Creato da IntelligenteNONbasta il 08/06/2009

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Tu chiamale se vuoi.....EMOZIONI.

Post n°71 pubblicato il 23 Marzo 2010 da IntelligenteNONbasta

Quale è il senso della vita?

E' per perfezionare il sé, o il sacrificio del sé, o una preparazione per la vita futura, o un miglioramento dell’umanità? 

 Tutte queste opinioni cercano il significato della vita fuori della vita stessa.

Bisogna guardare dentro se stessi. Il vero senso della vita è “connaissance” .


La propria relazione con se stesso e con il mondo – questa è “connaissance”, o conoscenza.

Tutti gli elementi della psiche dell’uomo – percezioni, sensazioni, concetti, idee, emozioni, creazione, sono strumenti di conoscenza. Tutte le emozioni, dalla più semplice alla più complicata – religiosa, morale, artistica – sono tutti strumenti di conoscenza.

Secondo la teorie della “lotta per l’esistenza” è la sopravvivenza del più forte che crea l’intelletto e le emozioni, e questi servono la vita, infatti non sono casuali.

Hanno un ruolo nella creazione e sono il prodotto di un'intelligenza di cui non conosciamo nulla; e conducono alla conoscenza. 

Le nostre vite non hanno altro senso se non quello del processo attraverso il quale acquisiamo conoscenza.

 Il processo di acquisizione della conoscenza non avviene solo attraverso l’intelletto ma attraverso tutto il nostro organismo e l’organizzazione della vita, della cultura e della civiltà. E noi acquisiamo la conoscenza di ciò che meritiamo di conoscere.

Tutti concordano con il fatto che lo scopo dell'intelletto è la conoscenza. ma non ci sono chiare le nostre emozioni: gioia, rabbia, gelosia, piacere, creazione artistica; non vediamo che tutte le attività, tutte le emozioni, servono la conoscenza.
Noi opponiamo le emozioni alla ragione. Anche l’intelletto preso come un tutto è emozione.

La ragione provoca dei pensieri le cui immagini evocano emozioni che conquistano un sentimento particolare. La ragione non ha limiti – solo gli esseri umani hanno limiti.

Nell’uomo la crescita della coscienza consiste nella crescita dell’intelletto e la crescita di emozioni , l’intelletto assimila le emozioni.


L’uomo oggi comprende molto con l’intelletto, ma anche con i sentimenti. Con ogni sentimento l’uomo comprende qualcosa che non potrebbe comprendere senza il suo ausilio.

Se pensiamo che le emozioni servono la vita e non la conoscenza, non comprenderemo mai le emozioni. Ci sono cose e relazioni che possono essere comprese solo emozionalmente, e solo con certe emozioni. Bisogna amare per comprendere qualcuno che ama, ecc.

Le emozioni sono la finestra dell’anima – vetri colorati attraverso i quali l’anima guarda al mondo. Illuminazione parziale – percezioni parziali.

Non vi è nulla di così chiaro, nulla di così ingannevole, che le emozioni.




 
 
 

Tempesta cerebrale e PAV

Post n°70 pubblicato il 25 Febbraio 2010 da IntelligenteNONbasta

Come fare a prendere una decisione importante esaminando la più vasta gamma di soluzioni possibili? Se cercate una risposta a questa domanda, il brainstorming è lo strumento che fa per voi. Forse proprio perché è uno dei modi più facili per generare una lista di idee e più frequentemente usati, sembra essere anche quello meno conosciuto dal punto di vista metodologico.

Letteralmente, il termine "brainstorming" (coniato da Alex Osborn, un pubblicitario americano, nel 1938) potrebbe essere tradotto con "tempesta del cervello", ed è appunto un insieme di idee, a volte senza senso, che danno la possibilità di creare nuovi metodi per affrontare un problema con ciò che si ha a disposizione.

In termini concreti, stiamo parlando di una tecnica creativa finalizzata a far emergere nuove idee, in un clima in cui ogni partecipante sia tenuto ad esprimere il proprio pensiero, senza pregiudizi o critiche preventive.

Il brainstorming prevede una fase divergente, in cui si producono idee a ruota libera, seguita da una successiva fase convergente in cui le idee vengono selezionate, valutate e si arriva a raccogliere le più interessanti. Una specie di doppio imbuto: prima si producono più idee possibili e poi le si passa al setaccio.

Per lo specifico obiettivo di praticare le tecniche di memoria, infatti, è necessario fare associazioni mnemoniche: associazioni fra due concetti, allo scopo di ricordarli. Tali associazioni devono essere, Paradossali, contenere al loro interno un'Azione, ed essere Vivide ( "PAV").
Il problema sorge quando bisogna memorizzare più concetti, e fare molte associazioni mnemoniche, e tutte caratterizzate dal PAV: serve molta fantasia e creatività.

Molte persone, però, sono convinte di non avere abbastanza fantasia per creare associazioni valide, e "ricordabili" nel lungo periodo. Non sono convinte di riuscire a fare associazioni mnemoniche caratterizzate dal PAV.

 Io stessa, all'inizio, avevo grande difficoltà a trovare associazioni mnemoniche valide, e, solitamente, il tempo impiegato per trovarne era davvero troppo.
Ecco, quindi, che arriva il brainstorming a dare una mano. In questo caso specifico, il brainstorming è un tipo di esercizio mentale che permette di sviluppare il senso creativo della propria mente. Bisogna ovviamente ricordare che tutti hanno potenzialità creative, bisogna solo esercitarle?

 
 
 

New york

Post n°69 pubblicato il 23 Febbraio 2010 da IntelligenteNONbasta

 
 
 

Magico Dante.....

Post n°68 pubblicato il 23 Febbraio 2010 da IntelligenteNONbasta

Paolo e Francesca amanti

Amor, ch’ al cor gentil ratto s’apprende, prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e il modo ancor m’offende…

Amor, ch’al nullo amato amar perdona, mi prese costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona…

Chi non ricorda questo bellissimo canto dell’inferno ne La Divina Commedia di Dante?

Nel canto V si narra la storia di Paolo e Francesca, due personaggi veramente esistiti attorno al 1255, ma non esistono prove concrete dell’adulterio né che Paolo e Francesca si frequentassero veramente.

Dante fu il primo a presentare questa coppia come l’immagine passionale di due giovani che si trovarono separati dall’inganno delle rispettive famiglie.

Dopo esser stati uccisi dal marito di lei che scoprì il tradimento, finirono nell’Inferno, l’uno accanto all’altro, abbracciati per l’eternità e costretti a vivere spinti dal vento della Passione, per la legge del contrappasso.

Francesca nacque a Ravenna, ed era figlia di Guido da Polenta il Vecchio, signore di Ravenna.

Paolo e Gianciotto erano i figli di Malatesta.

Le due famiglie avevano spesso forti contrasti e pensarono che unendo in matrimonio Francesca e Gianciotto, che era sì nato storpio, ma era un uomo d’armi e per di più uomo di governo, avrebbero risolto le loro liti.

Paolo invece era un bel ragazzo e la famiglia decise ben di celebrare il matrimonio tramite procura; quindi inviarono Paolo a chiedere la mano a Francesca.

La poveretta credette che la richiesta di matrimonio provenisse da parte di Paolo e accettò, ma al termine si ritrovò al fianco di Gianciotto.

Dante, nel canto, ascolta le parole di Francesca che gli spiega di come fu ingannata, e di quanto fosse malvagio il marito, il quale aveva ordinato ad un suo servo di seguire i due giovani e di riferirgli cosa facessero.

Fu durante la lettura del libro, che raccontava l’amore tra Lancillotto e Ginevra, che i due giovani profondamente innamorati si scambiarono quel bacio.

Il servo corse ad avvisare Gianciotto che per rabbia uccise i due amanti. 

Tutt’ora non si sa se veramente sia accaduto tale delitto, ma rendiamo comunque grazie a Dante di averci donato un canto così splendido e pieno di amore e speranza…perché come dice Francesca: ”…mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona”.

 

E quello fu l’ultimo bacio e l’ultima lettura.

 
 
 

L’attenzione e il rispetto per l’altro, chiunque sia.

Post n°67 pubblicato il 22 Febbraio 2010 da IntelligenteNONbasta

 

Non tutti sanno che arroganza deriva dal latino ad rogare, che significa richiedere e attribuirsi ciò che in realtà non spetterebbe. Ma «richiede» e «si attribuisce» come se lo sapesse perfettamente.

Se la maggioranza degli italiani ritiene maleducazione e arroganza in testa nella classifica dei nuovi vizi, i maleducati e gli arroganti da che parte stanno?
Dalla parte della minoranza? Non credo.
Anzitutto stigmatizzare gli altri come maleducati è maleducato. Ho in mente una signora veramente educata: mai uscì dalla sua bocca un commento negativo su qualcuno. Noi quante volte sentenziamo: «Quello è un cafone»?
La verità è che ci sentiamo tutti beneducati, informati come siamo di ogni regola del galateo. Mai come ai nostri giorni, infatti, si vendono libri sul bon ton: questo non si fa, quest’altro non si dice.
Dire «buon appetito», per esempio, non si fa, scrive qualche simil nobil­donna. E se a tavola uno ci guarda negli occhi, augurandoci un cordialissimo «buon appetito», che facciamo? Rispondiamo all’augurio o restiamo muti per non cedere al «maleducato»?
E se la colf extracomunitaria, nel servire il caffè durante un pranzo con i nostri ospiti, commette un errore di bon ton, che facciamo? La riprendiamo di fronte a loro (con la malcelata intenzione di far capire che noi le buone maniere gliele abbiamo insegnate ma lei, ahimè, non recepisce)?
E se, suonando alla porta di casa di persone importanti, viene ad aprirci un cameriere filippino, porgendoci la mano, mentre poco lontano la padrona di casa ci viene incontro, che facciamo? Stringiamo la mano al filippino o andiamo spediti incontro alla signora (pensando a quel «prima la padrona di casa!» che abbiamo letto sull’ultimo libro)?
Sono casi limite, certo, ma è proprio lì che cade il finto beneducato. Il quale ha letto forse qualche recente libro di bon ton ma certo non il Galateo di Monsignor Della Casa, dove si spiega fin dall’inizio la regola aurea di tutte le buone maniere: l’attenzione e il rispetto per l’altro, chiunque sia. Per questo, nei casi limite, tra la regoluccia e l’altro, vince sempre l’altro. Ecco perché è maleducato dire «maleducato», perché è un giudizio che umilia l’altro.
Senza attenzione all’altro c’è, al di là di qualunque regola, solo maleducazione e arroganza.
Per lo stesso motivo, se siete le commesse di un negozio di articoli per giovani e vi si presenta un anziano, distinto signore, vi prego, non umiliatelo con quel terribile «Ciao». Lui si aspetta un «Buongiorno» come il filippino di prima si aspettava il vostro saluto: l’altro è in tutti i gradini della scala sociale.
Attenzione e rispetto per l’altro: ecco l’antidoto alla male­du­cazione e all’arroganza. Non regolette di bon ton e nemmeno manuali di morale, pieni di elenchi sterili di valori. Perché il rispetto per l’altro non si legge da nessuna parte: si impara per imitazione di testimoni, nasce dalla memoria di essere stati noi un tempo, in famiglia e a scuola, riconosciuti, rispettati, amati.
Ultimamente, credo, nasce dalla consapevolezza che la nostra stessa vita, tutto quello che siamo e abbiamo, è la conseguenza di un’attenzione, di un amore, da parte di un Altro.
In definitiva, allora, che fare? Provo a suggerire un decalogo di comportamento per aiutare a costruire rapporti belli anche con chi sembra ci voglia sovrastare o disprezzare.
 
- non ti sentire mai offeso, nessuno può entrare nel sacrario della tua coscienza;
- non perdere tempo a rendere pan per focaccia: peggiori tu e spingi l’altro a perseverare;
- non compatirlo, ma creagli attorno un contesto disarmante di amicizia;
- spesso è maleducazione incosciente la sua: aiutalo a scoprire i sentimenti tenui della vita;
- sappi che ogni uomo ha bisogno degli altri per essere felice, ma deve allargare il cuore per far loro spazio;
- si è fatto lui centro del mondo: aiutalo a scoprire il vero centro che è Dio;
- per valutarsi nella verità di se stesso, ha bisogno di lasciare il suo loculo, nel quale si sente papa, re e profeta;
- se comincia a chiedere scusa, anche tra i denti, non lo scoraggiare: è su una buona strada;
- la buona educazione non è il politicamente corretto, ma il lasciarsi conquistare da un ideale;
- conquisti più arroganti con una goccia di miele che con un barile di aceto.
 

 
 
 

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