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L'amore secondo Giacobbe (non il profeta)

Post n°47 pubblicato il 11 Dicembre 2011 da hmbebop

Forse un pò ha ragione G.C. Giacobbe (l'autore del noto libro “Come smettere di farsi le seghe mentali ecc.”, "Alla ricerca delle Coccole Perdute" e di diversi altri) quando dice che l'innamoramento è una condizione patologica.

L’autore, che si definisce psicologo e psicoterapeuta, ha elaborato una teoria secondo la quale un essere umano, uomo o donna che sia, per essere psicologicamente sano dovrebbe evolvere dalla condizione di bambino a quella di adulto a quella di genitore.

Le tre figure sarebbero distinte sul piano affettivo dal fatto che la prima è incapace di amare (nemmeno sé stessa/o) la seconda è capace di amare SOLO sé stesso e la terza, quella più evoluta, è capace di amare ANCHE un altro essere umano (la definizione di genitore, quindi, prescinde dal fatto che si abbiano o meno figli).

Secondo Giacobbe chi si mette insieme (o peggio ancora, si sposa) con un altro essere umano senza essere “genitore” commette un errore gravissimo e la sua unione è destinata a fallire inesorabilmente, perché chi non è genitore non è capace di amare un’altra persona.

Giacobbe sostiene che l’innamoramento è una condizione patologica ed infantile perchè è spinta dal bisogno di essere amati e non dall'amore in senso proprio, cioè dell'atto di amare senza chiedere nulla in cambio (=aver bisogno di essere amati).

L'innamoramento, secondo lui, sarebbe solo una ricerca di conferme, un bisogno di soddisfare quel bisogno d’amore che non si è capaci di soddisfare da soli, e perciò  il malcapitato rivolge all'esterno la domanda di affetto, attenzione, dolcezza che da solo non si è in grado di darsi, perchè non si piace, non si ama, ecc.

Personalmente in queste affermazioni intravedo un fondo di verità.

Il mio bisogno di amore, l’essere sempre innamorato quando ero adolescente, me lo ricordo bene: in famiglia mi hanno sempre, continuamente criticato, ed ancora oggi non hanno smesso: chiaro che uno che cresce con questo martellamento di critiche penserà di essere “sbagliato” e cercherà conferme altrove, fuori di sé.

Me lo ricordo bene, ero sempre innamorato, per di più di gente che non mi filava di striscio, quasi cercassi di riscattarmi dalla triste situazione che si presentava in famiglia.

Col tempo ho imparato a fregarmene: oggi la critica la sento, ma non mi entra.

Magari mi dà fastidio, magari molto fastidio, ma non è capace di distruggere quello che provo, che sento come giusto, come quando ero piccolo, anche perchè la realtà dei fatti, spesso, ha smentito quelle critiche e mi ha dato ragione, confermando come giusto quello che altri mi dicevano essere sbagliato.

Spesso, se guardo al passato, mi incazzo terribilmente perchè scopro di aver o non aver fatto qualcosa perchè spinto nella direzione sbagliata proprio da quelle critiche ingiuste.

In definitiva, quindi, il mio innamoramento non era per niente sano, in questo concordo con Giacobbe sul fatto che sia uno stato patologico. Il mio lo era di sicuro.

Non mi sento invece così d’accordo con Giacobbe sulla descrizione di adulto, descritto come una specie di predatore spietato, cinico ed arrogante, capace solo di portar vantaggio a sé a costo di passare sui cadaveri altrui e per questo totalmente autosufficiente ed autonomo.

Credo che nessuno per diventare adulto si debba trasformare in una bestia del genere, la trovo un'aberrazione.

Qualcuna se ne vede in giro, di queste aberrazioni: ad esempio quei personaggi capaci di ogni porcata pur di portar vantaggio a sè stessi. Ma che uomo/donna è uno così? E soprattutto, che succederà se questo uomo/donna si troverà ad aver bisogno degli altri per malattia, disastri finanziari o altre situazioni difficili? Mi viene in mente la fine hanno fatto i dittatori, come Gheddafi o Mussolini.

Giacobbe stempera dicendo che lo stato di adulto è una transizione, che viene poi superato dallo stato di genitore (non in senso biologico,  ma sempre nel senso evolutivo, secondo la sua teoria).

Ora, non riesco a capire, e nemmeno lui mi ha dato una risposta convincente (gli ho scritto via mail e lui ha risposto) il motivo per il quale uno/a che è autonomo ed autosufficiente al 100% dovrebbe diventare genitore: se sta così bene con sé stesso, non ha bisogno di aiuto né di compagnia, chi glielo fa fare? Perché mai dovrebbe donarsi agli altri? Ciò rimane un mistero.

Quello che è certo è che più si avanza con l'età più è dura stabilire una relazione affettiva con qualcuno. Si dice che si diventa più “difficili”, più esigenti.

Forse la verità è che quando si è giovani si ha davvero “bisogno” di maggiori conferme, mentre quando si è più adulti quelle conferme si è in grado di soddisfarle per lo più da soli, e per questo si sente meno l’esigenza di una persona accanto che ci conforti.

Da ciò deriverebbe questa difficoltà ad instaurare una relazione quando si è avanti con l’età.

Il padre di un amico mi disse: “ma tu quando ti sposi? Guarda che se non lo fai adesso non lo farai mai più”.  Ed aveva ragione. Oggi sono molto più cauto nell’instaurare una relazione con una persona. Alcuni dicono che lo sono perfino troppo, ma poi la realtà mi presenta, quotidianamente, gente che si separa dopo qualche anno o addirittura qualche mese di matrimonio, magari con il dramma dei figli in tenera età.

La prospettiva di una vita da soli non mi piace affatto, ma quella di mettermi in storie complicate e piene di problemi mi attrae molto di meno, per questo sono cauto e guardingo.

Forse sbaglierò, sicuramente me la sto godendo meno di tanti altri che scopano a destra e manca, ma, alla fine, quello che conta è sentirsi a posto con sé stessi, no?

 
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Commenti al Post:
sono_fusa
sono_fusa il 25/01/12 alle 18:40 via WEB
Meglio soli che male accompagnati..;) I detti popolari non sbagliano mai! Un abbraccio Bop, ciao! :)
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