi? Mi hanno portato via i miei libri, certi vanno bene altri no, dicono, proprio come in carcere, e anche sei punture di Zerol mi fanno e io mi alzo e corro via e loro ci restano di merda, il dottore ha detto, questo è come se c'avesse dentro un'altra chimica, ed è vero, non guardarmi così: è la scienza che lo dice, tutte le volte che guardi più profondamente una cosa, trovi nuovo disordine, nuove particelle, figure nella polvere e tutto quello che sapevi di quella cosa salterà in aria. Hai mai visto i matti guardare sempre nello stesso punto? Tu non sai cosa possono vedere e non sai perchè resto sveglio e non voglio salvarmi ad ogni costo, non guardarmi così. Una volta ci somigliavamo, eravamo tre note di un accordo, leone cina e zingara, ma poi c'è un punto in cui i fili si rompono e gli altri si allontanano. Ma i bastardi li vedo bene sì, quelli sono ancora ai loro posti pazzi di rabbia perchè per una volta li abbiamo smascherati, e non ce lo perdoneranno mai nei secoli dei secoli e allora è guerra, non farmi i tuoi discorsi miti, la mitezza è un privilegio grande ma il dolore la avvelena in un attimo, io esco da quella galera e la città è peggio che mai, la gente cade per terra, parla da sola, vomita e crepa e tutti passano e non hanno visto niente, e si affrettano a dare nuovi eleganti nomi alla loro corruzione, e ogni tanto parlano dell'uomo comune, ipocriti, l'uomo comune che vi piace è stupido e avido come voi, così lo vorreste, un vigliacco che può ammazzare per vigliaccheria, mentre loro ammazzano per necessità, per i loro divini soldi, Lucia, sono loro ora gli estremisti, violenti assassini estremisti dell'ideologia più ideologia del secolo, un'economia più sacra di una religione, più feroce di un esercito, ricordatelo bene con un brivido quando tutto salterà in aria, quando si oscurerà, malattia senza sintomi, caos di geroglifico incomprensibile e voi sempre più crudeli informati impotenti in mezzo alla strada, e chi raccoglierà i frammenti allora gli oggetti i rottami, magari ci fosse qualcuno, magari ci sarà davvero Lucia, questa è la speranza e intanto brucio e non c'è nessun patto da firmare nè col diavolo nè con la rassegnazione, Lucia, siamo un'altra cosa da sempre fortunatamente e non guardarmi così no, non ho finito, te lo dico io chi ha ucciso Leone, forse uno di questi che una volta facevano i compagni e hanno spacciato per anni e dicevano che erano i fascisti, col cazzo, vieni con me a vedere chi sono, oppure hai paura, scusami non venirci, son posti schifosi ci nuota il coatto si dice adesso, come suona bene, peccato che tutti i compagni non siano come te Lucia, vieni a vedere questo Coccodrillo spia della polizia, me l'ha venduta tante volte la roba e quando ho smesso me la lasciava gratis sul sedile della macchina, generoso, vero? Come quelli che ti lasciavano l'esplosivo in casa e dicevano ognuno deve fare la sua parte, eppure c'è chi mi ha salvato tante volte, parlato, anche tu Lucia, e ci sarà alla fine una verità Lucia e scopriremo la verità giù nell'acqua e su fino al più altissimo porco non ci credi? dimmi di sì, io brucio dentro questa storia e non ne vedrò la fine, ma scopriremo la verità, perchè se c'è solo un po' di verità c'è speranza e chi l'ha fatta brillare ha fatto abbastanza e non importa se poi non si salverà, salvarsi per avere cosa, questo mondo dove continuano a insultare chi è debole, Lucia, se penso a tutte le persone pulite che ho incontrato e continuano a offenderle Lucia, le uccidono, non ci sono parole per questo delitto, non si può sopportare tutto questo capisci Lucia quando sono nella mia stanza e qualcuno urla anche con gli occhi si può urlare Lucia, Lucia mi chiedo, che cosa è successo, perchè fingete di non vedere, vorrei capire qualche volta Lucia, ma sapessi che musica nella testa, negli oggetti consumati, e dopo quanto veleno ti senti addosso Lucia, e allora pensa se non fosse così, se non ci credessi più, se fossi perbene Lucia saremmo una coppia normale, io e te, al ritorno dal cinema andremmo a casa e non saremmo perduti in una città di notte, ma quelli perbene forse sono perduti lo stesso Lucia, ma se almeno ascoltassero, se capissero che l'altra metà di verità per quanto si può raccontare solo urlando è l'altra metà necessaria, non si può tagliare via non si può dimenticare, alla fine solo il dolore esiste come esisto io, un matto per strada, un matto è una persona che non sa dove andare, niente di più Lucia, tu puoi capire, tu che sei benedetta tra le donne, tu che mi hai visto felice, tu che sei coraggiosa tu che a volte mi hai lasciato solo come un cane tu che adesso per favore scendi non guardarmi ti dico, questo è un sentiero per comici spaventati guerrieri e io non voglio né vincere né perdere solo che tu mi ricordi e dopo che mi anneghino nello zero di quelle medicine e mi chiamino come vogliono e tornino a raccontare le loro storie, non sono vere, manca metà, tu lo capisci cara, almeno tu e allora scendi per favore.

Stefano Benni

 
 
 

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Post n°300 pubblicato il 18 Marzo 2013 da BubY790

Io credo nel karma.
Credo che si riceve ciò che si è dato...

 

 

 
 
 

Omicidi, crimini, povertà. Queste cose non mi spaventano. Quello che mi spaventa sono le celebrità sulle riviste, la televisione con cinquecento canali, il nome d’un tizio sulle mie mutande, i farmaci per capelli, il viagra. Siamo i figli di mezzo della storia, non abbiamo né uno scopo né un posto. Non abbiamo la grande guerra né la grande depressione. La nostra grande guerra è quella spirituale, la nostra grande depressione è la nostra vita. Siamo cresciuti con la televisione che ci ha convinto che un giorno saremmo diventati miliardari, miti del cinema, rock stars. Ma non è così. E lentamente lo stiamo imparando. E ne abbiamo veramente le palle piene… [da Fight Club - Chuck Palahniuk]

 

Ecco cosa ti spacciano per civiltà.
Gente che non si sognerebbe mai di usare pesticidi o insetticidi e poi infesta il quartiere con lo stereo sparando dischi di cornamuse scozzesi. Di lirica cinese. Di musica country e western.
Fuori, un uccellino che canta ci sta bene. Patsy Kline no.
Fuori c'è già il frastuono del traffico, che basta e avanza. Aggiungerci il concerto per piano in mi minore di Chopin non migliora la situazione.
Tu accendi la musica per coprire il rumore. Altri alzano la loro musica per coprire la tua. Tutti quanti si comprano uno stereo più potente. È la corsa agli armamenti del suono. E non è con le frequenze alte che vinci.
Non conta la qualità. Conta il volume.
Non conta la musica.
Conta vincere.
Per sbaragliare i concorrenti ti ci vogliono i bassi. Le finestre devono tremare. Nascondi la linea melodica con l'equalizzatore e ti metti a sbraitare le parole della canzone. Ci infili dentro delle volgarità e sottolinei bene ogni singola parolaccia.
È così che vinci. Perché alla fin fine è una faccenda di potere.

Chuck Palahniuk - da Ninna Nanna

 

Dove abiti Murray?
In una pensione. Ne sono talmente affascinato e intrigato.
Una splendida vecchia casa in rovina vicino al manicomio.
Sette o otto pensionanti, più o meno permanenti, tranne me.
Una donna depositaria di un segreto terribile.
Un uomo dall'aspetto ossessionato.
Un altro che non esce mai di camera.
Una donna che sta per ore davanti alla cassetta delle lettere, in attesa di qualcosa che sembra non arrivare mai.
Un uomo senza passato.
Una donna con troppo passato.
C'è un odore di vite infelici, da cinema, che mi fa sentire perfettamente a mio agio.

Don De Lillo - Rumore Bianco

 

L'unica cosa che mi sembra sicura è che il corpo e la mente delle persone ricevono e trasmettono molte più informazioni di quanto le persone stesse non pensino. Questa colorazione misteriosa a volte mi spaventa, perché mi dà la sensazione di essere completamente esposta, a volte mi conforta e mi stringe il cuore. (da The Sound of Silence, in Il corpo sa tutto - Banana Yoshimoto)

 

Perché per me l'unica gente possibile sono i pazzi, quelli che sono pazzi di vita, pazzi per parlare, pazzi per essere salvati, vogliosi di ogni cosa allo stesso tempo, quelli che mai sbadigliano o dicono un luogo comune, ma bruciano, bruciano, bruciano, come favolosi fuochi artificiali color giallo che esplodono come ragni attraverso le stelle e nel mezzo si vede la luce azzurra dello scoppio centrale e tutti fanno Oooohhh! (da On the road - Jack Kerouac)

 

D'altronde, l'isteria è possibile solo con un pubblico. [...] Vai a com'era la vita quando eri una bambina e potevi mangiare solo omogeneizzati. Cammini vacillando fino al tavolino da caffè. Sei sui tuoi piedi e devi barcollare su quelle gambe a salsicciotto oppure cadere giù. Poi arrivi al tavolo da caffè e sbatti la tua testolina soffice contro lo spigolo.
Sei per terra, e cavolo, o cavolo, fa male. Però non c'è niente di tragico fino a che non accorrono Mamma e Papà.
O povera coraggiosa piccolina.
È solo allora che piangi.
(da Invisible Monster - Chuck Palahniuk
)

 

Ogni guerriero della luce ha avuto paura di affrontare un combattimento.
Ogni guerriero della luce ha tradito e mentito in passato.
Ogni guerriero della luce ha imboccato un cammino che non era il suo.
Ogni guerriero della luce ha sofferto per cose prive di importanza.
Ogni guerriero della luce ha pensato di non essere guerriero della luce.
Ogni guerriero della luce ha mancato ai suoi doveri spirituali.
Ogni guerriero della luce ha detto “sì” quando avrebbe dovuto dire “no”.
Ogni guerriero della luce ha ferito qualcuno che amava.
Perciò è un guerriero della luce: perché ha passato queste esperienze, e non ha perduto la speranza di essere migliore.


 
 

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