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Post n°6 pubblicato il 16 Ottobre 2009 da fritzwitt
… Lassù in cima al Monte Nero…
La sveglia suona alle 6.30. Fuori è ancora buio. Mi alzo con difficoltà: sono proprio assonnato. Un caffè, poi fuori, in macchina. Certo che incominciare la Domenica così – mi dico… Il termometro a Gorizia mostra 12 gradi, mentre la nebbia ovatta tutto, ma lascia intravedere, a malapena, la chiesa del monte Santo. Lungo la valle dell’Isonzo il cielo si fa più sereno, e, nell’acqua verde smeraldo, colorata dal riflesso dei boschi, annego nei ricordi dei “vecchi” tempi della canoa, dei miei amici del Gruppo Kayak , del divertimento per la spensierata leggerezza di momenti trascorsi insieme … gocce di malinconia nel mare della vita … A Tolmino ripiombo nella nebbia…, poi ne riesco, con la piramide del monte Nero, e il suo caratteristico “piano inclinato” che si staglia nel blu. Entro in una Dresnica ancora addormentata alle 8.25. Parcheggio nella piazzetta senza incontrare anima viva, proprio accanto ad un monumento, dove sono assemblati, in modo ingenuamente “kitsch”, una spoletta sberciata, paletti di ferro e filo spinato, mentre su una lastra ruggine campeggia una scritta per la pace . Tra le case, accoccolate intorno, si distingue un cartello di legno che indica la direzione verso il “Krn”. Parto con passo deciso, inerpicandomi su per un sentiero con un fondo di pietre malferme e viscide per le recenti piogge. Rovi e arbusti creano una specie di galleria verde che mi costringe a muovermi nella semi oscurità . Evito di calpestare una salamandra. Menomale. Entro in un recinto. Richiudo il cancello. Ma non ci sono dubbi, i bolli bianco rossi confermano che il sentiero è proprio quello. Sulla sinistra c’è una rete: delle capre brucano tranquille. Il viottolo continua a salire in modo irregolare alzandosi verso est. Dopo una curva mi trovo – sorpresa! – la via sbarrata da una dozzina di caproni neri, con delle robustissime corna: sembrano quasi degli stambecchi. Ho un po’ di paura. E se mi caricassero ?– mi domando -. Nel frattempo non mi fermo e procedo con decisione. Il gruppo di mammiferi si apre. Tiro un sospiro di sollievo. Un meraviglioso bosco di latifoglie mi accoglie con un soffice tappeto di foglie marrone chiaro. Mi sembra di essere entrato nella favola di “Alice nel Paese delle meraviglie”. Il sentiero, ora più largo, continua a tirare su dritto senza esitazione, sempre ben segnato. I faggi salgono alti ed eleganti, mentre dal terreno affiorano rocce bianche di diverse forme e dimensioni che contrastano con le sagome nero pece di relitti di tronchi d’albero morti. Ho l’impressione che la foresta si animi di un tocco fantastico e inquietante. Alle 9.30 incontro una casetta, quasi uno chalet, piccolina e con il tetto spiovente. E’ un rifugio per dare riparo e soccorso a chi si trova in difficoltà. A lato gorgoglia una fonte: un tubo sottile di gomma emette un fiotto d’acqua nell’incavo di un tronco. La mia via continua impervia, mentre un po’ alla volta esco dal fitto della vegetazione. Sono sempre in ombra, ma, lontano, a occidente intravedo gli aridi fianchi dei monti, nel sole. Finalmente sono sotto la parete, che, bianca e verticale si alza, ancora in ombra, verso il cielo. Attraverso un ghiaione franoso. Ce ne metto un po’ per trovare la direzione giusta. Poi, vicino ai resti di un lumino da cimitero (chissà chi avrà voluto ricordare… ), incontro il cavo della ferrata. Tocco così il calcare alle 10.10. Mi alzo rapidamente. Dopo un po’, però, l’arrampicata è interrotta da un ripido e stretto sentiero che s’inerpica sui balzi della montagna, per poi, riprendere in modo discontinuo. Quest’alternanza sentiero – roccia caratterizzerà l’intero percorso. Guadagno un grosso pulpito erboso- il famoso “Leone /Lev” alle 11.00. Ora, finalmente, sono nel sole. Che gioia!Lontano le campane del paese scandiscono il passare del tempo: sopra di me urlano degli uccelli rapaci. L’ambiente è imponente e selvaggio. Pareti rocciose e impressionanti per la loro verticalità, interrotte da tetti spioventi, mi hanno fatto da cornice fino al Lev. Adesso, ormai sufficientemente in alto, riesco a scorgere la pianura dell’Isonzo, con il fiume che serpeggia, lontano, giù, nella valle. Vedo anche Dresinca disegnata intorno alla sua grandiosa chiesa di pietra bianca, che sembra quasi una cattedrale Seguo un’indicazione per “S.Korena”. Il sentiero continua imperterrito a salire, con tratti molto esposti e pericolosi. Come in altre ferrate slovene, il cavo è sistemato solo nei punti più difficili: forse non si pensa che la montagna debba essere per forza alla portata di tutti… Alle 11.30, su di un cucuzzolo, scrivo il mio nome nel libro di vetta - ben custodito nella tipica scatola metallica- e, poco dopo, raggiungo il rifugio incrociando i resti di opere della Prima Guerra Mondiale. La stanchezza si fa sentire, ma non voglio mancare la cima. E così, in breve, arrancando su di un terreno ancora sconvolto e disgregato dalle vicende belliche, la raggiungo. E’ mezzogiorno. Da lì il mio sguardo spazia a 360 gradi sulle Giulie e sul mare. Il panorama è veramente meraviglioso. Non mi sfugge l’imponente mole del Tricorno, ma, girandomi verso Oriente, mi accorgo di un’ enorme massa nuvolosa nera che sale rapidamente, sospinta dal vento. Porca miseria! Voglio raggiungere il sentiero per Dresnica prima di sparire nelle nebbie. Così, a malincuore, inizio a scendere, non senza essermi fermato un attimo sulle panche vuote del rifugio a distendere le gambe, provate da 1700 metri di dislivello, e a mangiare una barretta energetica. Accarezzato da fredde e vaporose volute sparisco, inghiottito dalla semi oscurità, nell’immenso piano inclinato roccioso, desolatamente spoglio , che caratterizza la parte meridionale del monte Nero. La fretta – dovuta al cambiamento di tempo- non mi fa trovare il sentiero giusto. Così scendo un po’ a caso in un ambiente duro, irreale ed ovattato. Nel saltare giù da un masso mi accorgo di aver urtato un oggetto metallico. Trovo così, per caso, un proietto vuoto ed una spoletta di una granata della Grande Guerra. Quanta fatica, paura, dolore e morte hanno visto quelle rocce… Mi ficco la vecchia bomba arrugginita nello zaino … un altro ricordo, come quello della Tofana di Rozes, e proseguo. Per fortuna incontro, subito dopo, le righe rosse del tracciato canonico. Ora la nebbia si dirada: c’è quasi il sole. Su, in alto, riappare la sagoma del rifugio, ormai lontana. Mi riporto sul ciglio che separa il versante sud da quello occidentale e imbocco decisamente delle ripide serpentine che si snodano verso il basso e l’ancora lontana Dresnica. La discesa è lunga e, specialmente all’inizio, scivolosa e disagevole, fin quando non incontro la faggeta. Riaffronto i caproni. Questa volta c’è uno solo a presidiare la strada guardandomi fisso con ostinazione. Non ho la minima intenzione di affrontare una prova di orgoglio con quel poderoso cornuto: faccio uno scarto di un metro e gli passo accanto. Giungo al paese dopo 2 ore e 40 minuti. Alcuni ragazzi si divertono a giocare a calcio nel campo di fronte alla piazza, qualche voce esce da una casa, non si sentono altri rumori. Il monte Nero, avvolto dalle nebbie, sembra lontano.
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Inviato da: words_nothingelse
il 07/01/2010 alle 14:00