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Post n°96 pubblicato il 31 Agosto 2024 da g.raminelli
Quando nacque Celia Peren (il 30 aprile 1882), la Grande Bonificazione Ferrarese era stata dichiarata conclusa da appena due anni. Dieci anni dopo la grande ed ultima rotta del Po a Guarda Ferrarese, il territorio era stato redento e i terreni, rimasti vallivi per oltre due secoli (dopo il fallimento della bonificazione estense a causa del taglio di Porto Viro) ridati completamente all’agricoltura. I problemi sociali esplosero. A Serravalle e nei paesi vicini grande fu l’incremento della popolazione, che tuttavia si ritrovò in condizioni di sfruttamento, di miseria, di analfabetismo, di mancanza di servizi adeguati, con vie di comunicazione impraticabili per gran parte dell’anno. Erano nate le Leghe operaie e il marxismo aveva facile presa su una popolazione schiacciata dal latifondismo. La promiscuità dilagante era uno dei tanti segnali del malessere delle popolazioni della Bassa. L’atto di battesimo di Celia (Atto n. 28 dell’1.5.1882 - Archivio Abbaziale Parrocchiale di Serravalle - Ferrara) ci dice che alla nascita ella non venne riconosciuta né dal padre né dalla madre. Il nome stesso sembra attestare, se guardiamo all’etimologia, che la bambina poteva considerarsi uno scherzo, una burla. Una leggerezza peccaminosa e illecita consumata fra un uomo, forse già coniugato, e una donna anch’essa sposata, o ancora fra un celibe e una donna sposata: casi non infrequenti in quell’epoca. Non abbiamo indagato in proposito, perché l’atto canonico è di per sé eloquente. L’ufficiale dello stato civile le affibbiò un cognome inventato, Peren, che la accompagnerà negli atti civili fino alla morte. La madre, tuttavia, sembra che l’avesse riconosciuta, solo religiosamente, attraverso una correzione che appare nell’atto di battesimo per mano del sacerdote, don Pio Minghetti, che il 21 ottobre 1901 benedisse le nozze di Celia (identificata nell’atto di matrimonio col cognome della madre, atto n.7 a pag. 126 del Registro dei Matrimoni dal 1869 al 1908) con Teseo Biolcati. Nonostante le origini, ebbe con ogni probabilità una sua riconosciuta dignità allorché entrò nell’ambiente della grande famiglia patriarcale dei Biolcati. Non ebbe figli, ma si donò totalmente alla parrocchia che grazie all’intraprendenza di don Giuseppe Minguzzi stava realizzando la benefica istituzione di un Asilo Infantile, costruito nel 1912 ed inaugurato il 22 giugno dell’anno successivo, con la presenza delle Piccole Suore della S. Famiglia di Castelletto di Brenzone (Vr). La famiglia di Celia fu, dunque, quella parrocchiale e dell’Asilo in particolare. Donna di elette virtù, sempre assidua alle funzioni religiose, esempio vivente del Vangelo, come amava definirla l’abate-parroco don Giuseppe Fabbri (e come leggiamo sul giornale parrocchiale della S. Pasqua 1956 e in "Dal Campanile", anno II, n.3 del marzo 1975), la Biolcati visse in povertà e mai esitò a dare del suo, magari privandosene, a chi ne avesse bisogno. Aveva una Fede incrollabile e una devozione smisurata alla Madonna, la cui statua, acquistata con i sudatissimi risparmi di una vita, volle accanto a sé fino alla morte, avvenuta per paralisi cardiaca il giorno 1 dicembre 1955 (come recita l’atto di morte n. 28. P.I.S.A. - Uff. 3°- Comune di Berra) e non il 30 novembre (come appare sulla lapide funeraria) in una angusta camera sita in Piazza Ticchioni. Ella, munita di tutti i sacramenti e visitata da innumerevoli parrocchiani, dispose che, alla sua dipartita, la Madonna, che era tutta la sua ricchezza, fosse collocata nell'Asilo per dare un esempio alle giovanissime generazioni. Così avvenne, e dal momento della chiusura della Scuola Materna, la statua è conservata nella sagrestia parrocchiale.
“La Celia” - come era chiamata da tutti - morì dopo un mese interamente dedicato dalla parrocchia alla recita serale del Santo Rosario, quasi l’anticipo di un partecipato suffragio di tutta la Comunità per una donna esemplare, che tanto si era prodigata per la “Peregrinatio Mariae” nelle famiglie iniziata l’8 dicembre del 1953. E dopo la S. Missione Mariana (dall’11 al 18 dicembre 1955), ecco la benedizione del tempietto della Madonna Pellegrina al Ponte Pietropoli come degna conclusione dell’Anno Mariano. Il più grande desiderio che l’aveva sorretta nella sofferenza, venne esaudito dalla Madonna, e proprio in quell’anno dedicato a Maria Santissima, Celia Peren andò ad incontrarla definitivamente in Cielo. |
Post n°95 pubblicato il 31 Agosto 2024 da g.raminelli
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Post n°94 pubblicato il 23 Dicembre 2021 da g.raminelli
Siamo ormai prossimi al ricordo dei 150 anni dalla nascita di Santa Maria Chiara Nanetti (al secolo Clelia). Nata il 9 gennaio 1872, pochi mesi prima del disastroso evento della grande alluvione provocata dalla rotta del Po a Guarda ferrarese, la martire polesana sarà ricordata con apposite celebrazioni soprattutto nella diocesi di Adria-Rovigo, ove la sua memoria è particolarmente viva, avendo avuto i natali a Santa Maria Maddalena. Ma ad onor del vero il ricordo della Nanetti è pure vivo a Francolino dove la famiglia si fermò nel 1878 dopo molte peregrinazioni nel territorio di qua e di là dal grande fiume. Santa Maria Chiara Nanetti, ad ogni buon conto, lega la vicenda umana della sua famiglia pure a Cologna, paese di origine del padre Narciso (figlio di Nicola e di Lucia Stefanati), dove i Nanetti si stabilirono per alcuni anni e dove l’8 dicembre 1867, in località Carmignano, nacque il fratello Silvio. Di solida formazione cattolica, la famiglia diede alla Chiesa i figli Silvio e Clelia. Il primo entrò nell’ordine dei Frati Minori in quel di Ferrara ed assunse il nome di Barnaba; la seconda lo seguì e dopo un incontro con le suore Stimmatine a Ferrara, entrò a 20 anni nelle suore Francescane Missionarie di Maria. Il 10 aprile 1892 vestì l’abito religioso prendendo il nome di Maria Chiara e si trasferì per il noviziato in Francia ai Châtelets. Il 13 novembre 1898 la Madre Fondatrice le comunicò che avrebbe fatto parte del gruppo di sette suore, destinate ad una missione in Cina. Il 12 marzo 1899 s’imbarcò insieme alle consorelle e dieci frati missionari con monsignor Fogolla per la Cina e arrivò alla meta finale di Tai-yuan. Al suo arrivo, il 4 maggio 1899, trovò ad attenderla il fratello Barnaba che, inviato in Cina nel 1893, era diventato Pro Vicario apostolico nel capoluogo del Shan-si. A Chiara e alle sue consorelle venne consegnata la cura e la conduzione dell’orfanotrofio femminile. Durante la sanguinosa rivolta xenofoba del 1900 vennero decapitati circa 30.000 cristiani. Padre Barnaba Nanetti riuscì a sfuggire al massacro trovandosi in località meno esposta. Ma le grandi sofferenze prodotte dalla persecuzione, le traversie, le fatiche che dovette affrontare a più riprese lo debilitarono nel fisico portandolo alla morte nel maggio 1911. La sorella Maria Chiara dopo circa un anno di missione venne uccisa il 9 luglio 1900 a Tai-yuan durante le violenze scatenate dalla rivoluzione dei cosiddetti Boxers. In quella occasione, furono 26 le vittime del massacro: 2 vescovi, 3 missionari, 5 seminaristi, 9 fra domestici ed inservienti, e 7 suore, fra cui appunto Suor Nanetti. Papa Pio XII li volle Beati il 24 novembre 1946 mentre il giorno 1 ottobre 2000, anno centenario del loro martirio, accomunati ad un centinaio di altri martiri della Cina dei secoli XVII, XVIII e XIX sono stati proclamati “Santi” dal pontefice Giovanni Paolo II nella cornice del Grande Giubileo della Chiesa. Chi volesse approfondire la vita e la testimonianza cristiana di Santa Maria Chiara Nanetti e del fratello Padre Barnaba può attingere a numerose pubblicazioni e scritti. Vorrei qui ricordare quelli del compianto Mons. Florindo Arpa, di Franco Teodori, di Lorenzo Zavalloni. Assai ben documentato quanto appare in “Una Santa tutta Missionaria. Maria Chiara Nanetti” in Quaderno n. 11 del CEDOC.SFR Ferrara, 2009 a cura di Adriano Mazzetti con un ottimo contributo di don Gabriele Fantinati, attuale arciprete di Ariano nel Polesine. Consiglio anche i testi di Enzo Tramontani apparsi sulla rivista diocesana di Ravenna “Risveglio 2000”, in particolare il libro “Tai-yuan, L’ora del sogno. Maria Chiara Nanetti nella Cina dei Martiri” (Ed. EMI, Bologna, 2000), e “P. Barnaba Nanetti. Fratello di una Santa Martire”, voluto dal parroco di Cologna don Rino Lotto, edito nel 2001 coi tipi della Soc. Artigiana per la Stampa di Ariano nel Polesine (Ro).
GIOVANNI RAMINELLI Copyright - 2021 |
Post n°93 pubblicato il 26 Agosto 2021 da g.raminelli
Fra Berra e Cologna, in località Valgrande, ai margini della strada provinciale si trova la chiesa dedicata a “Maria regina Pacis”. Il sacro edificio, officiato sino alla metà degli anni ’70 del Novecento, risulta ora abbandonato: il tetto è in parte caduto all’interno e in più punti la struttura presenta gravi lesioni. Il complesso con attigua casa colonica, fu eretto nei primi anni del secondo dopoguerra per volontà del Canonico don Luigi Rambaldi, arciprete di Cologna dal 1930 al 1972. Gli anni della ricostruzione vedevano nella zona di Valgrande-Marchiori una discreta presenza di famiglie, già servite da una piccola scuola costruita in epoca fascista, cui andava garantita anche l’assistenza e la vicinanza spirituale. Per tale motivo don Rambaldi decise la costruzione del complesso costituito da chiesa, campanile e casa canonica. L’intento del sacerdote era pure quello di potersi dedicare stabilmente all’assistenza spirituale di quella porzione parrocchiale al momento del suo ritiro in quiescenza: ciò tuttavia non avvenne a causa delle sue precarie condizioni di salute. La chiesa ancora nel “Bollettino Ecclesiastico” della diocesi ferrarese dell’anno 2011 definita come “succursale” della parrocchiale di Cologna, fin dal 2017 è stata dichiarata decaduta dal culto. Strutturalmente l’edificio in pietre a faccia vista è in stile neo-romanico, con facciata a capanna, dotata di due finestre archivoltate, con una cornice di sottotetto a mensole e una croce traforata. Il portale è strombato e riquadrato con finto frontespizio triangolare. Il campanile a base quadrata presenta una cella monofora. La casa canonica, attualmente abitata, risulta collegata al sacro edificio a piano terra con un piccolo portico e al primo piano con ballatoio. Nei pressi, a nord, esiste la presa d’acqua del Po detta “Contuga”. In quel luogo, non lontano dall’antico insediamento di Fossasamba, esisteva già nel secolo XVII un oratorio pubblico dedicato a San Michele Arcangelo, e officiato dai frati certosini fino al 1842. La chiesetta venne demolita per consentire lavori di sistemazione dell’argine; in quel frangente vennero esumati dal pavimento i resti del padre certosino Domenico Paolo Bardelli di Ferrara morto il 14 settembre 1670.
Di quella chiesetta si conservò la pietra sacra, contenente le reliquie di alcuni martiri, ed è probabile che sia stata inserita nell’altare della chiesa di Valgrande quando venne costruita. Oggi però anche “Maria Regina Pacis” sembra destinata ad essere demolita, se non dagli uomini, sicuramente dalle ingiurie del tempo e delle stagioni: i segnali anche a chi transita frettolosamente sulla provinciale sono ben visibili. Un altro segno della storia e della identità della nostra gente se ne va. Purtroppo. Copyright 2021 Giovanni Raminelli |
Post n°92 pubblicato il 08 Maggio 2021 da g.raminelli
Si sono svolte ad Ariano ferrarese oggi, sabato 8 maggio, le esequie del pittore Alfredo Zanellato. Ne scrivo con commozione avendolo avuto amico caro per lunghi anni, praticamente dalla fine gli anni 70 del Novecento allorché si gestiva con lui, con la scultrice Rita Da Re, con il critico d’arte del Carlino Antonio Caggiano e con l’indimenticabile don Franco Patruno gli appuntamenti annuali del Premio di Pittura Estemporanea “Campanile d’Oro”. Un premio fortemente voluto e sostenuto a Serravalle dall’allora parroco abate don Giovanni Camarlinghi e dal presidente del Comitato Fiera Roberto Tarroni. Quel Premio portò la parrocchia a dotarsi di tele di artisti noti e meno noti con cui nacque la Pinacoteca Parrocchiale di Arte Contemporanea. Non solo, donò una sua interpretazione della chiesa e del campanile con cui si realizzò la copertina del mio libro del 1980 sulla storia del nostro paese. Alfredo era già, in quegli anni, un artista a tutto tondo, affermato e conosciuto non solo in Italia ma anche a livello internazionale. Aveva vinto il primo premio alla European Art di New York nel 1962, cui seguirono mostre in Russia, in Australia, in Nuova Zelanda in Romania, in Jugoslavia, in Francia. Già dal 1955 partecipò a collettive nelle principali città italiane con presentazioni e lusinghiere attestazioni di merito di Balestrieri, Prete, Portalupi, Spinelli, Brindisi, Quilici-Buzzacchi, Breddo, Tieto, De Grada, Giuliani Oltre duecento i premi di rappresentanza e di acquisizione, oltre ad una quarantina di primi premi. Fra i riconoscimenti più prestigiosi la Medaglia d’Oro del Presidente della Repubblica e quella della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Pittore che ha rappresentato il Polesine, la quotidianità, senza dover ricorrere a linguaggi privilegiati ma con uno stile caldo, personalissimo, accattivante segno di un raggiunto equilibrio tra le cose reali e l’idea di amore per l’umanità e per la vita, Zanellato ha esposto anche al Palazzo dei Diamanti in Ferrara e, recentemente, con una magnifica personale presentata dal comune amico Giuliani Galeazzo nelle sale del Castello Estense della Mesola. Ritratti di una quotidianità con volti puliti, ancora emergenti da una civiltà contadina mai consegnata in alcuna sua tela alla retorica e alla nostalgia, Alfredo ce li ha offerti anche nelle poesie. Sì, anche la poesia, quella che potremmo scrivere con la P maiuscola, codificata in versi gradevolissimi e toccanti nella bellissima pubblicazione del 1997 “Parole & Immagini”, corredata da tante riproduzioni di sue opere, con una prefazione di Ottorino Stefani e un ottimo saggio critico di Renzo Biasion. In una bellissima poesia dedicata alla moglie, conclude la composizione scrivendo: “E se dovessi un giorno/al passo della vita cedere, /chìnati a sollevarmi/ e chiedimi se ancora/ vivo per te”. Zanellato vive nelle sue opere, nei suoi versi, soprattutto vive nel ricordo e nell’affetto dei famigliari e di quanti hanno avuto il privilegio di averlo per amico. Ciao, Alfredo!
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