.... Per rispondere adeguatamente al nostro problema, il punto di partenza è l’esperienza elementare, che ciascuno di noi può lealmente rintracciare in sé: «Ogni uomo di buona volontà, di fronte al dolore e al bisogno, immediatamente si mette in azione, si mostra capace di generosità» (L. Giussani, L’avvenimento cristiano, Bur, Milano 2003, p. 81).
Ma questo naturale sentimento di generosità non ha possibilità di durata senza ragioni adeguate: «La solidarietà è una caratteristica istintiva della natura dell’uomo (poco o tanto); essa tuttavia non fa storia, non crea opera fin tanto che rimane un’emozione o una risposta reattiva a un’emozione; e un’emozione non costruisce» (Ibidem, pp. 82-83).
Come sostenere questa esperienza elementare davanti al bisogno? È la domanda che si faceva anni fa don Luigi Giussani in un’assemblea come quella di oggi: «Come è possibile che l’uomo sostenga questo “cuore” di fronte al cosmo e, soprattutto, di fronte alla società? Come può fare l’uomo a sostenersi in una positività e in un ultimo ottimismo (perché senza ottimismo non si può agire)? La risposta è: non da solo, ma coinvolgendo con sé altri. Stabilendo un’amicizia operativa (convivenza o compagnia o movimento): cioè una più copiosa associazione di energie basata su un riconoscimento reciproco. Questa compagnia è tanto più consistente quanto più il motivo per cui nasce è permanente e stabile. Un’amicizia che nasca da un cointeresse economico ha la durata del giudizio circa la sua utilità. Invece una compagnia, un movimento, che sorga dall’intuizione che lo scopo di un’impresa eccede i termini dell’impresa stessa, e che essa è tentativo di rispondere a qualche cosa di molto più grande; insomma, un movimento che nasca dalla percezione di quel cuore che abbiamo in comune e che ci definisce come uomini, stabilisce una “appartenenza”» (Ibidem, pp. 88-89).
Questa esperienza elementare mostra che l’altro è percepito come un bene, tanto è vero che si mette in moto la solidarietà, fino al punto di generare un popolo che risponda al bisogno. Per questo sentiamo il bisogno di metterci insieme per essere sostenuti nel nostro impeto iniziale. Questa posizione ha permesso a molti di tenere, più di tanti proclami vuoti.
L’appartenenza nell’aiuto all’esperienza elementare è anche metodo per correggere l’inevitabile e continua riduzione della stessa esperienza elementare nel vivere e nell’azione. Non siamo ingenui o utopisticamente ottimisti alla Rousseau. Conosciamo bene il nostro limite, il peccato personale e sociale, per questo - come dice don Giussani nel discorso di Assago del 1987 (in L’io, il potere, le opere, Marietti, Genova 2000, pp. 165-170) - l’appartenenza a movimenti corregge continuamente chi vi partecipa da questa caduta educando continuamente al bello, al vero, al giusto. Invece dello stato di polizia, l’educazione in un’appartenenza.
Ma in tempo di crisi neanche questa tensione ideale e amicizia operativa possono resistere alla tentazione dell’individualismo, se non trovano una ragione adeguata. Dobbiamo, infatti, avere sempre chiaro l’equivoco nel quale troppo spesso incorriamo: quello di sostituire un’amicizia, nata per sostenere il cammino dell’io, con un progetto di successo egemonico che passa attraverso il potere politico-sociale. Questo non è in grado di tenere davanti alle bufere della vita.
Perciò la situazione attuale si trasforma in una occasione privilegiata per maturare la coscienza del perché stare insieme. Per chiarire la ragione che possa resistere a qualsiasi tsunami.
- Julián Carrón - |