Funambola

Il gatto e l'acqua bollita


Queste feste mi stanno leggermente scombussolando. Ma è un eufemismo, per dire. Normalmente, quando non capisco qualcosa in una conversazione, faccio di necessità virtù. Nel senso che mi aiuto andando a senso. Pescando qua e là, tra quello che mi viene detto - anche se non ho capito un tubo - se riesco a cogliere il senso, è fatta. In genere riesco a tenere in piedi conversazioni anche difficilissime e poco battute tra gli umani. Ma l’altra sera, a cena con il gruppo del laboratorio teatrale, mi è andata male, anzi malissimo. Accanto a me era seduto un tizio molto simpatico, il quale, però, ha un difetto non da poco: parla mangiandosi le parole, masticando le sillabe come se avesse in bocca una big babol gigante. In una parola, non articola. E meno male che il modulo di Dizione e Fonetica che stiamo seguendo parla chiaro: respirare e articolare. Ovvio che il poveretto non ne ha colpa alcuna. Siamo appena agli inizi. Ma lì tutta la mia fantasia, nonché la mia capacità di cogliere un senso anche laddove non c’è, se ne sono andate a farsi friggere. Alla prima domanda che mi ha rivolto, ho immediatamente messo in atto la mia prima tecnica (e di solito basta la prima): sguardo attento, interessato e debitamente rammaricato, seguito da un semplice “scusami, ero distratta, dicevi?”; ma, come volevasi dimostrare, non è servita a nulla. Poi, ho sperato – pregato – che la sua domanda non fosse una domanda e che potessi scamparmela con l’opzione n° 2: sguardo comprensivo, capo chino e un “eh” mormorato, accompagnato da una leggera scrollatina delle spalle. Tecnica, collaudatissima, da ‘te la faccio in barba’. In genere funziona, e la domanda/non domanda decade. Epperò, lui mi ha guardata un po’ perplesso e mi ha chiesto: “Cos’hai detto, scusa?” e mica potevo continuare a far finta di nulla, per cui ho alzato fieramente le spalle e ho esalato – terza tecnica - d’un fiato: “No, è che non ho capito io quello che hai detto tu”. A quel punto l’intera tavolata si era zittita e, come attratti da un magnete, avevamo tutti gli sguardi puntati addosso. Come se chissà quale conversazione interessante avessimo in corso. E, sinceramente, avrei tanto voluto sapere pure io di che cavolo stavamo parlando.