Funambola

Lezione di danza


“La lezione è finita. Potete andare.” Mi sono avviata con le altre, ancora scossa e tremante di rabbia. Ma lui mi ha trattenuta per un braccio. “No, tu resta. Devo dirti una cosa.” Lentamente mi sono girata su me stessa a fronteggiarlo. Il mento mi tremava, ma non volevo piangere. “Credo che tu mi abbia già detto abbastanza. Io con la danza ho chiuso. E anche con te.” ‘E invece tu mi ascolterai, prima. Poi potrai fare quello che cazzo vuoi, della tua vita.’ Lo guardai: nonostante le parole dure, era calmo e una strana dolcezza velava i suoi occhi. L’orgoglio mi bruciava ancora dentro e non volevo cedere. Istintivamente incrociai le braccia sul petto e abbassai lo sguardo sui miei piedi chiusi nelle scarpette nere a mezza punta, con le fasce incrociate alle caviglie. Mi bruciava che mi avesse ripresa in quel modo bastardo davanti a tutte. Non potevo sopportarlo. L’ansia da palcoscenico mi prendeva ogni volta che dovevo eseguire un assolo di prova. Una dopo l’altra, le mie compagne si erano esibite nel loro pezzo della coreografia che stavamo montando. Lineari, fresche e leggere. Armoniose farfalle in quella palestra dove due volte alla settimana ci incontravamo per studiare danza moderna jazz. Nessun errore, applauso finale del maestro. Demi-pliè, pirouette, demi-pliè, un’altra pirouette. Poi la musica prendeva corpo, più veloce e intensa, come i loro movimenti che diventavano sempre più fluidi, vibrazioni uniche e armoniche. Brave, bravissime. Io mi ero tenuta per ultima, concentrata sui loro movimenti, scolpendo nella mente quella tecnica perfetta: il ginocchio perfettamente steso, le spalle perpendicolari alla linea del corpo, le braccia prima allungate e poi arrotondate a eseguire una pirouette dopo l’altra, il piede arcuato e liscio nella linea della gamba. Poi è toccato a me. Il maestro con un cenno mi ha invitata a farmi avanti e la musica è partita. Concentrata e sicura, ho iniziato a eseguire il mio pezzo. Un passo dopo l’altro, lo sguardo fermo con la mia testa a fissare un punto all’infinito, cercando di non sbagliare. Poi la musica si è interrotta bruscamente. Nel silenzio improvviso, l’urlo del maestro mi aveva raggiunta come una frustata. ”Ma non la senti, la musica?” Fermo a due passi da me, gesticolava furioso. Con gli occhi sbarrati, immobile come una marionetta a cui avessero tagliato di colpo i fili, ho fissato il mio sguardo nel suo. Poi, senza sbattere le ciglia, ho risposto. Fiera e piano. “No. A quanto pare. No.” Il maestro ha chiuso gli occhi. Di colpo sembrava che un peso imponente gli fosse caduto sulle spalle. Anche lui inutile marionetta senza fili. Poi ha mormorato, di spalle alle altre, che la lezione era finita. E mi sono ritrovata completamente sola con lui. “Credo di aver sentito abbastanza, stasera”, ho ripetuto a bassa voce, ma con rabbia. Con sorpresa, l’ho visto avvicinarsi ancora di più e mettermi le mani ai lati della testa, a coprirmi quasi le orecchie. ‘Mi spiace. Non intendevo dire se senti la musica con queste. Ma se la senti dentro. Qui, nello stomaco. È qui che devi sentire la musica, per ballare davvero. Deve entrarti dentro. La danza non è solo tecnica e tu sei concentrata solo su quello. Devi lasciare che la musica entri dentro di te. Vieni, proviamo.” Mi ha preso per mano, portandomi davanti allo specchio. Poi ha acceso lo stereo. Stay by me. Un’altra delle nostre coreografie. “Fregatene della tecnica.” Ho chiuso gli occhi, senza riuscire a muovermi. Poi ho cominciato a ballare, senza fermarmi. Sentivo la musica attraversare le mie sensazioni, muoversi dentro di me e fluire nelle mie braccia e nelle mie gambe. Finalmente libera. Ad un certo punto il maestro si è unito a me. Attraverso lo specchio, vedevo il suo sorriso in quell’inatteso passo a due. Pian piano ho sentito la tensione sciogliersi in una energia sconosciuta. Danzavo e mi sentivo felice. Ho cercato il suo sguardo e gli ho sorriso. E quando la musica è finita, mi ha abbracciata. “Stasera hai ballato. Davvero.“ Epilogo. Ho lasciato la danza, ma continuo a ballare ogni volta che posso, perchè non posso farne a meno. Il mio maestro, lasciata la mia scuola, è diventato poi primo ballerino di una nota compagnia romana di danza. A lui va il mio grazie, per avermi dato la possibilità di andare oltre. E per avermi fatto tanto ridere.