GIORNI STRANI

Vis a vis serrato fra il marito di Sabrina ed Emanuele Brandi (8).


   Due bei tipi che colpiscono all’istante, il marito di Sabrina ed Emanuele. Sicuro e affermato professionista, maschio dominante, prestante, un tantino vanitoso, supponente non poco, il primo; con quello sguardo fermo che, consapevolmente, sa andare dritto al bersaglio quando e come vuole: ora con galanteria, dirimpetto a una presenza femminile, ora con spirito battagliero, di fronte un uomo che ha osato toccare ciò che gli appartiene.   Sicuro e professionista innamorato del proprio lavoro, alto, per nulla vanitoso, per nulla supponente, con quell’aria scazzata che s’impreziosisce dell’ironia, anarchico, il secondo; con quello sguardo che fluttua sempre sopra la linea dell’orizzonte, a vivere, o meglio, a scavare e voler quasi afferrare un mondo con regole tutte sue, un mondo che già a intravederlo ci fa venir voglia di sputare e disprezzare quest’altro che conosciamo.     Ecco, ora sono uno di fronte l’altro, nello studio del quartiere Prati. Come si svilupperà il discorso su Sabrina è cosa che neanche loro due possono prevedere.    <<Prego Emanuele. Un caffè?>> E un cenno alla segretaria.    <<Sì grazie.>>   De Giorgi accende il condizionatore, la cappa di afa grava sulla stanza.Stranamente non si guardano dritto negli occhi.   <<Posso darti del tu?>>   <<Sì, come no.>>   <<So che sei un biologo… bel lavoro direi. Una vera passione, no?>>   <<Sì, non posso lamentarmi>>, replica asettico l’altro.   <<E bravo Manu…>> dice a mezza bocca il legale, che ha avuto modo di spulciare il diario di Sabri: lo chiama così a Emanuele. Pausa poggiandosi sui vetri. Sotto, Via delle Milizie è intasata.    <<Le ferie?>> gli domanda De Giorgi. Da mestierante lo vuole condurre sul territorio a lui congeniale, lavorandolo ai fianchi, un mix bizzarro fra il gioco degli scacchi e la boxe.   <<Andrò a fare un pellegrinaggio, sì>>, replica serio Brandi.   <<Ah! Un fervide credente allora… per carità rispetto l’idea di tutti, eh.>> un sorso d’acqua. <<Ma la Chiesa mi fa schifo, Manu.>>    <<Capisco.>>   <<E a cosa devi tale gratitudine?>>   <<Dottore, me la sono vista brutta… ho temuto il peggio per la mia salute.>>   <<Cosa è successo, se posso…>>   <<Un’unghia incallita all’alluce. Brutta cosa, sai.>> Ha una faccia da schiaffi, ora.   De Giorgi sbuffa, e, a stento, si tappa la bocca. Il gioco tragico continua senza tregua.   Crepitio nello studio: il climatizzatore si è spento. De Giorgi armeggia il telecomando, un valzer fra l’on e l’off; poi con la penna resetta l’unità: nulla. Riprende il telecomando quasi ad esorcizzarlo. Infine lo sbatte sul tavolo.   <<Sono macchine, non facciamoci fottere da loro>>, fuoriesce dalla bocca imprudente di Emanuele. Non facciamoci fottere da loro… tu invece mi puoi liberamente fottere la moglie, eh? Mulina nella testa pesante di De Giorgi. L’afa inizia a stendere quel manto di indolenza.Un ampio respiro insofferente dell’avvocato che apre la finestra.------------------------------------------------------------------------------------------------------------TO BE CONTINUED>>>>Post 7: http://blog.libero.it/GIORNISTRANI/11357637.html