Creato da johnnylesaux il 20/10/2006

IO E CICERONE

la vita, l'arte, il sesso e l'insuccesso di

 

 

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capitolo 1, parte II

Post n°3 pubblicato il 23 Ottobre 2006 da johnnylesaux

Allora… io facevo lo scultore, ma, in fondo, sarebbe potuto accadere a chiunque, ad un garagista, a un avvocato, ad un ladro, ad un medico. Anzi, a un medico no, e ormai sapete perché.

Sì lo so, sono cinico, ma vi assicuro che una volta non ero così. Dov’ero rimasto, ah ecco… faccio lo scultore, o meglio, lo facevo, anzi per la verità lo faccio ancora, ma all’epoca dei fatti cercavo di fare solo lo scultore, provando a tirar fuori dall’arte almeno l’indispensabile per vivere.

Accertata l’evidenza dell’impossibile (in tre anni ho venduto solo quattro statuette – piccole –, di cui due a metà prezzo ad un  maldestro cugino di mia madre che durante una mostra le disintegrò facendole cadere dal piedistallo), ho spesso fatto anche altri lavori, vedi tabella:       

lavoro

esito del lavoro

causa dell’esito del lavoro

 

barman

licenziato

per aver shakerato un Cuba Libre (rum e coca cola) che è esploso sul vestito griffato di un ginecologo

 

commesso in un supermercato

(in prova)

non riconfermato

per aver accumulato ritardi nei turni mattutini pari ad un terzo della distanza tra la terra e la luna; questo calcolo non l’ho mai capito, me l’ha riferito con aria soddisfatta un vecchio caporeparto che probabilmente mi odiava

 

 

segretario di una cartomante

cacciato

perché sorpreso a pronunciare frasi del tipo “ma come si fa a credere a scemenze del genere?” ad alcuni clienti in attesa;

 

guardiano allo Zoo

pestato e portato via di peso su ordine del direttore

beh, se proprio vi interessa potete leggere qui sotto; ma in fondo, che ve ne importa?

  

Ok, ok,  scherzavo… ho deciso di raccontarvi tutto e quindi anche questa storia – per quanto irrilevante – ve l’accennerò.

Cominciamo col dire che il direttore non era una persona molto elastica e neanche dotata di grosso senso dell’umorismo. Lavoravo lì da quasi un mese ed andava tutto bene se si esclude l’episodio dell’Anaconda (ma per fortuna il direttore non seppe mai come fece il povero Capibara dal ciuffo, animale rarissimo, a finire nel suo stomaco). Insomma, il mio turno di servizio era terminato, e decisi di trattenermi per raccogliere qualche disegno delle teste dei rinoceronti. Ne volevo trarre una scultura; non pensate anche voi che sarebbe stato un soggetto splendido? Ero lì, in mezzo ai normali visitatori, che effettuavo i primi schizzi quando mi si accostò quella ragazza canadese. 

“Che belli!”

“Ah, grazie – risposi – sono bestie bellissime…”

“anche i tuoi disegni…”

“sono schizzi preparatori…”

“per un quadro?”

“no, per una scultura”

“sei uno scultore… è fantastico…”

sapete com’è… quando una bella ragazza, sola, comincia a solleticare la vostra vanità, si rischia di lasciarsi un po’ andare. Recitando la mia parte tirai fuori la frase più accattivante che seppi concepire

“ma dovrei essere ancora più vicino per cogliere l’energia delle loro linee…”

“sarebbe bello poter entrare e avvicinarsi a loro… sono animali così pacifici”

“beh, lo sembrano, ma in realtà sarebbe molto pericoloso”

“io adoro il pericolo… mi eccita – mi si avvicinò sensibilmente – io faccio parapendio e adoro il bungee jumping

“quella cosa che ci si lancia da un ponte attaccati ad una fune?”

“sì, è fantastico… hai mai provato?”

a me fa impressione anche salire sull’ultimo gradino di uno scaletto, ma certo non potevo dirglielo

“non ne ho mai avuta l’occasione…”

ci furono venti/trenta secondi di silenzio… dovevo recuperare

“…ma davvero ti piacerebbe entrare lì dentro?”

“da matti…”

ci pensai… ci ripensai… meditai per un tempo complessivo di un secondo e tre decimi, e alla fine… lo dissi

“ho le chiavi!”

“nooo, davvero… splendido!”

Com’era bella quando rideva… ma come potevo resistere? Vaglielo un po’ a spiegare al direttore…

Quella porticina anonima non pareva affatto la soglia di un abisso, così, quando la varcammo, nessuno fece caso a noi. Eravamo in quella specie di stalla dove gli animali rientrano la sera e che dava direttamente sul recinto dove scorrazzavano i pachidermi.

“che puzza!”

“già…”

“apri la porta del recinto”

“ma non possiamo uscire lì fuori…”

“hai paura?”

“non è questo, è che lì ci vedrebbe anche il pubblico”

“ok, non usciamo, li guardiamo da questa finestrella… ma apri lo stesso”

anche stavolta mi fermai a riflettere e siccome lei mi vedeva incerto sul da farsi ed erano passati quasi cinque secondi, usò altri argomenti. Mi infilò una mano sotto la maglietta.  E così la porta si aprì… In fondo le bestie mi conoscono e sono abituate a me ed al mio odore, pensai, una volta le ho anche accarezzate.

La ragazza aveva ragione… c’era una strana sensazione che acuiva tutti i sensi, tranne forse l’udito. Lo facemmo lì contro un muro. Ragazzi… fu bellissimo.

Richiusi le porte e uscimmo,  la luce del sole ci accecò e mi sentii vivo. Tornammo al punto dove c’eravamo incontrati per salutare i nostri amici rinoceronti. Quello più piccolino ci guardava, gli altri due…

“dove sono gli altri due?”

ci accorgemmo di essere soli… tutta la gente era lontanissima, se ne sentivano le grida.

“porca miseria!” 

“sono usciti!”

“ma quando cavolo… forse quando… quel rumore… certo, dev’essere stato così… e ora?”

La battaglia durò quattro ore. Intervennero la polizia, i vigili del fuoco, la protezione civile, la forestale ed un numero imprecisato di guardie zoofile e veterinari. Due miei colleghi si ritrovarono all’ospedale con qualche osso rotto, il direttore, che si era rifugiato nel recinto degli uccelli acquatici, fu beccato e inseguito da due Oche Giganti di Terranova fin dentro il laghetto, i rinoceronti furono narcotizzati e la canadese mi confessò di aver avuto due orgasmi nella stalla ed altri due fuori, nell’eccitazione della caccia.

“sono stata anche a Pamplona – mi disse – ma questa è tutta un’altra cosa!”   

“noi americani facciamo le cose in grande…” risposi

Quando Joshua e Daisy, così chiamavamo le due bestiole, furono riportate al fresco, qualcuno dei guardiani trovò i disegni (la mia solita distrazione) e li consegnò al direttore. Dopo una breve inchiesta ed un processo sommario, mi incolpò di tutto e mi consegnò ai gorilla, cioè ai suoi scagnozzi sopravvissuti alle attenzioni di Daisy. Quella strana ragazza, però non si è scordata di me; un mese fa m’è arrivata una foto in cui sta faccia a faccia con uno squalo bianco “Quando lo rifacciamo?” c’era scritto.

 

Ma questo è stato prima. All’epoca dei fatti non avevo un lavoro fisso e vivevo in una specie di appartamento con Margot, la mia fidanzata, (a proposito, io mi chiamo John). Oddìo, non è che vivessimo proprio insieme, lei dormiva da me quando litigava coi genitori e dormiva dai genitori quando litigava con me. Ma tutto sommato andavamo abbastanza d’accordo, soprattutto se stavamo zitti.

Eravamo insieme quel pomeriggio di gennaio quando tutto incominciò.

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