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Giochi di quando eravamo piccoli

Post n°52 pubblicato il 14 Luglio 2007 da jeanultrasbari
 

"Iùne monde la lune"

 Formato un cerchio, seguiva «u tècche» (il tocco), l’ultimo che era contato, si sistemava sotto il marciapiede e si piegava poggiando le mani sulle ginocchia. Subito dopo dava il via al gioco decidendo chi doveva essere «u rrè» (colui che doveva saltare per primo e comandare il gioco). «U rrè», prima di saltare pronunciava il nome del secondo concorrente, il quale doveva saltare come il primo e chiamare il terzo compagno. A sua volta il terzo chiamava il quarto saltellando e così di seguito fino all’ultimo saltatore. Chi sbagliava saltando o pronunciava erroneamente le sequenze del gioco, «scève sotte» (sostituiva l’amico che stava piegato sotto il marciapiede). Il gioco riprendeva dall’inizio e il nuovo concorrente piegato, in funzione di cavallina, sceglieva un nuovo “capo” oppure confermava il precedente. È chiaro che anche il “capo” doveva stare attento a non sbagliare. Proseguendo senza interruzioni, «u rrè» incominciava a pronunciare la prima fase in dialetto chiamando il secondo compagno e, in ordine di chiamata, seguiti da altri, che ripetevano e saltavano correttamente: «Iùne monde la lune, Pièrìne», Piero si accingeva a saltare chiamando il terzo saltatore «Iùne monde la lune, Nardìne (Leonardo)». Stabilito l’ordine dei saltatori si proseguiva con: «Du, monde blu». «Trè, la fìgghie d’u rrè». «Quàtte, u battamàne a la zìta mè» (prima di saltare si battevano le mani). «Cìnghe, le chetùgne» (come si saltava poggiavano contemporaneamente le mani a pugni chiusi, sulla schiena piegata del ragazzo). «Sè, la battolètt’a vvole» (al momento del salto si dava pure un calcio, dalla parte interna del piede, al sedere di chi stava “sotto”). «Sètte, le ngroge» (con la giusta rincorsa, si saltava il più lontano possibile cadendo con le gambe incrociate stando immobile, per dare la possibilità agli altri saltatori di non toccarlo, pena la squalifica, ossia chi toccava l’altro compagno andava “sotto” e si ricominciava dall’inizio). «Uètte, u fangòtte» (prima di saltare si faceva scena immaginando di portare addosso, dietro le spalle, un fagotto pesante. Arrivati davanti alla “cavallina” si saltava con uno scatto a piedi uniti). «Nove, marang’e limòne». «Dèsce, nu piàtte de cìgger’e ppaste». «Iùnnece, le fermìche» (prima di saltare si solleticava, con una mano tenendo le dita unite, il sedere di chi stava “sotto”. Il movimento del solletico, da parte di tutti i saltatori, poteva durare per alcuni minuti irritando chi subiva la fase del gioco, mentre gli altri ridevano). «Dùdece, u ggìre d’u munn’a nu pète» (dopo il salto, si rimaneva in equilibrio su di un piede. Tutti, finiti di saltare, si mettevano in fila indiana dietro «o rrè», girando intorno nella zona dove si giocava salendo e scendendo il marciapiede, sempre con un piede. Nel frattempo il “capo” comandava di cambiare piede, di saltare a piedi uniti, di ritornare a camminare con un piede e contemporaneamente battere le mani, divaricare le gambe, fare esercizi ginnici, ecc. Chi sbagliava o si stancava mettendo i piedi a terra o si distraeva non seguendo ciò che diceva il “capo”, se il ragazzo che fungeva da cavallina lo beccava, si scambiavano i ruoli e si riprendeva il gioco dalla prima fase. Invece, se tutti i saltatori erano attenti ai comandi del «rè», questi, pronunciando la parola in dialetto: «Avàste!», continuava il gioco passando alla fase successiva. «Trìdece, u mandellìne» (prima di saltare si dava un colpo secco, con il dito medio dietro al sedere di chi stava “sotto” e poi si saltava senza rincorsa). «Quattòrdece, la seggiolìne» (saltando si rimaneva seduto sulla schiena, finché, chi fungeva da cavallina, non se lo scrollava di dosso). «Quìnnece, vìin’auuandà o statte sotte» (tutti, dopo il salto, scappavano evitando di essere rincorsi dalla “cavallina” perché se uno era acciuffato sostituiva il suo precedessore stando sotto il marciapiede e ricominciare il gioco dall’inizio. Se, nessuno era preso dalla “cavallina” la quale si stancava di rincorrere, dava inizio nuovamente al gioco, magari scegliendo un altro “comandante”).

 
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