Il pensiero scomodo

I duri hanno due cuori (Parte II)


Cari ragazzi, questa è la seconda parte di "I duri hanno due cuori". La prima, oltre ad essere stata inviata nel pdf è ancora disponibile nel blog. Nel prossimo numero la terza parte. Buona lettura...e commentate... Capitolo 2 – Primavera 2010 Michele Veleno era un uomo sulla quarantina. Un operaio. Aveva una moglie, una bella moglie. Da piccolo sognava di emulare le gesta di Al Pacino e Marlon Brando, ma non aveva abbastanza talento, o culo, o entrambi. La passione per il cinema non la perse comunque, divenne un discreto conoscitore di film. Non aveva molti amici, alcuni li vedeva quasi mai. Viveva in un piccolo paesino, uno di quelli in cui ci si conosce tutti. Quindi tutti conoscevano lui. O, almeno, la loro versione di lui. Non aveva ancora figli. Non per scelta, né per necessità, solamente perchè non era ancora capitato. E poi era buono. Le sue spalle e i suoi bicipiti lasciavano immaginare qualcosa di diverso, ma era così.Una sera, dopo il lavoro, una telefonata di sua madre lo costrinse a raggiungere quella che una volta era casa sua.<<Dai mamma, non fare così, ha ragione Irina, non voleva farti del male.>> Disse Michele.<<E’ vero.>> Asserì Irina.<<Zitta tu! - Sbraitò sua madre, rivolgendosi ad Irina. - Figlio mio, tu devi fare qualcosa, questa donna mi vuole vedere morta.>><<Mamma, non dire così…>> Disse Michele, cercando lo sguardo di Irina.<<Ma è così! Quella donna è malvagia.>> Disse ancora sua madre, indicando Irina con l’indice.<<Signora, ma cosa dice?>> Chiese Irina.<<Mamma, devi smetterla di parlare in questo modo! Irina è una brava donna che non fa altro che prendersi cura di te.>> Affermò Michele.<<Non è vero. – disse sua madre – Guarda, guarda qui se dico il vero: prima le ho chiesto un bicchiere d’acqua e guarda cosa mi ha portato.>>La madre di Michele indicò un bicchiere d’acqua che stava sul tavolo. Ad occhio e croce, non aveva niente di particolare.<<Beh, le hai chiesto l’acqua e ti ha portato l’acqua: cosa c’è di male?>> Disse ancora Michele, cercando di riportare sua madre alla realtà.<<E’ vero, signora.>> Disse ancora Irina col suo odioso, secondo la madre di Michele, accento sovietico.La madre di Michele portò entrambe le mani alla testa ed iniziò ad urlare ancora più forte:<<Ma non vedi quanto è bugiarda: quell’acqua è avvelenata, voleva uccidermi!>>Michele sbuffò, glissando su quelle parole e facendo un cenno ad Irina per tranquillizzarla.<<Mamma, non è vero. Quella è solo acqua. Non è avvelenata.>> Disse Michele.<<No figlio mio. L’ho vista, mentre si chinava per prendere il detersivo. Avrà preso qualcosa di trasparente, per non farmi notare l’aggiunta, ma io sono stata più furba.>> Affermò ancora sua madre, cercando di abbassare i toni per convincere suo figlio.<<Non è vero. Era caduto un bicchiere, io l’ho alzato. Non vede signora?>> Disse Irina, indicando un bicchiere sul lavandino.<<Visto mamma? Devi smetterla di essere così paranoica.>> Disse Michele, sperando che quella spiegazione avesse convinto pienamente sua madre.<<E’ una bugiarda, non crederle. Avrà preparato la scena nel caso l’avessi scoperta, ed ha subito trovato una scusante. Quella donna è intelligente oltre che malvagia.>>Michele raggiunse il suo limite di sopportazione. Prese quel maledetto bicchiere d’acqua e lo bevve in un solo sorso. Poi si rivolse a sua madre, che intanto gli aveva urlato di non farlo:<<Hai visto mamma? Non è successo niente, era solo acqua…>><<Visto signora?>> Rincarò la dose Irina.<<Oddio, figlio mio, cosa hai fatto? Gli effetti potrebbero rivelarsi tra qualche minuto, è meglio se chiamiamo un’ambulanza, hai bisogno di una lavanda gastrica immediatamente.>> Disse sua madre, negando l’evidenza.<<Adesso basta mamma, sono stufo. L’acqua era solo acqua, Irina è una brava donna e tu devi smetterla di essere così…così…>> Michele non trovò subito la parola giusta.<<Così come? Cosa vuoi dire?>> Chiese sua madre, ansiosa di sapere cosa volesse dire Veleno.<<Pesante. Basta, non si può sopportare più questa situazione. Non ti chiedo nemmeno di porgere le tue scuse ad Irina, cerca solo di non urlarle più contro. Invece di apprezzare quello che fa per te, non fai che trattarla male.>><<Con tutti i soldi che le diamo…>> Butto lì sua madre.<<Beh, le cose stanno così. Credevi che qualcuno potesse badare a te gratis? Il mondo va così, prendere o lasciare.>> Disse Michele.Passarono ancora venti minuti prima che la questione potesse considerarsi risolta, far calmare definitivamente sua madre e poter tornare a casa. Ma Michele, con una pazienza biblica, riuscì a farlo.Non era la prima volta che succedeva qualcosa del genere, anzi, era diventata un’abitudine ormai. Sua madre proprio non sopportava l’idea di essere assistita da quella donna. Aveva cominciato a dare i numeri dopo l’ictus. Una badante era l’unica soluzione per lei, dato che Michele era l’unica persona che aveva al mondo e non poteva assisterla ventiquattro ore su ventiquattro.Dopo aver calmato sua madre, Michele tornò a casa. Salutò sua moglie. Lei gli rispose con un freddo sorriso. Stava preparando la cena, non poteva distrarsi. O forse non voleva.<<Com’è andata da tua madre?>> Gli chiese lei.<<Solita storia: mamma crede davvero che Irina voglia ucciderla per rubarle i soldi. Ormai non ragiona più, è uscita fuori di senno.>><<Non ha mai sopportato quella donna.>><<E’ vero. E più passa il tempo, peggio si mettono le cose.>> Constatò Michele.<<Io sono sempre dell’opinione che l’ospizio sia il posto migliore per lei.>> Affermò sua moglie.<<Non dirlo nemmeno per scherzo! – disse Michele, infastidito da quelle parole già sentite. – Già mi fa sentire uno schifo per il fatto che sia una badante straniera a prendersi cura di lei, figurati se la mando in un ospizio.>><<Anche la badante sarebbe troppo per lei?>> Chiese sua moglie.<<Beh, hai visto come la tratta. Devo intervenire un giorno sì e l’altro pure.>><<Non ci pensare, su, è pronta la cena.>> Sua moglie scelse di chiudere il discorso.Dopo cena, consumata senza che nessuno dei due avesse detto una parola, Michele aveva due alternative: la Tv o il bar. Scelse il bar perchè quella casa gli sembrava troppo piccola per poter pensare in santa pace. E poi sua moglie non sopportava l’idea che passasse del tempo a bere birra davanti alla Tv. O almeno, non sopportava vederlo bere birra davanti alla Tv. Perchè in fondo sapeva che lo avrebbe fatto al bar.Al bar ci andò a piedi. Non aveva voglia di prendere l’auto, uscire da quel garage era una rottura, e poi era lì, a quattro passi.Appena fuori l’uscio del bar, Michele si accorse che c’erano proprio tutti. Le voci dei clienti abituali si udivano già da qualche metro, riuscì a riconoscere nitidamente Commendatore, il Grosso, Bistecca e tutti gli altri.Entrò, e si accorse che, come sempre, tutti gli sguardi si rivolsero a lui. Salutò con un cenno tutti i presenti, i quali a stento risposero, e si sedette al bancone, ordinando una birra. Dopodichè, ognuna delle persone tornò a fare quello che stava facendo.Una volta che Mario, il proprietario del bar, gli portò il suo boccale, Michele restò fermo a guardarlo per quasi dieci minuti, immerso nei suoi pensieri.Dall’altro lato del bar, intanto, Bistecca e Commendatore stavano giocando a freccette, anche se da ubriachi avevano smesso di centrare il bersaglio già da un po’.<<Hai visto Veleno? E’ più strano del solito.>> Disse Bistecca, riferendosi a Michele.<<Già, non fa che fissare quella birra da almeno dieci minuti. Chissà a cosa diavolo starà pensando.>> Disse Commendatore.<<E chi lo sa. Sicuramente, niente di buono. Da quanto successe quel casino, non è più lo stesso. Non che prima fosse tanto meglio, ma almeno appariva un po’ più “normale”.>><<Eh già.>> Concordò Commendatore.Michele fissò quella birra per altri dieci minuti. S’era accorto che qualcuno parlava di lui, come sempre. E, come sempre, non diede peso alla cosa. Alla fine decise di finire quella birra. Non aveva più bisogno di pensare. Non era riuscito a trovare nessuna soluzione ai suoi problemi, ma non aveva più senso continuare a rimuginare. Meglio ubriacarsi.Così, due ore e quattro birre dopo, poté tornare a casa. Ubriaco, poco, infelice, tanto. Non era arrivato ancora al punto di puzzare d’alcol, cosicché sua moglie non si accorse di nulla. O almeno, era quello che pensava Michele.Lei non faceva che mordere il cuscino e fingere di dormire. Non aveva voglia di discutere con lui.Il giorno successivo, nella fabbrica in cui lavorava, le condizioni di Michele non passarono inosservate.<<Ma che diavolo hai combinato ieri sera?>> Gli chiese Gianni.<<Niente di particolare.>> Rispose caustico Michele.<<Sembra che tua moglie non abbia stirato i tuoi vestiti…>> Rincarò la dose Gianni.<<Sembra?!>> Buttò lì Michele.<<Neanche lei è più la stessa da quando sei uscito di galera, vero?>> Chiese ancora Gianni.<<Già.>> Concordò Michele.<<Comunque, tu non puoi continuare a buttarti via, in questo modo. Devi cercare di rimetterti in carreggiata.>> Disse ancora Gianni.<<Non mi sto buttando via.>> Disse ancora Michele, senza distogliere lo sguardo dalle suole di scarpe che stava tingendo. Non sembrava avesse voglia di parlare né con Gianni, né con nessun altro.<<Perché stasera non andiamo a fare un po’ di baldoria? Dai, sarà come ai vecchi tempi, ci divertiremo.>> Propose Gianni.<<Non so, vedremo.>> Rispose ancora più ermetico Michele.Gianni finalmente sembrò capire che non era il momento giusto per parlare, voltò le spalle e lasciò in pace Michele, che evidentemente, desiderava restare solo.Quel giorno sua madre non chiamò. Di solito la telefonata arrivava verso le sette di sera, quando Michele aveva già smontato da un po’ e poteva essere a completa disposizione della genitrice.Dopo aver fatto una doccia, disse a sua moglie che sarebbe andato al bar. Sarebbe ritornato a casa per la cena.A quell’ora c’era ancora più casino che dopo cena. Oltre ai clienti abituali c’erano anche i ragazzini, alle prese col calciobalilla. Le loro grida, facevano da sottofondo a quel teatrino quotidiano.Michele si sedette al solito posto, accanto al bancone. Non diede molto peso alle occhiatacce che gli arrivavano da un po’ tutte le persone presenti. Non poteva fare altro che buon viso a cattivo gioco, in quella situazione. Gli si avvicinò comunque Mario, l’unico che gli rivolgeva ancora qualche parola gentile.<<Ciao Michele, ti porto il solito?>> Gli disse.<<Si, grazie Mario.>> Rispose lui.Anche quella sera, fissò il suo boccale per ben dieci minuti, prima di iniziare a bere. Anche quella sera, nel bar, non si faceva che parlare di lui.<<Ancora a fissare quel boccale. Ormai è proprio andato.>> Disse Commendatore, prima di giocare la sua carta.Il suo compagno non la prese granché bene. Non era la carta migliore che avrebbe potuto giocare ma, ormai, non si poteva più tornare indietro.<<Io non riesco nemmeno a guardarlo. Mi da noia il solo fatto che sia qui, nel mio bar, e bere birra come se non fosse successo nulla.>> Disse Bistecca.<<Ma che diavolo ha fatto quel tizio?>> Disse il cugino di Bistecca, che non frequentava quel bar, ma si trovava lì per caso a sentir parlare di quello strano tizio che fissava il suo boccale di birra.<<E’ una lunga storia.>> Sentenziò Commendatore.<<Beh, la partita è ancora lunga, ne abbiamo di tempo…>> Insistette il cugino di Bistecca.<<In realtà, se continua di questo passo, non credo durerà poi così molto.>> S’intromise il compagno di Commendatore, memore delle giocate errate del suo partner, il quale non accennava a smettere di sbagliare.In ogni caso, Commendatore stesso non colse quella frecciatina.<<Ok, se vuoi cerco di riassumerla io.>> Si offrì Bistecca.<<Va bene, avanti racconta.>> Disse suo cugino.<<Michele un tempo era un buttafuori nel Vox, un locale frequentato da tanti figli di papà. Una di quelle sere, piantò un casino pazzesco.>> Cominciò Bistecca.<<Saranno passati almeno dodici anni.>> Precisò Commendatore, giocando la sua carta.Il compagno di Commendatore soppresse una reazione di qualche tipo. Era di nuovo una carta sbagliata.<<In ogni caso, successe un macello. Ci fu una specie di rissa, lui intervenne e completò il disastro.>> Continuò Bistecca.<<Cosa fece?>> Chiese incuriosito suo cugino.<<Proprio quando gli animi sembravano essersi calmati, lui, probabilmente ubriaco o drogato o chissà che, aggredì uno dei ragazzi coinvolti, scaraventandolo letteralmente a terra.>> Disse ancora Bistecca.<<Gli fece male di brutto?>> Chiese ancora suo cugino.<<Morì poche ore dopo, in ospedale.>> Rispose Commendatore, che ormai sembrava intromettersi nel discorso ogni qual volta doveva giocare una carta. Sbagliata, per giunta, dovette pensare il suo compagno, che ormai aveva abbandonato i buoni propositi di vittoria.<<Come? Morto!? Per uno spintone?>> Chiese incredulo il cugino di Bistecca.<<Non conosco bene la dinamica, ma pare che cadendo quel ragazzo abbia urtato la testa contro uno spigolo e… addio.>> Concluse Bistecca.Rimasero tutti in silenzio per qualche minuto. Si concentrarono un po’ su quella partita di scopone.Michele, ed anche questa era una consuetudine, si accorse di essere l’argomento di discussione di quel tavolo. Non volle intervenire, non lo aveva mai fatto, non lo avrebbe fatto allora. Non gli interessava quello che pensava quella gente. Lui sapeva cosa era successo quella sera e questa era l’unica cosa che contava veramente.Improvvisamente Bistecca urlò. Aveva fatto una primiera, in compenso ogni cliente del bar sobbalzò dallo spavento. La birra aveva già fatto effetto da parecchio.<<Ma se davvero ha ucciso quel ragazzo, come mai dopo dodici anni è già fuori?>> Chiese il cugino di Bistecca, che si aspettava una pena più lunga per un omicidio per futili motivi.<<Probabilmente fu dichiarata la semi-infermità mentale, - disse Commendatore – fece solo sei anni di galera, mi sembra. Poi lo lasciarono andare, dichiarandolo innocuo per la società. Ma, evidentemente, non lo è affatto.>>Michele sentì anche queste ultime parole. Si stufò di quei discorsi del cazzo, di tutta quella gente che parlava di lui, senza sapere le cose come stavano in realtà. Decise di uscire. Era quasi ora di cena. Così, finì il boccale in un solo sorso. Dieci secondi per bere un boccale fissato per dieci minuti. Non era il massimo dell'efficienza ma, ormai, era diventata una sua abitudine.L’accoglienza di sua moglie non fu delle migliori. Anzi, non vi fu affatto. Da tempo immemore lei non faceva che discutere col marito di sua madre, dei debiti, dei problemi col vicinato. Ma, quando per qualche assurda coincidenza, capitava che, almeno per un giorno, tutte queste faccende non si presentavano a mordergli il culo, i due coniugi non avevano motivo di parlarsi. Non riuscivano a trovarlo.Anche quella cena fu consumata in silenzio. Michele scelse di non sottomettersi ai voleri della televisione. Aveva iniziato ad odiare quella scatola infernale, che cercava di fare in modo, a tutti i costi, di decidere cosa doveva pensare. Al diavolo, solo lui poteva sapere cosa fosse giusto pensare.Quel pomeriggio aveva già fatto visita a Mario. Decise di fare quattro passi, godendosi la quiete notturna. Dopo nemmeno venti minuti era già stanco, decise di sedersi dove si trovava esattamente in quel momento: sul ponte sul fiume. Con le mani sistemò il punto esatto in cui si sarebbe seduto, poi si lasciò cadere di botto. Portò entrambe le mani all’indietro, le usò per appoggiarsi, mentre le gambe le tenne stese in avanti. Di fronte a lui, il panorama era dominato dal riflesso del plenilunio su quella distesa enorme di acqua calma.(continua)