Quella notte lei scelse di morire. Non potendo più evitarlo, si tirò stancamente su dal letto e si fermò un momento a pensare a come farlo.
Aveva il terrore delle armi e delle altezze, era più semplice usare un veleno, in fondo nella sua inutile vita aveva dovuto inghiottirne tanti, uno più uno meno non l'avrebbe spaventata. Frugò nel cassetto dei farmaci e ne trovò qualcuno che gli parve perfetto per lo lo scopo.
Si sfilò la vecchia maglia e tirò via scalciando le calze consunte e intrise del cattivo odore dei tanti giorni trascorsi a letto. Riflettè per un istante e si diresse in bagno ad aprire la doccia. Desiderava lavarsi senza fretta per un'ultima volta.
Inumidì appena il guanto di crine e prese a sfregarsi ogni centimetro di pelle con un inconsueto accanimento. Più la cute si arrossava e più lei vi sfregava su, finchè la sensazione dolorosa, divenuta insopportabile, non liberò il pianto.
Si rovesciò sulla testa quasi tutta la confezione del suo introvabile balsamo, ormai non le sarebbe più servito, tanto valeva goderselo. Lo massaggiò a lungo su tutta la capigliatura che prese poi a spicciare delicatamente sotto il getto tiepido dell'acqua, come faceva sempre.
Non perse tempo ad asciugarsi ed uscì gocciolante dalla doccia. Si tagliarsi i capelli e il pavimento fu in fretta ricoperto dalle lunghe ciocche fradice.
Lo specchio le rimandò la sua immagine. Nuda, bagnata, estranea e definitiva. L'emozione le piegò le ginocchia costringendola a raggiungere di nuovo il letto per sedersi lì sul bordo.
Pensò per un istante a cosa lasciar detto. E allora scrisse appena una riga: lasciami andare, io non voglio più.
E andò.
( f )
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