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Un blog creato da piccola.nuvola1 il 10/04/2009

LE SQUAW

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SAGGEZZA PELLEROSSA

“La terra non appartiene all'uomo,
e' l'uomo che appartiene alla terra.”

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Quando l'ultimo albero sarà stato abbattuto,
l'ultimo fiume avvelenato, l'ultimo pesce pescato,
vi accorgerete che non si può mangiare il denaro.

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La nostra Madre Terra,
gli alberi e tutta la natura sono i testimoni
dei nostri pensieri e delle nostre azioni.”

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“Il Grande Spirito ha fatto il mondo così com'è,
e come lo voleva,
e ci ha fatto parte di esso perchè vi vivessimo.
Non vedo dove troviate l'autorità per dire
che non dobbiamo vivere dove ci ha messo lui. ”

 

 

 

SAGGEZZA PELLEROSSA

“Allorché la terra fu creata con tutti gli esseri viventi,
l'intenzione del Creatore non fu di renderla vivibile solo agli uomini.
Siamo stati mesi al mondo
assieme ai nostri fratelli e sorelle,
con quelli che hanno quattro zampe,
con quelli che volano e con quelli che nuotano.
Tutte queste forme di vita, anche il più piccolo filo d'erba,
formano con noi una grande famiglia.
Tutti siamo fratelli e tutti siamo ugualmente importanti su questa terra. ”

-------------------------

 L'alternanza della vita e della morte è accettata in tutta la sua naturalità,
anzi a volte viene accolta come qualcosa di positivo.
Certo agli "inizi dei tempi" la morte non esisteva,
ciascuno viveva per sempre.
In ogni caso il rimpianto per ciò che si lascia, quando c'è,
non è mai riferito alla propria situazione individuale
ma alle sorti del proprio popolo.

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“Così come ogni giorno finisce,
anche gli uomini trascorrono la loro vita,
diventano vecchi e deboli e muoiono.
Se un uomo muore,
si dice che abbia cominciato
un viaggio verso ovest
e sia scomparso come il sole
sull'orlo del mondo. ”

-----------------------------

“Quando ero giovane attraversai tutto questo territorio,
da oriente a occidente,
e non vidi nessun altro popolo di un'altra razza
che era giunto per impadronirsene.
Come mai?
Il mio popolo aspetta di morire. Non si aggira più
sulle colline e sulle pianure
e desidera che il cielo cada su di lui.
Un tempo eravamo una grande nazione;
ora siamo pochi ed è per questo che vogliamo morire. ”

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“Gli uomini bianchi non scotennano le teste.
Fanno cose peggiori.
Avvelenano il cuore. Non è puro, il loro cuore.
I miei uomini non saranno scotennati.
Ma nel giro di pochi anni diventeranno peggiori.
Diventeranno come gli uomini bianchi,
non ci si potrà più fidare di loro. ”

 

 

 

 

« DONNE INDIANE E LA STERI...LA NARRAZIONE DELLE LEGGENDE »

SQUAW E VITA FAMIGLIARE

Post n°27 pubblicato il 08 Maggio 2009 da piccola.nuvola1

A lungo missionari e coloni hanno pensato che la donna indiana era solo un bene che si scambiava o vendeva, che i rapporti sessuali erano a livello di bestie e che la vita familiare non esisteva.
Molti bianchi giudicavano lo stato della donna indiana paragonandolo allo stato della madre o della moglie nella società americana o europea.
Gli antropologi contemporanei hanno dimostrato che si è molto esagerato sull'ineguaglianza tra uomo e donna in America`'.
R. H. Lowie fu uno dei primi a spiegare la condizione femminile presso gli indiani al di fuori di qualsiasi etnocentrismo: "La donna non é affatto un bene mobile, sono poche le proibizioni religiose che la riguardano, socialmente si giova d'una notevole libertà, la donna crow beneficia sia di una situazione stabile nella vita tribale, sia di buona parte dei vantaggi che essa offre-`.

Sulla donna incombeva la pesante fatica dell'agricoltura e del raccolto.
Spesso l'uomo era assente, in guerra o a caccia; la donna doveva sorvegliare i figli e l'accampamento.
Presto le ragazze seguendo le madri imparavano tutti i principi dell'economia domestica.
Trattare le pelli e farne degli abiti morbidi e resistenti fabbricare il mobilio e tutti gli utensili di cucina, tessere per fare corde e fili, imparare a conoscere le piante per tingere e per medicamenti.
Infilare collane e decorazioni in perle, dipingere tende e abiti; infine raccogliere legna per accendere il fuoco.
Oltre a questi lavori quotidiani, talvolta la donna accompagnava lo sposo nella caccia, portandogli armi e bagaglio, e poi tornava con la selvaggina che squartava e preparava sul posto.
Nelle tribù del Sud-ovest, l'uomo era agricoltore, e la donna si dedicava alla fabbricazione di vasellame e tessuti.
Nella maggioranza delle tribù, la ragazza godeva della libertà sessuale.
In Canada, i francesi furono sorpresi per la "soverchia libertà" delle giovani indiane; a detta di Champlain: "un innamorato mostrerà alla ragazza qualche collana e se la ragazza trova piacente questo cavaliere la accetta; fatto ciò l'innamorato dormirà tre o quattro notti nella sua tenda".
D'altronde i bianchi approfitteranno piacevolmente di tale licenza! Ma la ragazza non deve rimanere incinta altrimenti le sue possibilità di sposarsi diminuiscono.
Perciò beve a profusione tisane estratte da erbe tramandate da madre in figlia.
Poche ragazze restano nubili.
Nonostante una considerevole mortalità maschile, dovuta alla caccia e alla guerra, tutte trovano uno sposo.
Presso alcuni popoli, la poligamia compensa la scarsezza di uomini.
Ogni tribù seguiva precise abitudini riguardo al matrimonio, poiché il grado di parentela era spesso molto diversa da una tribù all'altra.
La scelta della ragazza era limitata nella misura, laddove la pratica del matrimonio per acquisto dotale era abbastanza diffuso; in effetti "I'acquisto" si limitava il più delle volte a uno scambio di doni che da parte del fidanzato erano di minor valore di quelli della ragazza.
La ragazza poteva sempre rifiutare un pretendente, ma doveva conformarsi alle proibizioni della tribù.
Così, numerose tribù delle Pianure e delle Montagne Rocciose disapprovavano il matrimonio tra cugini e le unioni all'interno del gruppo locale.
Invece, tra le tribù dell'Est la ragazza doveva scegliere un congiunto nella tribù.
Per essere accettato il giovane doveva avere una reputazione d'abile cacciatore e di guerriero coraggioso, così da assicurare il nutrimento alla futura famiglia e ai parenti.
In effetti, in non poche tribù, come tra gli Zuni e gli Hopi, essendo il sistema di parentela per linea materna e matrilocale, il giovane sposo era obbligato a vivere con la famiglia della moglie.
La famiglia comprendeva perciò: la nonna, le figlie non sposate, le figlie sposate con i rispettivi mariti e i figli e i fratelli e i figli ancora celibi.
II giovane cacciatore doveva quindi contribuire con i cognati a procurare il cibo per venti-trenta persone.
In questo sistema di parentela, l'uomo divorziato veniva sempre ben accolto nella sua vecchia dimora, dove la madre o le sorelle potevano contare sulla sua fatica di cacciatore.
Il marito si preoccupava molto delle faccende della madre o delle sorelle, seguiva l'educazione dei nipoti e spesso tornava a prender parte a cerimonie nella vecchia dimora.
Nell'Est, si praticava una specie di "sposalizio di prova".
Il giovane o la ragazza si recava ad abitare per qualche mese in seno ai futuri congiunti, e i giovani coabitavano come se fossero sposati.
Quanto ai matrimoni per ratto, erano molto meno diffusi di quanto non dicessero i coloni; il rapimento d'una giovane donna trascinava le tribù in una serie di vendette o di guerre.
I1 divorzio poteva essere ottenuto su semplice consenso dei due congiunti, il più delle volte i figli restavano alla madre.
Ma la presenza o l'assenza di figli esercita una forte influenza sulla stabilità del matrimonio.
Ovunque, la sterilità era un motivo sufficiente per ripudiare la sposa.
In caso di morte, molte tribù applicavano la legge del levirato: la vedova doveva sposare un fratello del marito o quest'ultimo una sorella della moglie.Nalin, ragazza Apache di quattordici anni. Foto E.A. Curtis
II congiunto osservava una vedovanza di qualche mese; il cognato era tenuto a dare protezione e appoggio alla vedova e ai figli.
La vedova poteva anche adottare un prigioniero di guerra o un bianco, e così salvargli la vita.
Questi si trovava subito a essere integrato nella famiglia e con la tribù della moglie.
Quanto all'infedeltà coniugale essa, a seconda delle tribù, era più o meno ben tollerata; molti mariti non manifestavano nessun risentimento o si contentavano di cacciar via la moglie e prenderne un'altra.
Più raramente mutilavano l'infedele tagliandole il naso!
Appena sposata la giovane coppia s'impegnava per avere figli.
I genitori d'una famiglia numerosa godevano di grande prestigio nella tribù; i figli contribuivano al mantenimento della casa e rappresentavano una sicurezza per la vecchiaia.
Le pratiche d'infanticidio erano normali in caso di carestia o di epidemie.
Era la madre che se ne occupava subito dopo la nascita, a meno di un'ora: gli indiani credevano che in qualsiasi momento l'anima d'un neonato poteva passare aun altro neonato.
Spesso, finché non diventava madre, la giovane sposa era poco considerata dallo sposo.
Gli europei erano sorpresi per la scarsa natalità degli indiani: "Le donne indiane sono abbastanza sterili, sia perché il gran lavoro a cui sono sottoposte ritarda la loro gestazione, sia perché allattano troppo a lungo i loro figli", nota l'intendente Talon nel Canada Non è solo l'allattamento a turbare la maternità, ma anche la precocità del matrimonio sembra essere un motivo importante, raggiungendo gli ovuli la loro completa maturazione circa due anni dopo la normalizzazione delle mestruazioni.
Presso alcune tribù delle Pianure, gli Irochesi e gli Huroni, quando la donna restava incinta non abitava più con il marito.
Un paio di settimane prima del parto la giovane si ritirava in una capanna o in una tenda e aspettava da sola di partorire.
Appena nato, il bambino veniva lavato, frizionato e fasciato, poi la madre lo sdraiava su una piccola asse coperta con pellicce.
La donna trasportava sulla schiena quest'asse legandola con una cordicella alla fronte.
Una piccola apertura sul davanti permetteva al bambino di non sporcare il suo lettino.
La testa, parte del torace e le braccia penzolavano all'esterno e assicuravano elasticità ai muscoli.
In tal modo il bambino era in costante contatto fisico con la madre, cosa che era di grande importanza per il suo futuro sviluppo.
Questa culla serviva fino al momento in cui il bambino cominciava a camminare.
La madre gli dava il latte fino a tre quattro anni, a causa della mancanza di latte animale.
Dopo la gravidanza, la donna osservava una purificazione d'una trentina di giorni.
Appena cominciava a muovere i primi passi, il bambino veniva lasciato nell'accampamento dove trovava i suoi compagni di gioco.
li bambino chiamava "padre", "madre", "fratello" o "sorella" le numerose persone con cui era a contatto quotidiano.
Così i sentimenti e gli interessi familiari si allargavano verso un'ampia cerchia di persone.
L'indiano non considerava la famiglia come un fatto esclusivo: la tribù o il gruppo rappresentavano per lui un'estensione dei rapporti familiari.
Ogni focolare si riversava sull'altro amalgamandosi in una vita comune nella quale l'intimità nel senso in cui noi l'intendiamo, era molto ridotta.
In caso di morte, i bambini passavano a un'altra famiglia.
Il ragazzino, nel corso delle feste e delle prove, imparava ad apprezzare il valore della forza tribale.
Osservando gli adulti, seguendoli nei loro lavori, scopriva le tecniche.
Infine, l'educazione familiare era completata da un'educazione sociale: i giovani che assicureranno l'avvenire del gruppo devono superare prove che formeranno il loro carattere;
così si spiegano í tatuaggi, i digiuni, le mutilazioni e le torture.
"Un poveretto con un cranio di alce uncinato a una gamba veniva inutilmente trascinato in cerchio, ma il peso non voleva cadere né la carne strapparsi.
II povero ragazzo correva un tale pericolo che clamori di pietà si levaronodalla folla.
Ma la ronda continuava, e continuò fin quando il capo in persona non diede l'ordine di fermarsi.
Questa prova d'iniziazione presso i Mandan, riferita da G. Catlin, era una delle pratiche che scandalizzava i bianchi.
In queste iniziazioni, non solo il giovane guerriero dimostrava la sua resistenza al dolore, ma si piegava anche alla legge della comunità e diventava pari agli altri iniziati e guerrieri.
Infine, il ragazzo imparava le tradizioni, le abitudini religiose e morali della tribù.
In seno alla tribù o al clan, la donna partecipava alle attività sociali, era rispettata e, come presso gli Irochesi, aveva talvolta un importante ruolo politico.Una donna Hopi con la caratteristica acconciatura
Le donne irochesi si riunivano in un "grande consiglio" per dare un suggerimento, sempre seguito, sui più importanti avvenimenti della tribù; essa poteva impedire l'elezione di un capo.
E anche tra le donne si sceglievano tre su dieci officianti rituali di ciascun clan.
Durante le feste e le cerimonie le donne si occupavano del cibo e partecipavano alla festa.
Prendevano parte ai funerali e scavavano la tomba.
Negli spostamenti, era la donna a trasportare i pesi maggiori, mentre l'uomo vegliava sulla sicurezza della famiglia contro un eventuale attacco.
Le donne si riunivano spesso tra di loro per affrontare i numerosi problemi sulla vita della tribù, e poter poi far pressione sul Consiglio o sui guerrieri.
Infine, alcune donne indiane avranno un ruolo politico importante durante i contatti con i bianchi.
Così Pocahontas (1595-1617) aiutò i primi coloni installatisi a Jamestown; rapita, servirà come ostaggio per una pace tra gli indiani e i coloni; si convertirà alla religione cristiana e sposerà un virginiano.
Ancora più celebre fu Sacajawea, giovane Shoshone, vissuta alla fine del XVIII secolo; fu comperata da un cacciatore, un certo Toussaint Charbonneau.
Durante la spedizione di Lewis e Clark, Sacajawea e il marito accompagnarono i due bianchi in funzione di interpreti.
La giovane indiana guidò la spedizione fino all'oceano Pacifico attraverso il Montana, suo paese d'origine.
La donna non fu ricordata dopo il successo della spedizione di Lewis e Clark, ma senza il suo aiuto essi probabilmente non sarebbero riusciti ad attraversare quei territori.

 
 
 
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SAGGEZZA PELLEROSSA

“Preghiamo per la persona che è la più importante
fra tutti noi, la Madre Terra. E' lei che ci ha dato la vita:
ci ha tenuto nel suo grembo, ci ha nutriti,
ha dato agli uomini, agli animali, alle piante
la possibilita' di esistere.”

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La comunicazione tra il mondo degli uomini e il mondo degli animali
è costante e ininterrotta. Gli uomini sono "fratelli maggiori" degli animali
ed essi hanno il compito di vigilare sul benessere dei loro "fratelli minori".

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“Tutte le creature viventi, tutte le piante
sono parimenti essenziali alla vita e ognuna ha un suo posto.
Ogni animale dimostra la sua ragione d'essere con atti precisi.
I corvi, le poiane e le mosche, anche i serpenti,
pur diversi tra loro hanno qualcosa in comune,
hanno un'utilità e una ragion d'essere.
In origine probabilmente gli animali
hanno vagato sopra molti estesi paesi
prima di trovare il luogo più adatto per vivere.
E questo perché ogni essere vivente
dipende dalle condizioni naturali che lo circondano.
E dunque gli animali e tutti gli esseri
hanno riflettuto a lungo prima di scegliere il posto dove vivere. ”

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Il potere dello Spirito pervade qualsiasi manifestazione del Creato,
tutto ha un'anima, tutto può essere ricondotto a un principio unitario.
Il potere del Grande Spirito, del Grande Mistero,
è dunque riconoscibile in tutte le manifestazioni della natura,
è tutt'uno con la natura poichè il Grande Spirito è in tutte le cose.

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“Dividere ciò che si possiede, essere generosi
è la nostra prima legge, il valore più grande in cui crediamo.
Per poterci far dimenticare questi valori,
ma soprattutto per allontanarci
dal grande attaccamento e rispetto
che avevamo per la Madre Terra,
era necessario distruggere
ciò che ci dava forza di credere in tutto questo:
la nostra spiritualità. ”

 

   

 

SAGGEZZA PELLEROSSA

Ci sono cose che avete detto che a me non piacciono.
Non sono dolci come lo zucchero, ma amare come le zucche.
Avete detto che volete metterci in una riserva,
costruirci case e darci capanne per gli sciamani e scuole.
Io non voglio queste cose.
Sono nato nella prateria, dove il vento soffia libero
e non vi è nulla che spezzi i raggi del sole.
Sono nato dove non ci sono recinti
e dove ogni cosa respira liberamente.
Voglio morire lì e non fra i muri. ”

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“Lasciatemi essere un uomo libero,
libero di viaggiare, libero di fermarmi,
libero di lavorare, libero di commerciare dove mi pare,
libero di scegliermi i miei maestri,
libero di seguire la religione dei miei padri,
libero di pensare e di parlare e di agire. ”

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La nostra terra vale più del vostro denaro. E durerà per sempre.
Non verrà distrutta neppure dalle fiamme del fuoco.
Finchè il sole splenderà e l'acqua scorrerà, darà vita a uomini e animali.
Non si può vendere la vita degli uomini e degli animali;
è stato il Grande Spirito a porre qui la terra
e non possiamo venderla perchè non ci appartiene.
Potete contare il vostro denaro e potete bruciarlo nel tempo
in cui un bisonte piega la testa, ma soltanto il Grande Spirito
sa contare i granelli di sabbia e i fili d'erba della nostra terra.
Come dono per voi vi diamo tutto quello che abbiamo
e che potete portare con voi,
ma la terra mai.

 

    

 

       

 

   

 

      

 

   

 
 
 
 

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