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Post n°63 pubblicato il 10 Maggio 2008 da silviostellato1968
 
Foto di silviostellato1968

La ragazza ha occhi neri corvini che si muovono veloci e capelli che si avvolgono su se stessi come un filo di rame; ha talmente tante lentiggini da ricoprire la famosa scalinata di Odessa del film "La corazzata Potemkin", su cui un tempo sussultò la carrozzina dove la nostra avanguardia russa mordeva il ciuccio con le guance rosse come la bandiera proletaria. Ci si poteva aspettare che dopo circa ottant'anni da questa famosa scena uno studente americano avesse chiesto al suo professore russo "Com'è che il vostro Ejzenshtejn ha rubato in modo così evidente la sua carrozzina dal nostro film Gli intoccabili con Sean Connery?". La mia studentessa non avrebbe mai fatto un errore del genere. La ragazza si chiamava Golda in onore di Golda Meir, la prima donna diventata premier di Israele. La nostra Golda purtroppo non è diventata premier di Israele, anche se non sarebbe stato un male per quello stato alla luce di quanto sta accadendo oggi. Golda è sempre stata una delle mie allieve migliori e anche tra le più strane. Una delle sue stranezze era il bilinguismo, assolutamente incompatibile con il suo livello culturale. Tutte le donne della famiglia di Golda lavoravano al famoso mercato di Odessa e non in bancarelle qualsiasi, ma nel famoso reparto del pesce, dove giacevano cefali così argentei, da fare gola ai pirati predatori, sgombri affumicati simili a lingotti d'oro, minuscoli macaronelli, sottili come stiletti di señoritas spagnole. Vendere il pesce ad Odessa era un'arte particolare e occorreva fare in fretta, perché il pesce non poteva stare sul banco troppo a lungo. Quindi le pescivendole della famiglia di Golda ogni tanto gridavano, assordando e terrorizzando con il loro richiamo urlato, obbligando tutti ad arrendersi e a trasformarsi da spettatori curiosi a compratori ipnotizzati. Quello che viene chiamato il russo delle pescivendole è in realtà il russo di Odessa, un miscuglio di ucraino, russo-moldavo, yiddish, d’errori grammaticali incantevoli e se occorre anche d’oscenità succose. Il russo parlato della mia studentessa Golda era proprio questo incredibile miscuglio, ma grazie a Dio non scriveva in questo modo i suoi temi, anche perché in quella lingua era impossibile scrivere. In inglese scriveva invece come una colta dama raffinata di Princeton, massima espressione dell'intellettualismo americano. Terminò la facoltà d’economia al college e subito s’impiegò in una grande società che aveva sede in una di quelle torri a Manhattan. Si innamorò di lei Zhenja, un timido perito informatico che lavorava due piani più in basso. Capitò che un giorno nel grattacielo ci fu una tremenda esplosione e un incendio, la cui causa non capirono subito.
Zhenja lavorava due piani più in basso, ma raggiunse di corsa l'ufficio di Golda, saltando a grandi falcate per le scale tra il fumo e il caos. Lei disperata si lanciò verso di lui e per la prima volta lo abbracciò, piangendo per la paura e la speranza e lui per la prima volta la baciò, tranquillizzandola. Accanto a lei c'era una giovane segretaria, profuga georgiana di Sukumi, che avrebbe dovuto sposarsi il sabato seguente, anche il suo fidanzato era un profugo, solo dell'ex-Jugoslavia. Si chiamava Radovan, un giovane fotografo, mezzo serbo e mezzo bosniaco, che aveva finito un libro sulle atrocità d’entrambe le parti in lotta, ma non gliel'avevano pubblicato e lui era costretto a guadagnarsi da vivere con le riviste di moda, perché nessuno voleva sapere la verità tutta intera. Tutti volevano solo quella parte di verità che faceva loro comodo. Radovan aveva portato alla sua fidanzata in regalo il vestito da sposa per fotografarla con addosso l'abito. Dopo aver visto l'esplosione, il fuoco e la gente che fuggiva da tutte le parti, Radovan afferrò con la mano sinistra la fidanzata, che risplendeva nel fumo con la nuvola bianca del suo abito nuziale, e la trascinò all'ascensore, tenendo nella mano destra la Nikon e non smettendo un attimo di scattare, per non perdere neanche un particolare di quella tragedia, in cui lui stesso si trovava coinvolto.

Ma gli ascensori smisero di funzionare: alcuni di loro, avvolti dalle fiamme da tutti i lati, si bloccarono pieni di gente tra un piano e l'altro. Il passaggio per le scale era troppo stretto per una folla di persone in cerca della salvezza. Le fiamme si avvicinavano. Alcuni uomini persero la testa, spingendosi a gomitate e spingendo anche le donne.

"Lasciate passare le donne!", gridava Zhenja, scostando a spintoni quelli che volevano salvare la propria vita a spese di quella degli altri, quello stesso Zhenja che Golda non si sarebbe mai immaginata capace di urlare. Le sue braccia forti la gettarono nel passaggio delle scale.

"Lasciate passare le donne!", urlava Radovan, spingendo in avanti la sua fidanzata e continuando a fotografare, respingendo intanto dalle scale le persone impazzite che si facevano largo tra gli altri. Una coppia improvvisamente si fermò con le pupille dilatate dal terrore, in cui danzava il fuoco. S’abbracciarono, si baciarono e tenendosi mano nella mano, come al rallentatore, andarono controcorrente. Golda fece in tempo a vedere solo che erano in piedi sul davanzale di una finestra rotta con chissà che cosa, si tenevano ancora per mano ed erano immobili prima di saltare. Il fotografo fece in tempo a riprenderli, ma in quel momento una lampada di bronzo staccatasi lo colpì in testa ed egli cadde. Quando Golda per l'ultima volta guardò sul davanzale, c'erano già altri due che mano nella mano si baciavano, prima di saltare di sotto. Il fotografo giaceva calpestato dalla folla, che trascinata da quelli che spingevano da dietro, inarrestabilmente passava su di lui. La sua fidanzata georgiana, avvolta nell'abito nuziale già stracciato, urlava in modo disumano, ma la corrente di folla la trascinava implacabilmente in basso come un torrente di montagna. "Zhenja - a - a!", gridava Golda fino alla raucedine, capendo per la prima volta quanto gli era caro quell'uomo, che s’addormentava durante i suoi film preferiti. Se avesse potuto sentirla, e se fosse stato ancora vivo... Golda non ricordò più nulla e tornò in sé all'ospedale. Non la volevano dimettere, ma lei ottenne ciò che voleva. Indebolita, smagrita, sputando fumo avvelenato dai polmoni tornò nel suo monolocale accanto alle ex torri gemelle. Per fortuna l'edificio era rimasto integro, ma la portinaia la avvertì che si erano rotte alcune finestre. Le chiavi di Golda tintinnando nervosamente non riuscivano ad entrare nel buco della serratura.

Prima di aprire e di accendere la luce, sentì subito l'odore di cenere e il fischio del vento dentro la stanza, quasi si fosse impossessato del suo appartamento come un impostore ubriaco. Accese la luce e rimase pietrificata dal terrore. Il pavimento era ricoperto dalle schegge dei vetri della finestra e sul suo letto giacevano due sedili di aereo con due corpi carbonizzati, o per essere precisi, con quello che era rimasto dei corpi con le cinture diligentemente allacciate secondo le istruzioni. Evidentemente questi sedili, sradicati dall'aereo, erano stati scaraventati lì dalla gigantesca onda esplosiva. Golda perse di nuovo i sensi. Quando Golda tornò, prima ancora di entrare nell'appartamento, disse alla portinaia:
"Sono costretta a cambiare appartamento". "Perché?" - sollevò le sopracciglia la portinaia. "Lo sapete benissimo" - disse Golda, aprì la porta e vide che le finestre erano intere, per terra non c'erano schegge e sul letto non c'era nessun sedile bruciacchiato. Ma l'odore era rimasto, un odore dolciastro. O si era inventata tutto? O i padroni di casa per non spaventare gli affittuari avevano in tutta fretta risistemato tutto e non avevano fatto sapere nulla alla stampa di questa visita di due passeggeri arsi vivi entrati dalla finestra?
L'11 settembre del 2001 tutte le finestre del mondo sono state infrante e in ogni casa sono atterrati dei passeggeri senza volto su sedili bruciati di aereo. Noi tutti ci dividiamo tra quelli che si sono accorti di questo e quelli che non hanno voluto accorgersene.

 
 
 
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