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La green economy - un compromesso tra poteri forti

Post n°28 pubblicato il 09 Giugno 2009 da savino.basta

Meno energia e più pulita: gli Stati Uniti di Barack Obama hanno iniziato a tracciare la pista di un “Green New Deal” per ridurre le emissioni di Co2 e la dipendenza dai combustibili fossili. È un punto di svolta pragmatico e figlio del conservatorismo più che della rivoluzione. Così Mark Hopkins, responsabile dei programmi Onu per l'efficienza energetica, ha riassunto la politica verde americana, in un incontro organizzato a Milano dal Consolato degli Stati Uniti con Legambiente e Camera di commercio.

È chiaro all'amministrazione Obama che l'epoca dell'energia “per tutti al minor costo possibile” è destinata al tramonto. Le sue conseguenze economiche e ambientali sono già visibili all'orizzonte, se non più vicino. Cambiare strategia, però, richiede uno sforzo particolarmente intenso, soprattutto in un paese come l'America che è tradizionalmente ostile alle ingerenze internazionali sugli obiettivi di politica interna (Kyoto, per esempio) e ai proclami non suffragati da risultati concreti. Il cammino di Obama verso la “green economy” si muove, così, in un delicato equilibrio tra democratici e repubblicani, lobby industriali e abitudini radicate dei cittadini.

Un acconto per il futuro
Hopkins ha definito il pacchetto di aiuti per l'economia - centinaia di miliardi di dollari complessivi, di cui 150 per investimenti nelle fonti rinnovabili nei prossimi dieci anni - un primo acconto per costruire un sistema energetico meno inquinante e più efficiente. L'obiettivo è superare la crisi finanziaria e creare milioni di posti di lavoro; a tali stanziamenti, si deve aggiungere una proposta di legge con varie misure in campo energetico e ambientale. In primis il miglioramento della rete elettrica nazionale, ferma alla tecnologia obsoleta degli anni '50 e '60, pensando alle reti intelligenti (smart grid), interamente digitali, in grado di gestire in modo più flessibile e tempestivo la domanda (e quindi la bolletta) dei consumatori.

Poi ci sono le rinnovabili: solare, eolico, biomasse, geotermia. L'efficienza energetica è in cima alla lista degli interventi, per ridurre il consumo degli edifici federali (che sono 500mila in tutta la nazione) e di circa due milioni di abitazioni popolari. Un altro capitolo riguarda le automobili, perché si punta ad abbattere le emissioni di Co2, sviluppare i biocarburanti e veder circolare un milione di mezzi ibridi - benzina più batterie elettriche - entro il 2015. Qui entra in gioco, secondo Hopkins, un'altra forma di conservatorismo: come i cittadini considerano la loro libertà individuale. L'auto è il fulcro della mobilità, perciò ogni politica verde dovrà essere molto paziente per sostituirla con altri mezzi di trasporto.

Battaglia politica
La partita dell'economia verde sarà un duro scontro tra senatori; come ha chiarito Hopkins, Obama dovrà fronteggiare, oltre ai repubblicani, anche una quindicina di democratici del Midwest, esponenti dei ceti industriali poco inclini alle misure anti Co2. Il presidente americano dovrà convincere gli oppositori politici e le lobby del petrolio e del carbone sulla bontà del suo programma; non potrà essere una politica “top-down”, dall'alto in basso, ma un compromesso tra poteri istituzionali.

Gli Stati Uniti, però, vorrebbero arrivare al vertice sul clima di Copenhagen a dicembre con una posizione unitaria, avendo approvato la proposta di legge. Washington vorrebbe offrire sul piatto dei futuri accordi mondiali degli obiettivi raggiungibili con certezza, senza interferenze esterne o possibili sanzioni. Per questo motivo Obama, sostiene Hopkins, si muove sempre sul filo di promesse credibili; a Washington interessa conoscere quanti soldi potrà spendere e in che modo, prima di definire obiettivi generici per ridurre le emissioni (sul modello europeo) e sistemi “cap and trade”.

Fonte : Il Sole 24 Ore

 

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