Il pensiero scomodo

L'origine dell'anomalia (Parte IV)


 La guerra tra mafia e Stato.Che la mafia fosse un male atavico del nostro paese è cosa risaputa. Che con spregiudicatezza e sfrontatezza avesse monopolizzato l’economia italiana anche. Ma la ferocia mostrata a cavallo tra gli anni ‘80 e ’90 fu incredibile.Gli omicidi di Carlo Alberto Della Chiesa, di Piersanti Mattarella e di Pio La Torre furono il preludio di quella che, a tutti gli effetti, può essere considerata una guerra tra mafia e Stato. Una guerra che, nonostante tutto, fu combattuta da parte della polizia e dei magistrati, ma non dal mondo politico. Che nel frattempo era impegnato a respingere la merda che veniva gettata su di loro, in piena Tangentopoli.La serie funesta di omicidi fece da preambolo alla nascita del primo storico pool di magistrati che combatté la mafia: tra gli altri, vi facevano parte Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, coordinati da Rocco Chinnici, morto ammazzato nel 1983. Coadiuvati da alcune leggi (motivo dell’omicidio di Pio La Torre), ed in particolare quella sui pentiti, partì una stagione di processi e di arresti senza precedenti.Il primo, e più importante, mafioso arrestato fu Tommaso Buscetta. Era uno dei boss più influenti di Palermo, il primo a dichiararsi pentito. Le sue confessioni furono determinanti per istruire processi a ben 1400 imputati per mafia, utilizzate da Giovanni Falcone per infierire un pesante colpo all’organizzazione di Cosa nostra. Si parlò di un Teorema Buscetta. Tra i tanti arresti ci furono quelli di Lucani Liggio, Totò Riina e Bernardo Provenzano, esponenti di spicco della mafia.Uno smacco del genere fece sperare addirittura nella possibilità di poter sconfiggere definitivamente il problema mafia. Per sempre. Nonostante nel Paese il trio formato da Craxi-Andreotti-Forlani continuava ad imperversare nonostante gli avvisi di garanzia e le accuse via via più provate.L’inizio della guerra tra Mafia e Stato è da far risalire ai tempi della caduta del muro di Berlino. Nel 1989 vennero meno i presupposti della guerra fredda, con tutti i benefici politico economici conseguenti. La mafia perse l’appoggio politico totale, come dimostra l’arresto del sindaco di Palermo di allora, Vito Ciancimino, accusato di essere colluso con la mafia. La mafia accusò lo Stato di non essere più rispettoso dei patti tra loro.Il primo attacco della mafia allo Stato fu l’omicidio di Salvo Lima, personaggio vicino ad Andreotti. Poi si susseguirono incessanti attacchi terroristici: la strage di via dei Georgofili (5 vittime) a Firenze, la strage al Padiglione di Arte Contemporanea di Milano (5 vittime) e i due attentati al patrimonio artistico di Roma (a San Giovanni in Laterano e a San Giorgio al Velabro). Infine il 16 ottobre 1993 ci fu l’ultimo tentativo (fallito) di fare un attentato allo Stato da parte di Cosa nostra: venne parcheggiata un’autobomba in via dei gladiatori a Roma, fuori dallo Stadio Olimpico durante la partita Lazio-Udinese. Fortunatamente la bomba non esplose.I più famosi e terribili attentati restano però le stragi di Capaci, 23 maggio 1992, e di via d’Amelio, 19 luglio 1992, nelle quali hanno perso la vita Giovanni Falcone e Paolo Borsellino insieme alle loro scorte. Il primo, di ritorno da Roma, dove era stato nominato responsabile dell’Ufficio Affari Penali per espressa volontà dell’allora Guardasigilli Claudio Martelli, fu ucciso da una terribile esplosione avvenuta sull’autostrada che collega l’aeroporto di Punta Raisi (oggi aeroporto Falcone-Borsellino) con Palermo città, all’altezza di Capaci. L’esplosione fu provocata da un enorme quantitativo di tritolo (circa 600 kg) che gli esecutori piazzarono in un tunnel sottostante il tratto autostradale. Con Giovanni Falcone morirono la moglie, Francesca Morvillo e i suoi agenti di scorta.Paolo Borsellino morì in circostanze analoghe, a seguito dell’esplosione di un’autobomba parcheggiata sotto casa della madre in via D’Amelio, fatta esplodere con un radiocomando, probabilmente azionato dal Castello Uveggio, sito in un’altura che sovrasta la città di Palermo. L’autobomba esplose facendo morire pure gli uomini della scorta. In memoria di Giovanni Falcone è stata recentemente eretta una stele posta ai bordi dell’autostrada Palermo-Capaci, in corrispondenza del luogo ove perse la vita il giudice, sua moglie e la sua scorta.Il lavoro svolto da Paolo Borsellino nei 57 giorni che hanno separato la strage di Capaci da quella di Via D’Amelio, ha rappresentato l’alto senso del dovere che ha accompagnato i due magistrati nel loro percorso professionale. Nonostante la consapevolezza di essere il successivo obiettivo della mafia stragista, Paolo Borsellino proseguì freneticamente l’opera sino a quel momento svolta dal collega Falcone, in disprezzo di ogni ulteriore cautela che pure in quel frangente si sarebbe resa necessaria.Sul luogo dell’attentato fu rinvenuta una borsa che Borsellino portava sempre con sé e probabilmente contenente appunti e atti d’indagine che furono trafugati (la famosa “agenda rossa”). Una indagine è tuttora in corso, e coinvolge presunti servizi segreti deviati.La conseguenza delle stragi fu storica. La Sicilia venne militarizzata, con l’invio di 20000 soldati, nell’operazione “Vespri siciliani”. Si risvegliò il senso civico delle persone, per la prima volta calò il muro di omertà da sempre vigente. In quel clima avvennero gli arresti eccellenti di cui sopra.Ma ci sono ancora parecchie ombre riguardo questa vicenda.Per esempio, l’omicidio di Paolo Borsellino. Dopo la morte di Giovanni Falcone, il messaggio era stato lanciato. Uccidere Borsellino non fece altro che scatenare la risposta dello Stato, con l’invio dei militari in Sicilia. Inoltre, l’omicidio impedì ad Andreotti di divenire Presidente della Repubblica, a causa dei sospetti di collusione, spianando la strada a Scalfaro. Che motivo avrebbe avuto la mafia di uccidere Borsellino?C’è poi la questione della presunta trattativa Stato-Mafia. La coincidenza tra alcune date delle stragi e provvedimenti del Parlamento, conferma le tesi per cui i servizi segreti abbiano trattato per fare in modo che le richieste della mafia (contenute nel celebre papello, incentrato sulla possibilità di ledere la forza del regime 41 bis, ossia carcere duro per i mafiosi) fossero state rispettate in cambio della fine della strategia stragista. In questi giorni si stanno tenendo i processi per accertare la responsabilità del ministro della giustizia di allora, Giovanni Conso (quello del decreto a favore dei politici corrotti…) e di altre cariche dello Stato. L’idea, molto forte, è che Ciancimino avesse trattato per conto della mafia con il capo dei ROS, Mario Mori, per dirimere la questione.C’è poi la storia della mancata perquisizione nell’abitazione di Totò Riina e il mancato arresto di Provenzano, che venne fatto nel 2006. E, infine, l’improvvisa fine degli attacchi terroristici nel 1994, nel momento in cui Forza Italia salì al governo.Tutto questo, mentre in questi mesi Marcello Dell’Utri, braccio destro di Berlusconi è stato condannato in appello per concorso esterno in associazione mafiosa, mentre Massimo Ciancimino, figlio di Vito, fa da testimone per il presunto patto tra Stato e Mafia.La guerra tra Stato e Mafia ha inferto un duro colpo al monopolio economico della stessa mafia. Il ridimensionamento creato dalla guerra ha fatto si che organizzazioni coma la ‘ndrangheta prendessero il sopravvento in regioni anche del nord.Nel capitolo conclusivo la chiave di lettura.Gustavo Marigliano.