Creato da: 1carinodolce il 08/06/2008
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scusa..siamo gemelli???? anch'io la penso cosi''

Post n°478 pubblicato il 12 Gennaio 2010 da ginevra.gt

mi piace lasciare una traccia del mio passaggio..mery

 
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Commenti al Post:
sita67
sita67 il 18/01/10 alle 01:08 via WEB
non sò se son gemelli ,ma carini quello sì!!! .....ciao carmen
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cloessidra
cloessidra il 22/01/10 alle 11:29 via WEB
che dolci... mi piace la fotooooo:::::: M.
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hengel0
hengel0 il 25/01/10 alle 09:02 via WEB
Buon Lunedi tesoro!!!!bacetti!!!!TVB,Hengel
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Antologia2
Antologia2 il 25/01/10 alle 10:40 via WEB
Benedetto XVI chiede ai sacerdoti di aprirsi all’umanità «digitale» ..... C’è Dio sul Web 2.0 ..... -- Francesco Ognibene -- Saper riconoscere Dio che passa. È la millenaria competenza naturale della creatura umana, che nell’età moderna sembra però essersi offuscata fino a smarrirsi in questa nostra contemporaneità pulviscolare dentro il dedalo inesauribile delle opinioni. Eppure, lo sappiamo: per quanto si adoperi, il clamore del mondo non riesce a spegnere la voce interiore che ci rende ancora distinguibile una Presenza sottesa ai segni della vita quotidiana. A istinto, Dio lo "sentiamo": capiamo ancora che è Lui, per quanto insensibile o distratta sia diventata l’anima di ciascuno. Nessuna raffinata spiegazione scientifica, psicologica o economica riesce infatti da sola a dar conto di ciò che l’intelligenza coglie e registra, di offrire risposte all’altezza della nostra ricerca. Siamo "capaci" di Dio ma è come se ce lo fossimo dimenticato, nello stordimento al quale siamo ormai consegnati. L’esplosione digitale dei mezzi di comunicazione, dei loro strumenti e messaggi, non fa altro che alzare il volume col quale dobbiamo convivere da abitatori della "pubblica piazza" mediatizzata, condivisa con tutti. Un rumore di fondo che rende semmai più acuta quella nostalgia infinita del cuore colta da sant’Agostino.
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Antologia2
Antologia2 il 25/01/10 alle 10:41 via WEB
C’è un solo "canale" che dà sempre il programma giusto, ma è necessario che qualcuno ci aiuti a captare la sua non facile frequenza. Basterebbe un prete, la figura che deve «aiutare gli uomini di oggi a scoprire il volto di Cristo». È sempre bastato, dentro qualsiasi cultura. E quando lo stordimento cresce la sua mano si fa ancor più necessaria. È dunque ai sacerdoti – guide predestinate di una simile ricerca del "Dio che passa" in ogni tempo – che Benedetto XVI ha pensato di dedicare il Messaggio 2010 per la Giornata mondiale delle comunicazioni, in calendario domenica 16 maggio. Una scelta in qualche modo annunciata nell’Anno Sacerdotale al quale il Papa sta riservando una cura magisteriale continua. Ma col testo diffuso ieri – e che oggi pubblichiamo a pagina 9 – il Santo Padre delinea per la prima volta i tratti di una inedita «pastorale nel mondo digitale», citata per ben due volte come il percorso necessario all’annuncio del Vangelo in quel territorio mediatico definito nel Messaggio 2009 come un vero «continente» brulicante di vita e in attesa di nuovi evangelizzatori. Anche "giù nel cyberspazio" – per dirla con lo scrittore-futurologo William Gibson – Dio chiama apostoli evangelicamente saldi e mediaticamente credibili, i sacerdoti in primis: non "occupatori" di una porzione di suolo – avverte il Papa – secondo una «mera esigenza di rendersi presente», ma «animatori di comunità che si esprimono ormai, sempre più spesso, attraverso le tante "voci" scaturite dal mondo digitale».
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hengel0
hengel0 il 26/01/10 alle 14:52 via WEB
Tesoro dolce serata di cuore.. un abbraccio e mille sorrisi..tvb...Hengel
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Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 13/02/10 alle 17:43 via WEB
.... Per rispondere adeguatamente al nostro problema, il punto di partenza è l’esperienza elementare, che ciascuno di noi può lealmente rintracciare in sé: «Ogni uomo di buona volontà, di fronte al dolore e al bisogno, immediatamente si mette in azione, si mostra capace di generosità» (L. Giussani, L’avvenimento cristiano, Bur, Milano 2003, p. 81). Ma questo naturale sentimento di generosità non ha possibilità di durata senza ragioni adeguate: «La solidarietà è una caratteristica istintiva della natura dell’uomo (poco o tanto); essa tuttavia non fa storia, non crea opera fin tanto che rimane un’emozione o una risposta reattiva a un’emozione; e un’emozione non costruisce» (Ibidem, pp. 82-83). Come sostenere questa esperienza elementare davanti al bisogno? È la domanda che si faceva anni fa don Luigi Giussani in un’assemblea come quella di oggi: «Come è possibile che l’uomo sostenga questo “cuore” di fronte al cosmo e, soprattutto, di fronte alla società? Come può fare l’uomo a sostenersi in una positività e in un ultimo ottimismo (perché senza ottimismo non si può agire)? La risposta è: non da solo, ma coinvolgendo con sé altri. Stabilendo un’amicizia operativa (convivenza o compagnia o movimento): cioè una più copiosa associazione di energie basata su un riconoscimento reciproco. Questa compagnia è tanto più consistente quanto più il motivo per cui nasce è permanente e stabile. Un’amicizia che nasca da un cointeresse economico ha la durata del giudizio circa la sua utilità. Invece una compagnia, un movimento, che sorga dall’intuizione che lo scopo di un’impresa eccede i termini dell’impresa stessa, e che essa è tentativo di rispondere a qualche cosa di molto più grande; insomma, un movimento che nasca dalla percezione di quel cuore che abbiamo in comune e che ci definisce come uomini, stabilisce una “appartenenza”» (Ibidem, pp. 88-89). Questa esperienza elementare mostra che l’altro è percepito come un bene, tanto è vero che si mette in moto la solidarietà, fino al punto di generare un popolo che risponda al bisogno. Per questo sentiamo il bisogno di metterci insieme per essere sostenuti nel nostro impeto iniziale. Questa posizione ha permesso a molti di tenere, più di tanti proclami vuoti. L’appartenenza nell’aiuto all’esperienza elementare è anche metodo per correggere l’inevitabile e continua riduzione della stessa esperienza elementare nel vivere e nell’azione. Non siamo ingenui o utopisticamente ottimisti alla Rousseau. Conosciamo bene il nostro limite, il peccato personale e sociale, per questo - come dice don Giussani nel discorso di Assago del 1987 (in L’io, il potere, le opere, Marietti, Genova 2000, pp. 165-170) - l’appartenenza a movimenti corregge continuamente chi vi partecipa da questa caduta educando continuamente al bello, al vero, al giusto. Invece dello stato di polizia, l’educazione in un’appartenenza. Ma in tempo di crisi neanche questa tensione ideale e amicizia operativa possono resistere alla tentazione dell’individualismo, se non trovano una ragione adeguata. Dobbiamo, infatti, avere sempre chiaro l’equivoco nel quale troppo spesso incorriamo: quello di sostituire un’amicizia, nata per sostenere il cammino dell’io, con un progetto di successo egemonico che passa attraverso il potere politico-sociale. Questo non è in grado di tenere davanti alle bufere della vita. Perciò la situazione attuale si trasforma in una occasione privilegiata per maturare la coscienza del perché stare insieme. Per chiarire la ragione che possa resistere a qualsiasi tsunami. - Julián Carrón -
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Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 15/02/10 alle 04:02 via WEB
Ciao, bello! mi puoi salutare su facebook maria mariella ciffolillo ? Baci
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Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 21/03/10 alle 22:55 via WEB
Il preservativo anziché le politiche Irresponsabile leggerezza dei governanti europei Un milione di preservativi gratis. Come co­riandoli sulla festa di ipocrisia di Zapatero e soci sulla faccenda che il Papa ha sollevato. Che diamine, grazie al Papa si può tornare a parlare (se­riamente) di sesso e invece no, questi vogliono subito chiudere il discorso, accusandolo di ogni nefandezza. E paracadutando sull’Africa un mi­lione di preservativi. Come in tempo di guerra si buttavano i volantini alla popolazione. E come se il nemico loro fosse il Papa più che l’Aids. Invece di guardare i dati – come fanno ad esempio il me­dico da tanti anni in Africa, Filippo Ciantia, in­tervistato ieri su queste colonne, circa l’esperien­za ugandese di educazione e sviluppo che ha fat­to diminuire l’Aids, e Paola Germano, oggi, sulla sintonia di Benedetto XVI con la comunità scien­tifica più avvertita nel chiedere cure gratuite per tutti – festeggiano la normale irresponsabilità dei loro governi verso l’Africa con eccezionali botti contro il Papa e lanci di coriandoli che servono so­lo a lasciare le cose come stanno. Troppo comodo distribuire preservativi gratis in­vece di mettere in crisi le multinazionali del far­maco chiedendo gratis i medicinali o fare cam­pagne più mirate su educazione e prevenzione. Comodo agitare lo slogan della libertà (vero e pro­prio spettro affamato come un ragazzino Soma­lo ormai) per lavarsi la coscienza. Comodo parla­re da palazzi presidenziali e da colonne di gior­nali di 'realismo' del preservativo contro chi, co­me i cattolici, sono da decenni tra i pochi 'real­mente' vicini alle popolazioni africane. La ideo­logia che azzanna ancora una volta rabbiosa­mente il tentativo di ragionare del Papa, sembra improntata a una strana idea di libertà. Gli afri­cani siano liberi di accoppiarsi a casaccio, a ri­schio, e si spaccino preservativi in luoghi dove non ci sono medicine e non c’è nemmeno l’ac­qua corrente, senza introdurre logiche di rispet­to per la donna, di stabilità nelle relazioni e di svi­luppo sociale. Lasciamoli liberi (cioè derelitti ma preservativizzati). Se la prendono con il Papa come se la Chiesa fos­se un poliziotto che gira tra villaggi sperduti a im­pedire al povero africano che probabilmente manco sa chi è il Papa di usare il preservativo (og­getto pure questo un po’ esotico per costui). Fan­no finta, questi allegri lanciatori di coriandoli sul­la propria irresponsabilità. Fingono di non sape­re che il problema è trattare seriamente il sesso e la libertà. Fanno finta di non sapere che il pro­blema sta in politiche di sostegno che si limitano a distribuire preservativi dove andrebbe invece distribuita istruzione e insegnato il rispetto. Fan­no finta e lanciano coriandoli e offese contro chi indica di fronte ai problemi non le scorciatoie ma un metodo che ha bisogno di tempi più lunghi e di scelte più forti. Sembra che abbiano fastidio se la Chiesa dà il suo contributo a un problema generale. Addirittura, un noto intellettuale italiano, condannato dai tri­bunali come mandante di un assassino politico, sulle prime pagine del quotidiano che lo ospita co­me penna di punta dà con nonchalance del 'leg­germente folle' al Papa. Il quale non è un provo­catore; ma ormai dinanzi a una platea formata in parte da governanti illuministici e intellettuali di questo genere, ebbri di ideologia e di livore verso tutto ciò che mette in questione la loro presunta buona coscienza, anche dire che l’acqua bagna – se lo dice la Chiesa – suona come provocazione. Beh, allora ben vengano queste provocazioni a pensare. E anche se il tema è solo un particolare nel grande viaggio di annuncio di speranza cri­stiana che Benedetto sta compiendo nel posto più difficile del mondo, sia utile a guardare la realtà con l’uso della regione. Si guardi all’Africa con l’occhio meno velato da ideologie e con meno spocchia, si guardino i dati. Chi lo deve, faccia se­riamente il governante e non il demagogo. E già che ci siamo, si parli finalmente, seriamente, non banalmente di sesso. E lo si faccia grazie, strano a dirsi?, al Papa. Davide Rondoni
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Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 31/03/10 alle 14:42 via WEB
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