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INTERESSANTISSIMA **********

Post n°467 pubblicato il 01 Settembre 2009 da LICURSI.110

 

Il bello, il giusto e il vero nel mestiere di comunicare
1/3

Autore: Contri, Alberto  

 
Conversazione tenuta a Roma, il 10 maggio 2001, alle ore 12, al Teatro Manzoni.  

 


Mentre riflettevo sul senso della mia esperienza che ritenevo si stesse concludendo e radunavo gli scatoloni per riporvi i miei libri, mi è capitato in mano "Le memorie di Adriano" della Yourcenar che ho riletto con vero piacere, e mi sono soffermato su una frase di Adriano che mi aveva già colpito a suo tempo:

"Mi sentivo responsabile della bellezza del mondo", è la confessione dalla quale traspare un potente desiderio di ricercare un accordo tra la felicità e il metodo, tra l'intelligenza e la volontà, facendosi ad un tempo carico dei problemi di tutti gli uomini.

Penso sinceramente che chi lavora in un servizio pubblico si debba a suo modo sentire responsabile, come l'imperatore Adriano, della bellezza del mondo.


Ma questo pensiero si è addirittura tramutato in una spina dolorosa, continua, nella ricerca di un nesso tra quanto ci stava capitando durante le assurde polemiche su Luttazzi, sulla libertà di pensiero, sull'impossibilità di definire la qualità e tutto quanto sapete benissimo perché l'avrete letto sui giornali, un nesso dicevo tra l'attuale situazione del nostro servizio pubblico e alcuni concetti di fondo come il bello, il vero, il giusto.

 
Concetti che mi sono venuti ripetutamente alla mente perché nelle mie diatribe quotidiane con i colleghi mi è sempre stato rinfacciato di inseguire concetti indefinibili che ci avrebbero impedito una corretta e pratica e moderna gestione del servizio pubblico… e così - poiché io sono un ariete di segno e di fatto e non mi arrendo tanto facilmente - ho pensato che fosse venuto il momento di dibatterne pubblicamente, vista l'impossibilità di farlo dove invece si dovrebbe farlo, e dove invece si preferisce usare sempre più spesso il potere contro la verità.

 
Veniamo dunque ad una prima osservazione.


L'allargamento del ruolo della comunicazione e della informazione a principale fattore di ordinamento della convivenza umana ha fatto sì che, con il declino delle grandi agenzie di senso (siano esse religiose o ideologiche) le preoccupazioni della società occidentale venissero espresse non più in termini etici (il giusto) ma in termini estetici (il bello).

Trasferito in campo televisivo, potremmo dire che al concetto di utilità si sostituisce quello di gradimento; al concetto di bene, quello di ascolto.

Per la verità non si tratterebbe di una sostituzione grave se il concetto di "bello" ed in generale le categorie dell'estetica avessero conservato ancora una loro intima relazione con il concetto di verità e di giustizia. In questo caso ci troveremmo dinnanzi ad una accentuazione diversa, ad una graduazione mutata di elementi all'interno della stessa scala di valori.

In realtà è venuta meno, sembrerebbe irrimediabilmente, la stessa solidarietà che in tutto il pensiero classico e in molta parte del pensiero moderno ha caratterizzato il rapporto tra il vero, il bello, il giusto.

L'utilizzo massiccio delle procedure di consenso, l'utilizzo massiccio dell'estetica e degli obiettivi sociali implica che gli uomini conoscano che cosa è l'uomo, a cosa serve, a cosa tende.
 
La vera etica (il giusto) nasce dalla ontologia (dalla verità e dalla sua conoscenza). Una estetica che non sia lo splendore del vero e del giusto è condannata ad una mortale contraddizione che tanto più stridente quanto più estremo è l'impiego che se ne fa: non bastano i violini per coprire gli orrori di Auschwitz.


Come non basta un bel montaggio per nascondere la faziosità.
Nella sua
lettera agli artisti (era la Pasqua del 99) il Papa richiamava con forza, oltre che allo splendore del vero e del bello, alla valutazione dell'importanza del problema antropologico, nel senso di sottolineare che uno degli errori degli artisti moderni è quello di separare il problema del bello dal problema dell'uomo in senso generale.
 

In quella lettera che consiglio di rileggere, si sottolineava il fatto che l'uomo è prima ancora che un creatore del bello, uno che lo cerca e che ne segue le epifanìe.
Ogni vero artista sa che il bello non è solo un prodotto delle sua mani, ma è qualcosa a cui egli ha attinto e obbedito. Lo dice Dante, lo affermava Eliot, lo scriveva Baudelaire.

Oggi invece prevale un concetto di bello come pura realizzazione tecnica, come montaggio: TV e cinema per loro stessa natura possono essere i luoghi supremi di questa ambiguità. Non che non occorra la tecnica e il "labor", ci mancherebbe, ma l'esperienza della bellezza si connota innanzitutto come apertura a un livello del gratuito e del misterioso che opera nel mondo.

E proprio la TV con i suoi meccanismi così simili a quelli del procedimento artistico (sintesi, taglio, montaggio, compresenza di più livelli cronologici e semantici, pluralità dei punti di vista) potrebbe essere un grande fattore di educazione al bello… ma il fatto che invece oggi si avvicini sempre più spesso alla parola TV l'aggettivo spazzatura dovrebbe farci riflettere.

Così come dovrebbe far riflettere che ci siano alcuni "maitre a penser" che hanno grandi responsabilità nel servizio pubblico, che con grande serenità e lucidità fanno addirittura delle separazione, della scissione del vero dal giusto e dal bello la loro bandiera culturalprofessionale.

Fonte: CulturaCattolica.it  Curatore: Buggio, Nerella

continua ....

 

 
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