Bushi ni nigon nashi

- non devi trattare le cose importanti troppo seriamente -

Creato da BubY790 il 24/02/2005

 

Io non sono affatto forte. Ho solo imparato a raccogliere i cocci e a rimetterli assieme, ma questo lo sanno fare tutti, un po’ di colla di qua, un po’ di là, un po’ di “non fa niente”, “passerà”, “non importa” ed eccomi di nuovo in piedi. No, non sono forte. Io cado in pezzi ogni momento. È solo che so ricominciare.
[Carmelita Zappalà - da La Notte è in Fiamme] 

 

 

Com’è che un amore finisce? Finisce quando non ce n’è più, quando ce n’è troppo, quando in realtà non c’è mai stato. Un amore finisce perchè qualcosa si consuma: allora non bisogna usarlo, forse, l’amore. Ma finisce pure quando non si consuma niente e anzi: tutto rimane come il primo giorno. Così perfetto che pare finto. E allora almeno un po’ forse bisognerebbe usarlo, l’amore. E se poi finisce perché mentre lo usi ti cade per terra e si rompe? Anche quello può capitare. Così come che lo lanci in aria, per giocare, e quello però non ti torna più indietro: può capitare. O magari finisce perché te lo scordi da qualche parte, perché lo vuoi tenere sempre chiuso in tasca per non perderlo, ma così marcisce, va a male. Finisce perché andavi di fretta, finisce perché rimani indietro, finisce perché vuole finire, perché deve finire. Finisce perché non c’è cosa più impossibile da tenere a mente, quando un amore comincia, che potrebbe finire….

[Chiara Gamberale “Le luci nelle case degli altri”]

 

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TOO MUCH LOVE WILL KILL YOU

I'm just the pieces of the man I used to be 
Too many bitter tears are raining down on me 
I'm far away from home 
And I've been facing this alone
For much too long 
Oh, I feel like no-one ever told the truth to me 
About growing up and what a struggle it would be 
In my tangled state of mind 
I've been looking back to find 
Where I went wrong 

Too much love will kill you 
If you can't make up your mind 
Torn between the lover 
And the love you leave behind 
You're headed for disaster 
'Cos you never read the signs 
Too much love will kill you - every time 

I'm just the shadow of the man I used to be 
And it seems like there's no way out of this for me 
I used to bring you sunshine 
Now all I ever do is bring you down 
Ooh, how would it be if you were standing in my shoes 
Can't you see that it's impossible to choose 
No there's no making sense of it 
Every way I go I'm bound to lose 
Oh yes, 

Too much love will kill you 
Just as sure as none at all 
It'll drain the power that's in you 
Make you plead and scream and crawl 
And the pain will make you crazy 
You're the victim of your crime 
Too much love will kill you - every time 

Yes, too much love will kill you 
It'll make your life a lie 
Yes, too much love will kill you 
And you won't understand why
You'd give your life, you'd sell your soul 
But here it comes again 
Too much love will kill you 
In the end... In the end

 

 

La Dolce Vita...

Post n°283 pubblicato il 11 Luglio 2012 da BubY790

L'Italia è un paese dove riesco con grande naturalezza a essere me stessa e contemporaneamente a diventare una persona dalle mille sfaccettature. Posso essere una giovane fanciulla, una bambina innocente, una donna matura, oppure una scrittrice consapevole di sé, un cucciolo fedele, una dea innamorata dell'arte, una viaggiatrice con lo zaino sulle spalle, una turista insaziabile, una fanatica della cucina, e poi ancora e ancora mille altre cose... [Banana Yoshimoto]

Lab, Aimee, Patrick and Mab @ Friends - Rome - july 2012

 

 
 
 

Irraggiungibile...

Post n°282 pubblicato il 03 Luglio 2012 da BubY790

Uno certe cose non se le va a cercare. Succede che ha del tempo da dedicare a se stesso, dare una sbirciata alle vecchie fotografie, riascoltare i vecchi gruppi ispiratori di malsane fantasie e ossessioni pseudo maniacali da groupie adolescente. Ci sta che ad un certo punto uno si imbatta in certi ricordi. Capita.
Basta non dar loro troppo peso. Ignorali – mi dico – e vai avanti con la tua vita.
Stamattina sono andata in banca per esempio. Ho attraversato tutta la città in metro per raggiungere un posto che non può neanche più dirsi Roma, fare un’ora e mezzo di fila, presentare documenti, regalare firme leggibili e accordare consensi. Mi sono imbattuta – come sempre – in tutta una serie di tipologie umane da esaminare : la signora bene con il vestitino di Ferragamo a cui è saltata la cerniera lasciandola con la schiena da settantenne nuda e imbarazzante; l’impiegatuccio lampadato con la camicia ben stirata dalla mamma e l’immancabile alone di sudore; la finta ragazza strafiga in t-shirt che da vicino è un mostro di ricordi sconvenienti, silicone e cicatrici sottocutanee; il piccolo imprenditore in pausa pranzo, con la cartelletta di documenti sottobraccio, la cravatta allentata, la fronte lucida, l’espressione penosa, di quelle che dicono tutto, senza dire niente. Perché tanto ci siamo capiti no? Ormai l’Italia è ai tempi supplementari, cercando di salvarsi il culo come può e chi lavora onestamente qualche problemino ce l’ha.
Io ho fatto quel che dovevo e uscendo ho tenuto gli occhi bassi, evitando di guardare altre facce, che non volevo portarmi dietro le loro espressioni. La tristezza degli occhi della gente è tremenda. A volte mi accorgo dei pensieri di chi mi siede di fronte in metro e penso che darei qualunque cosa pur di non sentire.
A volte resto così imbambolata nei miei vaneggiamenti che dimentico di scendere alla mia fermata e sono costretta a percorre chilometri a piedi, cosa che mi sta aiutando con l’abbronzatura da muratore e i muscoli da lanciatrice di coriandoli .
Per il resto domani arrivano Patrick e Aimee da Londra. Li porteremo a mangiare sushi da Senba, che non è certo il Bento Cafè, ma è il “nostro” ristorante di Roma… e si difende bene.
Così dicevo, eccoli i ricordi. Certi ricordi. Ogni volta che hai pianto, ogni volta che ti sei sentita perduta, ogni volta che hai risposto in una lingua non tua senza “tradurre”, ogni volta che volevi scappare, ogni volta che hai stretto mani, abbracciato persone, scambiato e-mail con qualcuno che credevi di non conoscere, cantato ai concerti, evitato gente, sforzato di piacere, ogni volta che hai telefonato a tua madre fingendo di non piangere, perso metro, rincorso autobus, ricaricato oyster card snocciolando una serie di informazioni in sequenza (sempre la stessa: may I have a oyster top-up, for seven days, zone one and two, bus and tube please?), sgrammaticate e finta cortesia, ogni volta che fai qualcosa di vero, che ti costa impegno e forse sacrificio, meraviglia e gratitudine, allora ritrovi te stesso e quegli occhi che ti scrutano dallo specchio.
L’altra metà di te. Quella parte scissa che sempre e per sempre cercherai negli altri.
O in uno solo, dipende.

 
 
 

Capra e cavoli. Salvarli o mandarli al macello. Dipende.

Post n°281 pubblicato il 18 Giugno 2012 da BubY790

Ho sentito quella storia delle capre, che anche se imparano a volare restano pur sempre delle capre. Magari più in gamba delle altre, ma sempre capre. Così mi chiedo cos'è che c'è di male ad essere delle capre, specialmente se superdotate.
Io mi sento come una di quelle mosche bianche, una di quelle pecore nere, una capra con le ali insomma, una zebra a pois, per il semplice fatto che nella mia famiglia, tutta la mia famiglia, sono stata l'unica a spingermi così tanto oltre.
Forse è stato a causa dell'influenza di mio padre, forse dell'assoluta mancanza di ambizione di mia madre.
Magari è stato per quella vecchia abitudine di arrampicarmi sugli alberi del giardino, la tendenza a salire in alto, per poter guardare meglio il cielo, lo smisurato ascendente delle stelle sul mio umore, sarà forse perchè io a questa storia del destino - che è ciclico - non ci ho mai creduto.
Ho incontrato tante persone da quando vivo a Roma. Insieme alle quali mai avrei pensato di poter condividere una cena, un aperitivo, quelle quattro o cinque fermate di metro, una sosta davanti alle macchinette del caffè.
L'altra domenica ero a pranzo a casa di L. e c'era tutto l'armamentario delle grandi occasioni, dal servizio in porcellana finissima ai bicchieri in cristallo, dalla tovaglia di lino ben stirata al centro tavola minimal chic. Sembrava, visto l'assortimento e la cura per i dettagli di essere in quel programma di Alessandro Borghese, mancavano giusto le "cortesie", gli ospiti invece c'erano tutti. C'era il giornalista famoso, l'avvocato importante, l'assicuratore delle star, il cagnolino della pubblicità, più un paio di figli diciottenni in varie faccende affaccendati. Scegliere la vacanza istruttiva per questa estate, chiedere soldi ai genitori, prepararsi lo zaino per un mese di Interrail, cose così.
Il quartiere Parioli è esattamente quello che si dice essere, destinato ai rappresentanti della borghesia medio-alta, ai gerarchi del regime fascista e ai funzionari statali. Uno dei quartieri più chic della capitale insomma.
Dicono che tutte le parioline quattordicenni vadano nei parchi a farsi le foto senza maglietta da spedire via mms ai ragazzi più grandi. Dicono che tutte le signore-bene impiegate nei ministeri stiano facendo il diavolo a quattro per togliersi le protesi dal seno. Dicono che tutti i dirigenti siano corrotti e schiavi del NWO.
Dicono che Roma sia una città magica. Ma lo dicono quelli che ci vengono in vacanza, perchè credetemi, quando di notte non riuscite a dormire perchè vi strombazzano sotto le finestre, quando al supermercato vi passano - sistematicamente - davanti nella fila e fanno spallucce se - semplicemnte - glielo fate notare, quando poi questa fantastica parata di burini incravattati: er pelliccia, er mutanda, er monnezza durante gli europei si esibiscono nel loro numero migliore, il coro da stadio davanti al vostro portone, viene da pensare che forse stareste meglio altrove.
Fortuna che c'è il Birrarium, con Daniel che ti chiede cos'è che prepari di buono per cena, così ti abbina una birra ad ok. Fortuna che c'è quel pub inglese, aperto sempre, come a Londra, dove puoi fermarti per una Magners ghiacciata da bere all'ombra dei platani di Piazza Vescovio. Quindi... fortuna che ci sono le piazze.
Fortuna che la mattina incontro Diana, la cognetta principessa del signore indiano. Se ne stanno lì seduti composti, lui su una sedia, lei su un cuscino da pashà e aspettano che qualcuno lasci lì, per caso, qualche spiccolo. Ma con una dignità, capite? Una cosa che a guardarla bene sembra messa lì apposta. Passa oggi che passa domani alla fine siamo diventati amici tutti noi. Certo non sono ancora quel genere di persone che mi scrivono sms chiedendomi di tornare "a casa", ma sono sicura che ci arriveremo, li farò secchi tutti. Del resto sono una capra che sa volare.

 
 
 

Quello che non ho

Post n°280 pubblicato il 15 Maggio 2012 da BubY790

Eccomi dunque. Un po' di passaggio e per caso, un po' no... perchè di certo, a scrivere questo post qui, ci pensavo da un po'. Presumo sia una di quelle cose utili a qualcuno, anche se non so ancora chi, per capire che diavolo mi sia preso, da un po' di tempo a questa parte. Tutta impegnata tra aggiornamenti database, acquisti di make up furioso e cosucce insignificanti tipo denunce per diffamazione, traslochi selvaggi e nuovi lavori da capire / gestire / in cui affermarsi e diventare la migliore.
Iniziamo dall'ultima. Quella cosa del diventare la migliore ad esempio, non prendetela troppo sul serio. Per il momento sono l'unica. Ma è grandioso lo stesso. L'ambiente è quello medico/scientifico (la mia passione dunque) e il mio capo è un tipo fico e piuttosto in gamba. Diciamo pure che è la persona migliore io abbia incontrato negli ultimi 10 anni. Diciamo che mi restituisce l'entusiasmo e l'ottimismo, dopo l'orrenda batosta che mi è capitata tra capo e collo di recente e di cui non parlerò, pena strabuzzare gli occhi e ingoiare la lingua, riempirmi di verruche, ingobbirmi e vedermi spuntare i peli dalle narici.
L'ho giurato, fatto un fioretto e un incantesimo di magia vodoo. Su me stessa, ovvio.
Ogni giorno quindi vado ad aspettare quel maledetto 135. Lo aspetto davanti al negozio del fruttivendolo egiziano. Mi piazzo lì e aspetto. Per 15/20/30 minuti. Anche oltre, se capita proprio una giornata di merda. E di giornate di merda ne sono capitate purtroppo parecchie, ma non avevano nulla a che vedere con l'autobus.

E' stato a causa di quella cosuccia insignificante della minaccia di denuncia per diffamazione. A me, che sono una maga (magò) della diplomazia.
Merdacce che non siete altro.
Ho parlato con più avvocati che santi e da tutti ho appreso che si trattava di una semplice intimidazione e che la denuncia la rischiano loro. Vedremo.
Per ora mi godo la mia nuova città.
Che è Roma, certo. Chi l'avrebbe mai detto. Roma Capitale. Roma la città eterna. Come no, Roma ladrona. Mortacci. Comunque, eccomi qui, ad un mese circa dal trasferimento, più felice che mai.
Confusa, sugli esiti. Ma felice.
Complice il mio acquisto di make up superchic. Eccerto. Un blush tutto sbrilluccicoso, del sottotono perfetto del mio incarnato quando arrossisco un po'. E perchè succeda devo correre intorno a Villa Ada inseguita dalle pantere scappate dal circo.
O dai miei fantasmi senza nome. Quelli che tornano – ogni notte – ad alitarmi sul cuscino frasi incomprensibili piene di doppisensi.
Vediamo, piuttosto che ammorbarvi con la lista infinita ed in continuo aggiornamento delle cose che vanno via via modificandosi nella mia entusiasmante vita, annoterò qui di seguito i pezzi mancanti, i tasselli scombinati, le tessere del mio puzzle andate perdute.
Quello che non ho è una certa sicurezza economica. Il mio piano strategico per vivere dignitosamnete la mia vita senza dover contare su vincite alla lotteria o improbabili eredità multimilionarie. Complice una società malata di consumismo in un'Italia in recessione.
Quello che non ho è un progetto concreto per il mio futuro. Un inquadramento professionale entro cui rivoltarmi per po', avvoltolata come in un bozzolo caldo, imparare, crescere e mettere a frutto le mie competenze per, finalmente, evolvere. E diventare qualcosa, qualcuno, chi.
Quello che non è il sentirmi a casa, quando rientro qui. Perchè c'è poca luce, in questo appartamento, e poche voci, intorno. E niente risate, niente Aurora che cammina incerta, niente Sandy che si raggomitola contro le mie gambe di notte. Niente qualcuno che passa, per fare due chiacchiere e per un caffè.
Quello che non ho è un quartiere familiare. Oggi, dopo un mese che abito qui, sono uscita nel pomeriggio da sola per la prima volta. Volevo guardarmi intorno, sapere cosa c'è, dove posso trovare cosa e se c'è speranza, per me, di cominciare a sentirmi a casa.
Sarà il sole a permettere che accada. Devo solo aspettare.

 
 
 

I don't do hugs. I am hugs.

Post n°279 pubblicato il 08 Maggio 2012 da BubY790

 
 
 

Lettera a me stessa...

Post n°278 pubblicato il 27 Aprile 2012 da BubY790

Cara la mia sottoscritta, ricordati di oggi. Molto bene.
Perchè è stato oggi che hai perso definitivamente fiducia nella gente...
Pensaci perciò, ogni volta che ti capita di di stringere con esagerato ottimismo la mano tesa di qualcuno che si presenta sorridendo.
Ricordati di oggi mentre, attraversando un periodo sereno, ti verrà da pensare che forse sei sulla strada della felicità. Visualizza per bene questa cosa: tu oggi ti sei trovata faccia a faccia con le cattive intenzioni di chi ti ha riempito di belle parole e poi ti ha condotto - ignara - sul patibolo. Cara la mia [me], da oggi tutto sarà differente.
Basta affezionarsi, prendere a cuore, crederci. Sono parole, definizioni e modi di fare che devi dimenticare.
Basta "fare del tuo meglio". Nella vita non serve.
Sai cosa serve invece? Fregarsene. Approfittare delle situazioni. Creare pretesti e contestare sempre. Serve avere l'arroganza degli ignoranti, la stupidità degli esaltati e l'incoerenza dei disonesti.
L'abominevole tendenza a sfruttare il lavoro degli altri.
Servono cattiveria, opportunismo e falsità. Più una faccia come il culo.
Tanto avrai sempre diritto ad un avvocato.

 
 
 

Il senso di Buby per la neve...

Post n°277 pubblicato il 26 Febbraio 2012 da BubY790

Qualche sera fa Gab ed io siamo uscite nel bel mezzo di una bufera di neve per andare a salvare i cani. Quei disgraziati li hanno lasciati nel bel mezzo del nulla, con una catena al collo e quattro tavole di legno intorno, un secchio di acqua ghiacciata a fianco e fieno sotto la pancia. Poco e fradicio.
Ci siamo imbacuccate per bene, che noi alla fine per le avventure si parte sempre preparate.
Anche se in fondo sembrano cose fatte così, per gioco, noia, necessità.
La pila, la pala e un coltello. Che non si sa mai.
Più tutto l'armametario da snowboarder.
Sembravamo Shaun White e best friend a passeggio di notte nei boschi.Trallallerolà.
Alla fine i cani li abbiamo salvati, o almeno così crediamo.
Siamo riuscite a rompere le catene e portarli in salvo, in una specie di fienile. All'asciutto.
Sulle prime però, quando ci hanno viste, tremavano dal freddo e dalla paura. Se ne stavano rintanati sotto un metro di neve, in quella specie di bara di ghiaccio e non fiatavano.
Neanche un guaito, nulla. Gli occhi spalancati sulla luce della torcia. Stupore.
E forse era per tutto quel bianco e nero che c'era intorno, forse perchè non vedevano nessuno da giorni, ma ho messo dentro la cuccia una mano e Belle l'ha leccata.
Prima ha tirato fuori il naso, Poi tutta la faccia.
Piano piano mi è venuta addosso come una valanga, travolgendomi.
Arno l'ha liberato Gab. Aveva gli occhi acquosi e starnutiva. Veniva da abbracciarlo.
Tirava come un matto quando l'ha slegato, e c'era tutta questa neve, alta fino ai fianchi, così arrancavamo alla meno peggio cercando di tenerlo, ma chissà da quanto non correva e ci ha trascinate per un bel pezzo prima di arrendersi. Felice.
E sai il freddo di quella notte, pensavamo che li avrebbe uccisi.
Non si poteva starsene lì, nel letto, sapendo di quei due abbandonati nel nulla.
La bufera è durata per giorni, paralizzando ogni cosa, persino me. Che non mi fermo mai.
Ma più volte, durante i pomeriggi di “guarda come scende” con il naso appiccicato ai vetri, Gab ed io abbiamo messo i cargo burton per filare a rotolarci nel bianco, saltare dai balconi, costruire igloo e prenderci a palle di neve. Quando rientravamo c'era questa aria di infinito intorno, l'assoluta percezione di una grandiosa appartenenza ad una fantastica, luminosissima avventura senza fine, una specie di lancinante, dolorosa meraviglia.
Mi è sembrato, per così dire, di vedere tutto per la prima volta. Sentivo che però, quelle cose lì: la neve, tutta quella luce, gli alberi piegati, le nuvole pesanti, il bianco della notte, erano tutte cose che non avevo mai visto davvero e che forse non avrei visto mai più.
Così ho vissuto tutto, non mi sono persa un attimo. Registrato ogni secondo, impresso nella memoria, perchè quando sarò lontana, ogni volta che mi succederà di avere freddo e sentirmi triste e sola e al buio, potrò ritrovare – dentro – un po' di quella pace piena di bellezza e sentirmi ancora un attimo a casa.

 
 
 

Christmas things and other oddities

Post n°276 pubblicato il 27 Dicembre 2011 da BubY790

 ✩ NY City - FAO Schwarz

Dovrei scrivere di amore e di stelle. Sarebbe più semplice.
Dovrei raccontare tutti i miei giorni trascorsi ad aspettare, quando mi aggiravo per stanze vuote senza sapere cosa aspettassi e perchè.
Forse aspettavo le risposte. Quelle che la vita mi deve da un po'.
Passano giorni, anni e quelle arrivano, diceva Ale.
Immagino lo abbiano fatto in realtà, anche se al momento qualcosa mi impedisce di riconoscerne i segnali, così continuo a fissare orologi malconci mentre accendo candele votive sul davanzale della mia finestra.
Che la loro luce mi conduca gli angeli.
Non c'è nulla di più triste, nella vita, che attendere qualcosa, qualcuno,  che -  lo sai - non arriverà. Non c'è nulla di peggio che veder allontanarsi la speranza. Affievolirsi la luce, smorzarsi i contorni, rendendo i suoni impercettibili, i volti irriconoscibili.
Questo alla fine è quello che succede alle stelle. Che se brillano più delle altre poi si esauriscono prima. Il loro destino è di spegnersi, semplicemente.
Gli ci vuole il silenzio dei giorni di festa, lo scintillio delle lucette degli abetini addobbati, i regali scartati sotto il rametto di vischio, con tutto il corredo delle piccole promesse rinnovate, perchè succeda.
E' nell'ordine delle cose. Se sei una stella, se sei solo quello, sai che ti esaurirai in fretta e il tuo bagliore non basterà che per illuminarti la via di casa. Figurarsi la vita. La vita tutta intera, con l'immensa mole dei giorni allineati in fila indiana da risolvere, il passato da accettare e un futuro da costruire.
Così, eccole, dalla mia moleskine, le parole che ho messo in fila con l'inchiostro arancione in queste settimane di vuoto a perdere:

Attento, non avvicinarti troppo, io so anche mordere.

Attento, io scappo via veloce come il vento, correndo senza gambe, spinta solo dall'emozione.

Perchè io non sono che una poco di buono. Letteralmente. E quel poco di buono che ho me lo tengo ben stretto per i momenti in cui mi manca il respiro. Quando il cuore prende a battere forte.

Salvarlo.

Eppure lo sapevo. Ma non mi importava.

Ci sono giorni in cui pensare al futuro è un po' come credere in Babbo Natale.

Era solo un gioco. E giocando, a volte, si perde.

Io voglio essere quel genere di persona che da valore alle cose che fa.

Io non sono che un po' di luce nel buio.

Too much love will kill you.

Ero lì con questi occhi smarriti e non capivo, perchè di contro, in realtà, capivo troppo.

Rispetto.

E allora nascondimi. Allontanami dal resto.
Rinchiudimi, spingendomi in una prigione piena di silenzi e getta via la chiave.
Urlami contro e proteggimi con le tue mani - strette sul cuore - ma non lasciarmi libera di andare, da sola, incontro al mio destino.
Perchè se mi perdi di vista per un secondo io divento come una quei bambini senza memoria, e mi infilo nei guai.
Attento. Non avvicinarti troppo, io so anche mordere.
E ho i denti affilati dalle delusioni. Dagli effetti allucinogeni delle illusioni rosicchiate a fondo e lentamente, in quelle notti lunghe dell'anima, quando bastava così poco perchè calassero le tenebre.
Attento. Ho le unghie di una abituata a scavare. In profondità e dentro se stessa, grattando via la pelle a strati, la carne a brandelli, la polvere calcinosa delle ossa.
Non ho mai trovato la pace interiore e questo fa di me una predtrice di anime, nonchè una facile vittima dei ricatti della mente.
Attento. Ho giocato così tanto a nascondermi che mi basta un battito di ciglia per essere altrove. Irraggiungibile.
Rinchiudimi, ti prego.  Ingoia la chiave. Come fosse il tuo peccato più perverso e leccati le labbra. O dammi fuoco a cominciare dai capelli, così che anche da lontano mi vedano come una bianca torcia umana e, fermandosi per un attimo, con il fiato corto e il cuore in gola, dicano "guarda come brilla"...

 
 
 

E' una notte come tutte le altre notti. Forse...

Post n°275 pubblicato il 08 Novembre 2011 da BubY790

Stasera, dopo quelle due ore massacranti in palestra, la testa sgombra e le gambe a pezzi, sono venuta quassù con una strana, inaspettata calma.
Volevo mettermi a scrivere, ma non avevo parole.
Ho provato ad ascoltare quella radio, ma non avevo pazienza.
Ho tentato, maldrestamente e senza convinzione, di razionare porzioni, sistemare i pezzi e raccattare i ritagli. Ma non avevo mani, non avevo mani abbastanza.
Per tutto quello che c'era da raccogliere.
Così ho preso a sfogliare l'album della mia vita, che tanto, per quello, basta soffiare sulle pagine: quelle prendono a sollevarsi senza peso, per svelare i ricordi sopiti, le immagini sbiadite, le scritte col dito sui vetri appannati degli autobus.
Mi ricordo che riempivo di parole strette pagine intere di quaderni a quadretti.
Sempre le stesse, giocando a rincorrermi. Mi ricordo che parlavo di amore, ma non ne conoscevo che i contorni, mi ricordo l'amicizia senza argini di noi tre.
Mi ricordo di quel giorno che abbiamo pianto insieme per la prima volta.
Per paura, dolore e tristezza.
Giravamo intorno allo stesso tipo e quel tipo girava solo intorno a me.
Mi ricordo che giocavo a nascondermi, per non essere la causa di niente.
Niente gioia, nessun dolore. E' facile, pensavo.
Ma non era vero.
Sono passati 17 anni e molte cose sono andate perdute.
Ma non quella. E poi chissà.

There is fiction in the space between
The lines on your page of memories
Write it down but it doesn't mean
You're not just telling stories

[Tracy Chapman]

 
 
 

Non esiste nessuna fine. Esiste solo un nuovo inzio.

Post n°274 pubblicato il 13 Ottobre 2011 da BubY790

Ho sognato la mamma di E. che veniva da me dicendo “aiutalo”.
E che spariva sorridendo.
Poi ho cominciato a ricordare.
C'è un momento preciso, dentro ogni esistenza, in cui ti accorgi di stare invecchiando.
Ma non per le rughette, a quelle ti ci abitui. E' quando i ricordi cominciano ad invaderti.
Precisi come un laser. Taglienti come un bisturi. Dolorosi e felici.
Quelli che prima sapevano di cielo e oggi sono come ondate di acqua gelida che arrivano e si ritraggono. Lasciandomi qui, nel mezzo di questa vita, spiazzata e fradicia, al pensiero di noi due adolescenti.
Io ed E. Quante cose non ci siamo detti.
Era come vivere la vita di qualcuno che non sono io, come se frammenti di esistenze si mescolassero alla mia e con il tempo generassero asimmetriche incongruenze, coincidenze e sbandameti, perdite momentanee di concentrazione e momenti di esaltante, magnificente lucidità.
La vita che uno sogna per se stesso non è mai quella giusta.
Ma questo lo capisci dopo. Quando hai realizzato i tuoi sogni e diventi infelice, quando hai avuto le risposte e non avresti voluto aver fatto le domande. Quando – finalmente – è solo un convenevole e mai, davvero, una soddisfazione. Quando – si stava meglio quando si stava peggio. E tuo padre era un uomo combattivo, che non si piegava davanti a niente.
La vita che sogni deve rimanere un sogno.
Perchè altrimenti sarebbe la vita e non un sogno.
Io credo in quelle teorie strampalate che ci vedono anime reincarnate in un corpo che qui devono compiere un percorso di purificazione emozionale ed evoluzione spirituale prima di potersi dire “pronte”. Io credo nella legge del karma e di come causa ed effetto siano concatenati ad un unico, irreprensibile giudice: se stessi.
Io credo nella metempsicosi. Immagino di incontrare e di attrarre in questa persone che mi sono state care in altre vite. Persone che ho perso e che oggi hanno sì altri occhi, ma non un altro sguardo. Io credo nel magnetismo dell'anima.
Io credo nelle domande che ci si pone da piccoli. Quando non suona assurdo chiedersi da dove veniamo, dov'è che stiamo andando e perchè. Io credo nelle risposte che arrivano alla fine del giorno, quando stai chiudendo gli occhi prima di addormentarti e sai che domattina non ricorderai nulla di quel barlume di verità che ti ha attraversato la mente.
Io credo nel Paradiso, nel Nirvana, nell'Eden, negli Svarga e anche ad Atlantide. Credo alle fate, agli gnomi e all'esistenza delle sirene. Credo nel potere della mente, nella legge di attrazione e nella scienza noetica. Credo ai miti della storia. Ai giganti di Lemuria, agli Annunaki di Nibiru, ai rettiliani di Alpha Draconis e a quei gran fighi dei pleiadiani. Credo anche a Babbo Natale.
Immagino l'universo e mi commuovo per la bellezza e lo stupore e l'emozione di saperlo “vivo”.
Piango guardando le stelle quasi ogni notte mentre ascolto da un lettore mp3 i canti degli indiani d'america mangiando pringles alla paprica.
Immagino il tempo come una matassa informe di gomma da modellare. Lo vedo che si plasma attraverso le mie dita, ma poi, elastico com'è torna sempre alla sua forma originale. Penso alle dimensioni, a quanto sia sottile il velo che ci separa da ciò che – ora – non possiamo vedere. Ma c'è.
E vorrei dirgli tutto questo domani. Vorrei dirgli che esiste altro.
Vorrei portarlo nella mia testa, per un po' e mostrargli cos'è, la meraviglia.
Che è tutto così strabiliante che non deve mai pensare alla fine, perchè non c'è mai, una fine. C'è solo un inizio. Da un'altra parte.

Gli angeli hanno sempre detto queste cose:
non preoccuparti, non temere, tutto andrà bene.
[da
Un dono d'ali - R.Bach]

 

 

 
 
 

Mi ricordo che gridavo. Mi ricordo che piangevo.

Post n°273 pubblicato il 09 Settembre 2011 da BubY790

"Mi sono fermato e ho ascoltato le grida e ho gridato anch'io.
Ho gridato quanto più forte potevo gridare. Nessuno mi ha sentito e nessuno mi ha risposto.
Ho gridato quanto più forte potevo gridare, ma nessuno mi ha sentito".

[James Frey - In un milione di piccoli pezzi]

 

Mi ricordo che alla fine ho sorriso.
Io sorrido sempre.
Ho sorriso e preso a strapparmi via i pensieri dalla testa con quel paio di tenaglie pesanti che tengo nel cassetto per le emergenze.
Ho chiuso gli occhi, perchè non mi tradissero e sorriso.
Poi è arrivata la musica. Quella che mi nasce nelle tempie per salvarmi.
Quella musica di pianoforte senza argini che sempre e per sempre mi condurrà lontana anni luce da dove non voglio essere.
Sai come va a volte, che ti senti l'anima rivoltata e uno strano dolore alla bocca dello stomaco, qualcosa che grida, scalcia e strepita punti interrogativi e se ne sta senza una risposta a frignare con le sue ridicole domande tatuate sulle braccia.
Quello che pesa più di tutto, alla fine, è il silenzio.
Ci sono persone che poi non ce la fanno.
Perchè hanno talmente tanto amore dentro e sono così fragili in certe sere che basta poco, un sorso di troppo, quell'ultima boccata, e il dolore prende il sopravvento e ti distrugge.
Basta poco. Basta essere così, come me.
Per resistere devi tenerti stretti i tuoi sogni e non sognare che bellezza, per tutti, e gioia, per ogni cosa, e valore, per le cose che fai, onore, anche negli sbagli, coraggio, per la vita. Anche quando si incasina, anche quando mente, anche quando poi, alla fine, si dimentica di te o comincia a prenderti in giro, come fa con me, giocando come fossi una marionetta del circo dei matti.
Mi costringe la vita. Mi mette alla prova, proprio quando ho l'anima consumata dal tempo e dagli inganni e poi si nasconde, lasciando intorno indizi fatti di fumo.
Stasera no, ti prego. Potrei non farcela.
E' che nel tempo ho ritrovato il mio orgoglio sottovuoto. Gli ho dato una spolverata e ricominciato ad usarlo, me lo stendo sul viso con un pennello piatto, come fanno certe donne col fondotinta.
Mi fa sentire, sai, come se avessi un peso nel disegno delle cose, come se davvero contasse essere quel genere di persona che ci tiene ad essere quella che fugge, perchè se fuggi hai vinto, come in amore.
Ma l'amore non c'entra. Non questa volta.
C'entra l'attesa. L'ambizione. La paura di non farcela.
Le domande, tutte insieme, che si riversano sui miei cuscini ogni volta che vado a dormire.
La musica stasera ha quel non so che di malinconia velata da sassofono triste. Se ne sta in alto sulla punta della luna e scende con una pioggerellina di note che filano come stelle di natale.
Non gli puoi dare un nome a serate così, quando il tempo sembra si trovi addosso delle crepe e prenda a ripararsi da solo e malamente, sovrappnendo gli strati, appuntando gli orli, creando inestetici spessori, cuciture grossolane.
Io ho fatto del mio meglio, credo di essermi impegnata come mai prima d'ora.
Sono scesa a compromessi, creduto a piccoli, subdoli ricatti, ingoiato rospi dalla pellaccia dura e ricoperta di pustole tossiche come fossero bonbon di zucchero e canditi. Mi sono bendata per non guardare e ho fatto finta che potesse essere abbastanza per una come me. Ma sbagliavo.

 
 
 

Se niente importa non c'è niente da salvare...

Post n°272 pubblicato il 05 Agosto 2011 da BubY790

Come possono le cose, una qualsiasi delle migliaia di cose che compongono la vita di una persona... finire? Come possono gli amici dirsi addio, le macchine rompersi, i tacchi delle scarpe spezzarsi, i sorrisi spegnersi, gli amori perdersi, le passioni smorzarsi, i computer infettarsi, i lavori incasinarsi, la stima, i gesti gentili, i fiori regalati, le occhiate allo specchio, il vento nei capelli, la musica di pianoforte, le scale fatte di corsa, l'impazienza e l'euforia finire?
Come possono i quadri cadere? Fran. Di colpo. Nel mezzo della notte, con le stelle dentro agli occhi e il vento caldo di agosto che entra da una finestra socchiusa e dice shhh, dormi. Non pensarci adesso, dormi e sogna e nel tuo sogno riprenditi ogni cosa. Ogni piccola speranza, tutti i tuoi desideri, l'ambizione, l'amicizia che hai perduto, le persone lontane, le canzoni d'amore, certe favole assurde e dolcissime scritte senza senno, davanti ad un caminetto acceso, con un bicchiere di vino rosso e una candela alla vaniglia, in quelle notti lontane, quando tutto, tutto, sembrava non dovesse mai... finire.
Qualche sera fa sono andata ad un concerto che ha risvegliato in me qualche scintilla salterina di aspirazione e smaniosità. C'era questo palco no? Un palco normale, mica cosa. Di ferro e feltro e plastica, pezzi di plexiglas e qualche gelatina colorata sulle luci. E poi c'era tutto il resto, una cosa che per comodità personale e perchè sia di facile comprensione per chiunque, chiameremo Magia..
Greg Howe, Stu Hamm e Dennis Chambers solo per noi. Come se fossere arrivati da lontano, con gli zaini in spalla e pezzi di canzoni per regalo, così: è per voi, niente di che, un pensierino.
E allora immagina questa [me] che per un attimo si perde e incontra la se stessa di una volta.
La vede vestita di luce e sorrisi e lacrime versate e parole dette, scritte e cantate.
Le dice Eccoti, ma non Ti cercavo.
La bacia sulla bocca e se ne innamora.
Si volta poi, verso il futuro e dice Tornerò.
E' stato allora. E' stato tutto e niente.
La consapevolezza di [me] finalmente, dopo tanto attendere.
In questa fiamma che si accendeva mi sono ripresa le cose finite, nascoste, spezzate.
Mi sono ripresa il rispetto. Di me. Tutti i sogni sepolti nel cassetto dei calzini, i girotondi emozionali, le bandierine dei cocktails, l'euforia e la gioia, testa contro testa, con le dita intrecciate e le parole dette piano, sfiorandosi le labbra. Ancora.
Tutto questo è quanto di meglio io abbia fatto alla mia vita.
In un giorno qualunque, decisa com'ero a ricostruire un nuovo mondo dal nulla, quando nulla del mio mondo importava e non stavo pensando a quello che sarebbe stato, di colpo... è diventato.


A me piace vedere le persone riunite, forse è sciocco, ma che dire, mi piace vedere la gente che si corre incontro, mi piacciono i baci e i pianti, amo l'impazienza, le storie che la bocca non riesce a raccontare abbastanza in fretta, le orecchie che non sono abbastanza grandi, gli occhi che non abbracciano tutto il cambiamento, mi piacciono gli abbracci, la ricomposizione, la fine della mancanza di qualcuno [...] J.S.Foer

 
 
 

Come sei veramente

Post n°271 pubblicato il 04 Luglio 2011 da BubY790

Ogni sera, quando torno, dopo una giornata fatta di eccessi e mancanze, domande e offerte, proposte imbarazzanti e scale fatte di corsa - sempre più su fino all'ultimo piano - e telefonate e mail ricevute e riunioni e brainstorming e fughe improvvise e lettere di scuse e richieste di preventivi e donne incinte e caffè al ginseng e medici assonnati e segretarie piene di silicone, donne mature e piccoli uomini fatti di vento, bambini blu e ricevute fiscali, articoli scritti, riletti e comunque sbagliati, stampanti impazzite e webcam surriscaldate, mi chiudo una porta alle spalle, apro questa botola impolverata e libero i miei fantasmi.
Li lascio razzolare intorno per un po', beccarmi le gambe e osservarmi scrivere con lo sguardo acquoso di quelli che sanno durerà poco, la libertà.
Dentro, avanti, fate piano, domani torno a prendervi.
Torno, lo giuro. Io torno sempre.Sono pensieri segreti, volontà nascoste, desideri proibiti, rimpianti, rimorsi e stucchevoli conversazioni delle 2 di notte. Sono il passato di cui ho scordato il nome, il presente senza cintura e un futuro che gioca a nascondino.
Li tengo segregati qui perchè li preferisco ingabbiati piuttosto che dispersi.
A volte li sveglio, di notte, e prendo a cullarli. Canto la nenia triste con la quale mi addormentavo io, piena di malinconia. Ninna nanna mamma/tienimi con te/ nel tuo letto grande/solo per un po'... sette le scodelle sulla tavola del re/dentro cosa c'è/solo un chicco di caffè.
Implorano il silenzio talvolta e si rigirano in un modo strano, pieno di convulsioni esasperate e bellissime, la danza di un velo portato dal vento e musica di pianoforte.
Una musica lieve, fatta di piccole note. Nulla di che. Utile, a volte, per darsi una ragione, una qualunque, alla solitudine di certe sere. Alle pagine riempite di parole, con le scarpe buttate di lato e il trucco liquefatto dentro gli occhi, le unghie un po' più corte, la bocca tagliuzzata di perchè.
A volte spaccio le cose che scrivo per roba d'altri.
Perchè io, al solito, scrivere ho scritto tanto. Ma altrove.
Su fogli orfani e vetri appannati, sullo specchio del bagno con il rossetto di mia madre, sulla sabbia di certe spiagge deserte, dentro l'anima della gente, con frasi sconnesse piene di verità e pianto.
Ci sono persone invece che se ne stanno immobili tutta la vita, poi un giorno prendono una penna mezza mozzicata dal tempo e lasciano una scia dorata di domande senza risposte.

 

Nella solitudine di matite consumate,
io disegno voci di gabbiani che urlano
mentre invoco il tuo nome.
E mi lascio cadere.

E tutti a fare woooo. Perchè sì cavolo, l'ha scritto quella lì, Sylvia, prima di uccidersi.
Ma chi Sylvia, Plath? Sì, no, cioè, ti piace?
Wooooo, che intensità meravigliosamente dolorosa.
E sì eh, è morta suicida. Vuoi mettere?
Eh.
Come no.Sylvia. Proprio lei.Proprio io, cioè. Ma viva. Peccato.
Non sarò mai una scrittrice. Ma forse lo diventerò.

 
 
 

Sono un cielo nuovissimo a cui appendere le stelle stanotte...

Post n°270 pubblicato il 19 Giugno 2011 da BubY790

Ho scoperto che il potere delle illusioni è infido. Se ne sta annidato dentro ai secchi della biancheria sporca e medita con subdola accortezza sugli stratagemmi da elaborare per fotterti.
Gioca a scacchi sempre con il meno bravo e vince esultando.
Si imbelletta col cerone, il profumo da maschio italiano e un foulard rosso da garibaldino annodato al collo. Si mescola alla gente e poi scompare.
Lasciando tracce di saliva viscide e pastose come bava di lumaca si lascia trovare.
E tu stai lì tutto il tempo a scervellarti su come fare perchè continui – a fotterti – così spudoratamente, a regalarti sprazzi di entusiastica fiducia nelle tue possibilità, momenti di intelligibile ottimismo, giornate intere rivestite di speranza.
Anche se è una farsa e lo sai, pretendi che continui.
Io stanotte ho giocato a nascondino con il respiro.
Lo sapevo rintanato nelle cavità del petto, ma non riuscivo a trovarlo per fare tana. Tana, liberi tutti.
Tana, fuori dai piedi.
Tana, smettila di farmi male.
E poi quel vuoto, quel vuoto nero pieno di angoscia che si agitava urlando dal mio dentro più profondo. Un vuoto vorticoso come l'occhio di un ciclone, cattivo come il drago delle favole, gli indiani d'america e i Will il cojote.
Mi sentivo ripiegarmi dall'interno. Come un origami.
Piccoli pezzi di me che venivano strappati e riappiccicati, ricordi, sentimenti, emozioni, lacrime e progetti. Tutto mescolato, impastato con la colla liquida e spiattellato sui muri di casa.
Volevo il mondo. Tutto per me. Ma tutto, dentro, non ci stava.
Così oggi sono andata in quella casa di vacanze per anziani ed ero piena di dolore.
Li ho guardati giocare a carte e ricevere visite. Ho studiato i loro sguardi, il loro modo di raccontare la vita che avevano o non avevano più. E ci ho letto dentro la stessa illusione di cui mi ricopro io, in certi giorni di stanca, quel miele che mi cola dai pori e mi rende vischiosa e sfavillante, come una trappola per anguille.
Ho stretto mani, baciato guance, abbracciato e sorriso, ho parlato, chiesto e ascoltato, ho mangiato cose, bevuto caffè, girovagato per stanze e preso ascensori, ho fatto scale, guardato quadri, trovato un'immagine in bianco e nero, accanto al letto di una nonna piena di fervore. E pianto.
Per una foto portata da casa. Nella sua cornice di ottone lucente.
Di un marito morto e un'identità perduta.
Di una vita intera da rimpiangere.
E ho pensato che questo è il coraggio dei vecchi.
Il coraggio di difendere un passato che non torna e che è dignità, fierezza e rettitudine, orgoglio e ardimento, e mai, mai, incertezza.
Infine ho detto grazie. Grazie. Per ogni lezione che mi è stata data, per quegli sbagli perdonati, per il mio contegno da lucertola, per le canzoni stupide degli anni '90 che ti fanno la morale, per il gioco del destino che vira sempre da una parte. Grazie, perchè oggi è il primo giorno del resto della mia vita.

 

 
 
 

Volevo essere Dan Brown

Post n°269 pubblicato il 17 Giugno 2011 da BubY790

Riemergendo prendo fiato. Respiro forte, con la mano sul petto e guardo cos'è che ho lasciato in sospeso, una settimana fa, per affondare nel lavoro, sempre più giu, subissata dagli impegni, dalle responsabilità, dalle scadenze sempre troppo vicine, così incombenti... minacciose.
Prendo fiato e non faccio. Spengo monitor, luci al neon, macchinette fotografiche e memorycard, telefoni cellulari di troppo e quelle domande piene di punti interrogativi che mi ballonzolano nella testa.
Spengo il mondo e accendo una musica, questa.
Mi racconto allo specchio di questi ultimi sette giorni all'inferno. E rido. Di me.
Di me sempre in corsa per il primo premio.
Se mi guardo indietro vedo i chilometri della mia vita srotolarsi tra successi insperati e scivoloni ineleganti, sempre sul red carpet, mentre tutti guardano.
E' che sono stata un'enfant prodige e non lo sapevo.
Mi avrebbe aiutato, forse, a sciogliere quel velo indistruttibile di sfiducia che mi annodavo al collo. Ma anche no.
Se ci penso sento come una stanchezza polverosa, fatta di prove da superare sempre più grandi, come fossero fuori dalla mia portata, così che oggi mi sembra di aver faticato tanto per essere dove sono, ma dove sono non è abbastanza.
Abbastanza forse sarebbe finire un libro, spedirlo tutto bello impacchettato ad una casa editrice e vedermi arrivare un contratto da firmare. Ovvio.
Non sarebbe tanto, ma abbastanza, quel tanto per crederci.
Allora mi mi metto qui, buona buona, e aspetto che accada.
Senza particolare convinzione forse, ma fatta di una leggerezza bella, quella specie di piccola, luminosa festa che mi porto dentro da un po' ha come un alone di vittoria.
Di rivincita.
Una lucina intermittente senza nome e calore, quel qualcosa che dica “eccomi, guardatemi adesso”.

 
 
 

Omicidi, crimini, povertà. Queste cose non mi spaventano. Quello che mi spaventa sono le celebrità sulle riviste, la televisione con cinquecento canali, il nome d’un tizio sulle mie mutande, i farmaci per capelli, il viagra. Siamo i figli di mezzo della storia, non abbiamo né uno scopo né un posto. Non abbiamo la grande guerra né la grande depressione. La nostra grande guerra è quella spirituale, la nostra grande depressione è la nostra vita. Siamo cresciuti con la televisione che ci ha convinto che un giorno saremmo diventati miliardari, miti del cinema, rock stars. Ma non è così. E lentamente lo stiamo imparando. E ne abbiamo veramente le palle piene… [da Fight Club - Chuck Palahniuk]

 

Ecco cosa ti spacciano per civiltà.
Gente che non si sognerebbe mai di usare pesticidi o insetticidi e poi infesta il quartiere con lo stereo sparando dischi di cornamuse scozzesi. Di lirica cinese. Di musica country e western.
Fuori, un uccellino che canta ci sta bene. Patsy Kline no.
Fuori c'è già il frastuono del traffico, che basta e avanza. Aggiungerci il concerto per piano in mi minore di Chopin non migliora la situazione.
Tu accendi la musica per coprire il rumore. Altri alzano la loro musica per coprire la tua. Tutti quanti si comprano uno stereo più potente. È la corsa agli armamenti del suono. E non è con le frequenze alte che vinci.
Non conta la qualità. Conta il volume.
Non conta la musica.
Conta vincere.
Per sbaragliare i concorrenti ti ci vogliono i bassi. Le finestre devono tremare. Nascondi la linea melodica con l'equalizzatore e ti metti a sbraitare le parole della canzone. Ci infili dentro delle volgarità e sottolinei bene ogni singola parolaccia.
È così che vinci. Perché alla fin fine è una faccenda di potere.

Chuck Palahniuk - da Ninna Nanna

 

Dove abiti Murray?
In una pensione. Ne sono talmente affascinato e intrigato.
Una splendida vecchia casa in rovina vicino al manicomio.
Sette o otto pensionanti, più o meno permanenti, tranne me.
Una donna depositaria di un segreto terribile.
Un uomo dall'aspetto ossessionato.
Un altro che non esce mai di camera.
Una donna che sta per ore davanti alla cassetta delle lettere, in attesa di qualcosa che sembra non arrivare mai.
Un uomo senza passato.
Una donna con troppo passato.
C'è un odore di vite infelici, da cinema, che mi fa sentire perfettamente a mio agio.

Don De Lillo - Rumore Bianco

 

L'unica cosa che mi sembra sicura è che il corpo e la mente delle persone ricevono e trasmettono molte più informazioni di quanto le persone stesse non pensino. Questa colorazione misteriosa a volte mi spaventa, perché mi dà la sensazione di essere completamente esposta, a volte mi conforta e mi stringe il cuore. (da The Sound of Silence, in Il corpo sa tutto - Banana Yoshimoto)

 

Perché per me l'unica gente possibile sono i pazzi, quelli che sono pazzi di vita, pazzi per parlare, pazzi per essere salvati, vogliosi di ogni cosa allo stesso tempo, quelli che mai sbadigliano o dicono un luogo comune, ma bruciano, bruciano, bruciano, come favolosi fuochi artificiali color giallo che esplodono come ragni attraverso le stelle e nel mezzo si vede la luce azzurra dello scoppio centrale e tutti fanno Oooohhh! (da On the road - Jack Kerouac)

 

D'altronde, l'isteria è possibile solo con un pubblico. [...] Vai a com'era la vita quando eri una bambina e potevi mangiare solo omogeneizzati. Cammini vacillando fino al tavolino da caffè. Sei sui tuoi piedi e devi barcollare su quelle gambe a salsicciotto oppure cadere giù. Poi arrivi al tavolo da caffè e sbatti la tua testolina soffice contro lo spigolo.
Sei per terra, e cavolo, o cavolo, fa male. Però non c'è niente di tragico fino a che non accorrono Mamma e Papà.
O povera coraggiosa piccolina.
È solo allora che piangi.
(da Invisible Monster - Chuck Palahniuk
)

 

Ogni guerriero della luce ha avuto paura di affrontare un combattimento.
Ogni guerriero della luce ha tradito e mentito in passato.
Ogni guerriero della luce ha imboccato un cammino che non era il suo.
Ogni guerriero della luce ha sofferto per cose prive di importanza.
Ogni guerriero della luce ha pensato di non essere guerriero della luce.
Ogni guerriero della luce ha mancato ai suoi doveri spirituali.
Ogni guerriero della luce ha detto “sì” quando avrebbe dovuto dire “no”.
Ogni guerriero della luce ha ferito qualcuno che amava.
Perciò è un guerriero della luce: perché ha passato queste esperienze, e non ha perduto la speranza di essere migliore.


 
 

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