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COMUNIC

Post n°457 pubblicato il 30 Luglio 2009 da 1carinodolce

Pontificia Università dela Santa Croce – Roma

Facoltà di Comunicazione Sociale Istituzionale

Don Giovanni D’Ercole: Chi è felice riesce a comunicare

ROMA, 3 NOVEMBRE 2004 – “Comunicare è un dono di natura” correlato inevitabilmente alle “tecniche che vanno acquisite con il tempo” per affinare la propria attività. Lo ha dichiarato don Giovanni D’Ercole, capo ufficio della Segreteria di Stato vaticana, nel corso del primo dei tradizionali “Incontri sulla comunicazione istituzionale” della Facoltà di Comunicazione.

 

Quando si comunica “non è tanto importante quello che si dice, quanto l’immagine che si trasmette agli altri” – ha proseguito don D’Ercole, tra l’altro già vice direttore della Sala Stampa della Santa Sede, autore di trasmissioni televisive per la Rai e di numerose rubriche religiose su diverse testate ed emittenti radiofoniche. 

Il sacerdote ha ricordato che quando si parla in televisione occorre farlo con la convinzione di avere di fronte uno strumento “importantissimo per trasmettere ciò che si ha dentro di sé”. Comunicare, infatti, richiede soprattutto “essere se stessi, avere dentro di sé qualcosa da dire al prossimo, sentirsi felici nonostante i propri limiti e avere una serenità di fondo che anima la nostra discussione. Quando si comunica non ci si deve preoccupare di ripetere ciò che si è imparato a memoria, piuttosto trasmettere se stessi, ciò che nasce dal profondo di ciascuno di noi”.

Molto apprezzata dagli astanti è stata la metafora sportiva: “la comunicazione è come un ping pong dove ci sei tu che lanci la palla e attendi un feedback, un ritorno da chi sta dall’altra parte. Se questa risposta tarda ad arrivare significa che la palla è caduta, è andata persa e subito cerchi di individuarla.

Così nella comunicazione: occorre proporre qualcosa che ha un valore per l’altro e che stimoli nello stesso la volontà di risponderti. Occorre inoltre saper adattarsi ed entrare in sintonia con l’altro, aprire un varco, stabilire un ponte”.

L’ospite ha ribadito, con parole di Pier Paolo Passolini, che con la tv  “c’è un passaggio tra la valorizzazione dell’uomo e la commercializzazione dell’immagine”. Non siamo più di fronte ad un’opera d’arte come il cinema o il teatro o la radio, piuttosto in prossimità di un  “fuoco d’artificio che vuole incollare il telespettatore attraverso una esasperazione dell’immagine”.

“Quando vado in tv io devo sapere queste cose, per esempio che appaio tra una reclame e un’altra, tra la diva di Hollywood  e scene di violenze. Dunque, come comunicatore della fede, come faccio a convivere con queste cose? – si è chiesto don D’Ercole -. Come prima cosa, e parlo di una scelta che riguarda la mia personale sensibilità, mi guardo bene dal partecipare a programmi di intrattenimento  e abbastanza frivoli che oggi abbondano in tv, proprio perché sono convinto che la tua immagine si deve caratterizzare non solo per quello che dici ma per quello che riesci a trasmettere”.

Se una delle regole oggi in voga  è la spettacolarizzazione “è pur vero che la tv non ha una grande capacità di impatto sulla nostra intelligenza ma colpisce piuttosto le nostre emozioni. Questo è molto pericoloso, ma anche molto interessante”. Ecco perché  quando si è davanti alle telecamere – ha suggerito – “è importante che il tema che vuoi proporre sia comprensibile nelle prime 5 parole che pronunci e che con esse tu abbia già catturato il telespettatore, altrimenti lo hai perso per sempre e quando ti vede la prossima volta ti cambia”.

Quello che ha colpito molto gli studenti presenti è la capacità del relatore di discorrere fluidamente: “uno dei miei segreti è l’esercizio della memoria, pratica a cui mi dedico quotidianamente per almeno un’ora. Bisogna essere allenati, oltre a possedere quel dono di natura di cui parlavo per comunicare con profitto in tv. Io, per esempio, non uso più fogli di carta da quando, ancora diacono, mi apprestavo a dare la mia prima omelia. Chiamata una parrocchiana le chiesi di ascoltarmi prima di procedere davanti ai fedeli. Avevo preparato il mio scritto in modo elaborato. Dopo cinque minuti ella mi disse di non aver capito nulla e da quel momento quando parlo non ricorro più ad appunti scritti. Devo fare mio quello che c’è scritto sulla carta, trasmettere quello che sento dentro di me e che il Signore mi suggerisce”.

Il personale segreto comunicativo di don Giovanni –ha confessato alla fine- “consiste nel fare un’ora di adorazione al Santissimo Sacramento ogni mattina”. Senza quello, ha concluso, “sono sicuro che la mia parola perderebbe la sua efficacia”.

GIOVANNI TRIDENTE

 

 

 

 

 

 

 

  

 

  

 

 
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