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ARTICOLO TRATTO DA "IL CITTADINO" DEL 23/10/2009 - La storia della famiglia Papetti alla cascina Nuova di Sant’Angelo

Post n°164 pubblicato il 01 Marzo 2010 da miryamco5

insediamenti rurali del lodigiano - 139 Le vicende, le memorie, le figure di un mondo contadino scomparso
Il “feudo” rurale del conte Bolognini
La storia della famiglia Papetti alla cascina Nuova di Sant’Angelo

Mi trovo, in compagnia dell’inseparabile amico Giacomo Rossi, in un possedimento che fu di proprietà del conte Gian Giacomo Morando Bolognini De Rizzoni Attendolo Sforza, che si sa bene che quando uno è nobile, di natali e di animo, si porta appresso per un’intera vita un’interminabile sfilza di cognomi. Sono alla cascina Nuova di Sant’Angelo Lodigiano.n un erede fortunatoE memo male che c’è un altro nobiluomo, di studi e di cultura, Antonio Saletta, che delle memorie del paese santangiolino è il vero custode: è stato lui a rivelarmi la biografia della famiglia Morando Bolognini, ormai dimenticata dalle nuove generazioni, perché intitolare castelli e promuovere fondazioni, se non si conservano le memorie effettive del passato e della gente, serve poco per salvare le identità.La fortuna del conte, sia detto simpaticamente perché era un uomo serio e generoso, a cui l’ironia siciliana sembrerebbe non potersi riferire, fu quella di non avere avuto cugini maschi: suo nonno, infatti, aveva avuto due figlie femmine, e il nostro Gian Giacomo era, nella generazione successiva, l’unico superstite della famiglia. Aveva così preso l’eredità della mamma e quella della zia. Fu per questa circostanza, riassumere su di sè l’antico patrimonio del nonno, che Gian Giacomo si fece attribuire questa tiritera di cognomi, che in parte erano del suo vecchio avo. E da quel momento avviò una nuova vita: ed invece di godersi soldi e terre, prese a restaurare il castello di Sant’Angelo, di proprietà della famiglia, e che stava andando in rovina. I santangiolini apprezzarono molto il conte, tanto da eleggerlo più volte in Senato: ed egli li ricambiò affrontando tematiche sociali e d’interesse del popolo.n una vicenda plurisecolareL’amico Antonio Saletta è prodigo di notizie non solo biografiche, ma relative anche alla cascina Nuova. Egli è infatti incaricato della cura e custodia degli “Stati d’Anime”, conservati nell’Archivio parrocchiale di San’Angelo, da cui emergono remote figure del passato. Così si documenta che nel 1620 la “Casina Nova” era già posseduta dal conte Galeazzo Attendolo Bolognini, che aveva come fittabile Antonio Maria Donadelli. La cascina passò di generazione in generazione nello stesso ramo della famiglia, mentre si succedettero vari affittuari; nel 1804 fittabile era Giovanni Antonio Frati. Nel 1826 l’affittanza era condotta da un certo Pizzamiglio. Nel 1836 conduceva Luigi Corbellini. Nel 1859, il fittabile era Francesco De Vecchi, il cui figlio, Carlo, nel 1860 partecipò alla spedizione dei Mille di Garibaldi.Nel 1889 era proprietario della cascina il nostro Gian Giacomo, che nel 1913 aveva come affittuario Pietro Altrocchi. Qualche tempo dopo rileva il nome della famiglia Forni. Ma nel secolo Novecento fu la famiglia Papetti, originaria della Val Brembana, ad essere la principale affittuaria della cascina Nuova: la più recente genealogia di questa stirpe mi è stata raccontata da Angelo Papetti.n dai monti alla pianuraLe vicende più antiche risalgono alla vita di un altro Angelo Papetti, che era nato negli anni settanta dell’Ottocento. Angelo senior Papetti non aveva avuto una vita semplice: era rimasto orfano di entrambi i genitori quando era poco più che un ragazzino ed era stato allevato dagli zii. Era dunque cresciuto con i cugini, ma in cuor suo desiderava avere una propria indipendenza. Aveva rinviato più volte la partenza dalla sua valle bergamasca ed il distacco dai parenti, ed alla fine s’era deciso di scendere in pianura; s’era infatti sposato, cominciava ad avere i primi figli, e per loro desiderava quello che lui non aveva potuto fare da giovane: camminare al più presto con le proprie gambe.Come prima residenza Angelo senior scelse la cascina Gabellina di Locate Triulzi. Nel frattempo la famiglia Papetti s’era maggiormente allargata; il capostipite aveva sei figli: Bernardo, che fu il padre del nostro testimone, e poi Natale, Rinaldo, Mario, Piero, Paolo ed Antonietta.A distanza di qualche tempo, erano gli anni Venti, i Papetti si spostarono a Fombio, nel Lodigiano: andarono a condurre la cascina Piantada dei Bignami; nel 1946 presero la conduzione della cascina Nuova di Sant’Angelo , e nel 1951 anche quella della cascina Grande di Graffignana.n una forza imprenditorialeI fratelli Papetti condussero unitariamente le tre cascine per molti anni. Dal nulla erano divenuti una forza imprenditoriale di tutto rispetto; erano apprezzati nel mondo agricolo e ben voluti. Avevano avuto l’amarezza di subire un incendio colossale, che aveva devastato mezza stalla, proprio alla cascina Nuova: era il 1949; alcune travi sono ancora lì, annerite,a simboleggiare l’antica cicatrice. Ormai questa cascina mantiene solo un pallido ricordo della bellezza che ebbe. Un altro grande dolore, in quegli anni, fu la morte inaspettata di uno dei fratelli Papetti, Mario, che cadde dal carro mentre stava sistemando la paglia con un forcone.I fratelli erano soliti spostarsi da una cascina all’altra, a seconda dell’esigenze dell’azienda agricola; d’altra parte avevano in affitto oltre quattromila pertiche di terra, e spesso le urgenze arrivavano improvvise. Angelo junior ricorda adesso la giornata del sabato, alla cascina Piantada di Fombio, quando i salariati venivano per la paga, e sotto la loggia della casa padronale si formava una fila lunghissima di uomini intabarrati, mentre papà Bernando appuntava su un registro quanto concesso.Angelo junior Papetti mi racconta delle giornate dedicate alla trebbiatura, con una squadra numerosa di uomini al lavoro: c’era chi tagliava, chi raccoglieva, che insaccava, chi recuperava la paglia sfuggita alla prima raccolta, e c’era il portatore della “pignatina”, cioè chi portava l’acqua da bere.La comunità contadina era capace di gesti semplici ed al tempo stesso straordinari: si viveva accontentandosi di poco, e c’era pure uno spirito di competizione, nei lavori, ma sano, sincero, dove veramente ciascuno cercava di superare l’altro, e ciascuno dava il meglio di se, alla fine aiutandosi l’un l’altro. In quegli anni e in quella cascina l’attività agricola era ancora all’uso antico: non vi era traccia di macchinari, ed i Papetti erano eccellenti allevatori di cavalli da tiro; tuttavia, per un periodo, accadde un fatto molto strano: ogni lunedì c’era sempre un quadrupede che stramazzava al suolo, stecchito. Morivano soltanto di lunedì, i cavalli, come se la domenica di riposo fosse loro deleterio. n la fuga dai campiLa cascina Nuova aveva otto case di salariati, sempre occupate, perché qui i contadini venivano volentieri a lavorare: il fattore di fiducia della famiglia Papetti si chiamava Sisinio Pilloni ed era originario di Cles, paese del Trentino; in realtà lui faceva il pompiere, ma aveva sposato una santangiolina, che non voleva sentirne di spostarsi in montagna, e così lui, per accontentarla, era venuto a vivere in pianura, lasciando la divisa ed imparando le attività agricole. L’ultimo contadino ad abbandonare la cascina fu Giovanni Matera, che era addetto alla campagna. La sua può essere paragonata ad una figura eroica perché ormai erano spariti tutti.Fu durante la fuga dal mondo agricolo che Bernardo Papetti mostrò di che pasta fosse fatto: abituato a fare l’agricoltore che gestiva una folta squadra di uomini, e che pertanto non aveva necessità di calzare stivali e dare di badile, seppe rimboccarsi le maniche e dimostrò che, anche solo osservando, era stato in grado di imparare alla perfezione ogni cosa; lo si trovava ovunque: in stalla, sui campi, a consegnare il latte. E l’azienda era pure complessa in quanto vantava ottanta capi in mungitura ed altrettante manze in allevamento.n un figlio con la “vocazione”Bernardo Papetti era sposato con Margherita Gorla, anche lei figlia di agricoltori, che a Fombio conducevano la cascina Argine. La coppia aveva avuto due figli: il nostro Angelo, nato nel 1951, ed Anna, arrivata tre anni dopo. Angelo aveva deciso di fare l’agricoltore, come il padre e come l’omonimo nonno, sin dai tempi della scuola, tanto che aveva scelto l’indirizzo agrario. Ma forse la spinta maggiore la trovò proprio nel vedere il padre così capace di gettarsi a capofitto sul lavoro, di raccogliere una sfida, e di fare tutto, ma proprio tutto, per vincerla. Angelo Papetti tenne la stalla con le vacche da latte sino al 1982, successivamente optò - per un breve periodo - a favore di un’attività rivolta all’ingrasso dei tori.Poi - per circa sedici anni, sino al 2000 - si è dedicato all’allevamento per la produzione di carne, con le fattrici della linea Limousine. E qui sì che ha avuto modo di scoprire la difficoltà di relazione con gli animali. Queste bovine, di chiara origine francese, hanno infatti uno spiccato spirito materno verso i propri vitelli ed un forte senso gregario. Angelo Papetti lo comprese a proprie spese, perché spesso veniva caricato dalla bovina, quando gli capitava di fare una puntura ai vitelli.n il passaggio alla fondazioneDal 2004 la Fondazione Morando Bolognini, proprietaria della cascina, ha disdetto l’affittanza con i Papetti, ufficialmente rivendicando per sè la conduzione, anche se Angelo è rimasto una sorta di uomo di fiducia. Passeggiamo lungo l’aia, mentre le nubi eclissano un sole troppo pallido per emergere; Angelo Papetti racconta, Giacomo Rossi interloquisce, io resto distante, il primo freddo lodigiano a sollecitare le mani nel rifugio delle tasche del giaccone. M’incanto ad osservare un salice piangente, posto all’ingresso della corte: lo raggiungo, ne accarezzo le foglie; da qui, ad ampio giro d’occhi, posso ammirare la cascina Nuova, ed immaginarla ancora vociante di genti; pare vedermelo apparire davanti, Bernardo Papetti, figura contadina che non tradì mai, nel tempo, dignità e stile dei suoi giorni migliori.Eugenio Lombardo

 
 
 
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