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la follia di un uomo

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Il processo inquisitorio

Post n°4 pubblicato il 29 Agosto 2009 da kramerinstitor

Il processo accusatorio, previsto dal diritto romano, consisteva nel pubblico confronto orale fra accusatore e accusato, al quale assisteva il giudice: l'onere della prova ricadeva sull'accusatore, che se non dimostrava le proprie accuse, era condannato dal giudice alla pena che avrebbe dovuto subire l'accusato in caso di riconosciuta colpevolezza. Il tribunale dell'Inquisizione adottò invece la procedura del processo inquisitorio – dal latino inquisitio, indagine – nel quale il giudice è anche accusatore: sulla base di una denuncia anche generica, egli è tenuto a raccogliere le prove della colpevolezza dell'imputato, conducendo indagini segrete e dirigendo il processo al quale, secondo quanto stabilito nel 1205 dalla decretale Si adversus vos di Innocenzo III, il pubblico non può assistere né è ammessa la presenza di un avvocato difensore; le testimonianze e le dichiarazioni dell'imputato sono verbalizzate. Per giungere alla condanna è sufficiente la testimonianza concorde di almeno due testimoni o la confessione dell'imputato, il quale viene detenuto in carcere durante lo svolgimento del processo, che non ha una durata predefinita e le cui udienze – i costituti - si svolgono a discrezione dello stesso giudice.

Se la prova della colpevolezza non viene raggiunta e allo scopo di sciogliere le eventuali contraddizioni presenti nelle sue deposizioni, l'imputato è sottoposto a tortura - mezzo di coercizione legittimato dalla giurisprudenza fino al XVIII secolo - generalmente consistente nella corda: legate le braccia dietro la schiena, l'imputato, nudo, viene sollevato da terra dalla corda che scorre su una carrucola fissata al soffitto. Egli è tenuto in quella condizione per non più di mezzora, perché una durata superiore può comportare gravi conseguenze, dalle lesioni agli arti superiori fino al collasso cardiocircolatorio. La tortura può essere reiterata più volte nel corso del processo.

Se ritiene che l'accusa di eresia sia stata provata, il tribunale chiede all'imputato di abiurare, cioè di rinnegare le proprie convinzioni. Abiurando, se non è recidivo, l'imputato evita la condanna a morte e viene condannato a pene diverse, dalle preghiere ai digiuni, dalla multa alla confisca dei beni, dall'obbligo di indossare, per sempre o per un determinato periodo, l' abitello – una veste gialla con due croci rosse sul petto e sulla schiena che lo identifica pubblicamente come eretico penitente – fino al carcere. Se è recidivo, relapso, l'imputato è condannato necessariamente a morte: pentendosi, viene prima strangolato o impiccato e il cadavere viene poi bruciato e le ceneri disperse; se è impenitente, viene bruciato vivo. La pena viene eseguita dall'autorità civile, il cosiddetto braccio secolare – al quale il tribunale dell'Inquisizione rilascia il reo – in quanto gli ecclesiastici non possono «spargere il sangue», come indicato dalla costituzione De iudicio sanguinis et duelli clericis interdictio del Concilio Lateranense IV del 1215; anche all'autorità civile il tribunale raccomanda di eseguire la sentenza evitando di spargere il sangue del condannato.

 
 
 
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