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CA’ DE MANDORLI

Post n°44 pubblicato il 21 Aprile 2009 da jeffb0
Foto di jeffb0

 

Come al solito sono arrivato in macchina dalla statale che porta al mare, la numero nove, e ho parcheggiato relativamente lontano, così da godermi il tragitto di avvicinamento. Nel pomeriggio è piovuto un po’, ero in centro a fare un giretto e devo ammettere che in casi come questo i portici si dimostrano più che efficienti. Ma la pioggia non mi dispiace. Anzi, crea quel clima intimo che forse solo qui riesco ad apprezzare per intero. Entro e do’ un’occhiata in giro; Il locale è già pieno, dietro al bancone le bariste e il barista stanno spillando a pieno regime, i ragazzi si affollano anche all’esterno, chiacchierando in piccoli gruppi.

Ho fatto un lungo giro in macchina, prima di imboccare la deviazione che porta ai colli, avevo voglia di trasformare questa serata in una ricorrenza particolare. E credo di esserci riuscito, una volta in più mi sento a casa. Per iniziare con il piede giusto mi avvicino alle spine delle birre e me ne faccio servire una. Poi un altro sopralluogo a fianco, nella saletta con i tavoloni, e via, su, verso la pista da ballo, che come sospettavo è già affollata.

 

A volte mi piazzo nell’angolo più buio del locale (il che è tutto dire, visto che il piano superiore è per metà immerso nella completa oscurità) con una birra in mano, e cerco di capire cosa mi attiri così tanto in questo posto. Analizzo le mie sensazioni, le faccio scorrere tra le dita, le passo agli infrarossi ma non riesco mai ad afferrarlo fino in fondo. Non so, sapete, qui al piano terra c’è un grande camino, dentro ci potrebbero stare anche due persone sedute, mentre fino ad un paio di anni fa, nella sala a fianco, accanto ai tavoloni in legno, c’erano ancora gli anelli, intendo gli anelli per il bestiame, appesi alle pareti. Forse è per questo, perché è una vera e propria casa, non un semplice locale ma una grande, immensa anima collettiva calata in mezzo alla campagna. Forse, ma non solo. Ovvio, la città è a pochi passi, quindi l’impressione di solitudine è solo un’impressione e basta, ma l’illusione è realistica. Il cielo, poi, che quando usciamo, verso le quattro di mattina, è sempre meravigliosamente incombente, ricorda tanto quello del paese dove abitavo una volta, ha la stessa aria sospesa, non definita; Forse è anche per questo.

 

Quasi dieci anni, a farci i conti, quasi dieci anni che vengo qui, io, noi, un’intera generazione di ragazzi che si è spiata crescere settimana dopo settimana, e settimana dopo settimana ha preso le stesse abitudini, le stesse manie, e soprattutto ha condiviso le stesse emozioni, le stesse che ci richiamano anche adesso, adesso che forse non avremmo più l’età ma non riusciremmo comunque a staccarci in maniera indolore. Ci siamo sentiti parte della stessa grande famiglia, tutto qui, forse è questo il segreto; Abbiamo mantenuto la nostra autonomia e cercato di pensare con la nostra testa, proprio come figli che un giorno sarebbero andati per la loro strada. Poi non è successo, ma non è un dramma, perché qui abbiamo trovato tutto quello che cercavamo, e soprattutto la nostra identità, ed è questo che importa.

 

È ovvio, nel corso degli anni ci siamo ribellati a tanto potere su di noi, a tanto magnetismo, ma non è che sia servito a molto. Del resto questo è uno dei posti che hanno contribuito a plasmare il clima della Bologna notturna, anzi, meglio, che sono riusciti a ricreare il clima di Bologna alla notte anche qui, a una decina di chilometri di distanza, in aperta campagna, ed è difficile non restarne affascinati. La cosa bella è che nel tempo il locale si è trasformato attorno a noi, una volta c’era più ideologia, è vero, tanto che passare la serata a Ca’ de Mandorli era vista come una presa di posizione, da una parte o dall’altra, mentre adesso, assecondando la nostra generazione disillusa, le tinte si sono stemperate, ed è rimasto semplicemente “il” posto notturno per eccellenza, quello a cui resteremo legati per tutta la vita. Perché siamo diventati “grandi” soprattutto qui, inutile negarlo, perché sono le tante albe stiracchiate e sorvegliate in silenzio a farti maturare, sono le conversazioni e le confidenze sussurrate alle orecchie a farti capire, perché qui la musica, soprattutto dopo una certa ora, pesta alla grande, ed è questo che ti fa ricordare quello che sei, ti ricorda che qui lo puoi essere davvero, perché non esiste nessuna etichetta dietro alla quale nascondersi, e tutti sono liberi di esprimersi come meglio credono. Più che a scuola o sul lavoro, insomma, più che durante le partitelle di calcio al pomeriggio, e senz’altro più che durante la giornata.

E forse è per questo che noi Ca’ de Mandorli la amiamo e la odiamo con la stessa intensità. La amiamo come una parte di noi, come una parte della nostra personalità che abbiamo acquisito strada facendo, durante il percorso, e la odiamo perché sappiamo che forse dovremo lasciare tutto questo, tutto questo patrimonio di emozioni, in balia dell’aria.

 

Ancora una notte a Ca’ de Mandorli, dunque, fisso la pista e i ragazzi che ballano con una certa ritrosia, penso che è strano per me, io che ho sempre sfuggito i gruppi, le massificazioni, che non ne ho mai sentito il bisogno, né la necessità, qui invece mi sento affine, e so che la vicinanza è reale, effettiva, e non dipende dalla mia opinione; Anche se è fatta soprattutto di emozioni, insomma, anche se si suda e ci si dimena ad occhi chiusi. E forse proprio per quello. Mi sto già bevendo la quarta birra della serata, ma non credo di essermi mai sentito così lucido; Questa sera forse sono venuto da solo proprio per dimostrarmi che le mie sensazioni erano giuste, che avevo bisogno di sentirmi vicino alle persone, per sorridere, per ballare gli uni accanto agli altri e scacciare insieme la morte, i nostri fantasmi, per comunicare ad un livello superiore le nostre preferenze, quello che abbiamo dentro, quello che in noi non cambierà mai, non importa chi saremo, cosa faremo della nostra vita e chi diventeremo domani. La nostra vicinanza sarà sempre questa, e la casa persa nella campagna lo testimonierà. Anzi, ci cullerà come bambini, dolce e comprensiva, cercherà di farci capire che in fondo nella vita esiste anche una sfumatura di bellezza, irrevocabile, a dispetto delle nostre convinzioni, e una speranza, da distillare con pazienza, certo, rubando ore preziose al sonno, ma che come tutte le cose destinate a restare ci si appiccicherà addosso, e non ce ne riusciremo a liberare nemmeno volendo.

 

Scendo al piano terra dalla scaletta antincendio, incontro gli occhi della solita ragazza che mi consola con la sola sua presenza, guardo la gente seduta, anche fuori, anche nel parco, nonostante ormai sia quasi freddo, ormai si corra verso l’inverno senza soste, senza stazioni intermedie, e mi sento bene, in pace con me stesso. Dispenso sorrisi a tutti, e controllo il cielo, dove sembra che le stelle stiano scoppiando, tanto sono luminose. Per ora non voglio sentire altro, né pensare a nient’altro, so che questa notte mi addormenterò nella mia camera, nel mio letto, con il cuore pieno di gioia, e non voglio rovinare il momento. Per adesso è sufficiente. Per quanto riguarda domani, inizierò a pensarci una volta riaperti gli occhi.

 

Due ragazzi si baciano, seduti sul marciapiede, che immagino gelido. Io guardo le stelle a faccia in su e spero che il cielo, tutto intero, mi cada addosso.   

 

 
 
 
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