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Cesare Pavese

Post n°65 pubblicato il 26 Maggio 2008 da silviostellato1968
 
Foto di silviostellato1968

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera, insonne,
sorda, come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo. I tuoi occhi
saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio.
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio. O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla

Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

 
 
 

Ruganta

Post n°64 pubblicato il 18 Maggio 2008 da silviostellato1968
 
Foto di silviostellato1968

C'era una volta Ruganta o forse kristal60 o forse me raccomanno...ma non c'è più. le cose passano e si confondono come si confondono le parole e parole buone possono essere prese per parole cattive e viceversa, alle volte una battuta può essere creduta una volgarità oppure un'offesa. può succedere. io cerco la mia ruganta, perché credo che lei abbia frainteso una mia battuta. io non chiuderei mai la porta in faccia ad una rugantina. Io...sò de core...

 
 
 

evtushenko

Post n°63 pubblicato il 10 Maggio 2008 da silviostellato1968
 
Foto di silviostellato1968

La ragazza ha occhi neri corvini che si muovono veloci e capelli che si avvolgono su se stessi come un filo di rame; ha talmente tante lentiggini da ricoprire la famosa scalinata di Odessa del film "La corazzata Potemkin", su cui un tempo sussultò la carrozzina dove la nostra avanguardia russa mordeva il ciuccio con le guance rosse come la bandiera proletaria. Ci si poteva aspettare che dopo circa ottant'anni da questa famosa scena uno studente americano avesse chiesto al suo professore russo "Com'è che il vostro Ejzenshtejn ha rubato in modo così evidente la sua carrozzina dal nostro film Gli intoccabili con Sean Connery?". La mia studentessa non avrebbe mai fatto un errore del genere. La ragazza si chiamava Golda in onore di Golda Meir, la prima donna diventata premier di Israele. La nostra Golda purtroppo non è diventata premier di Israele, anche se non sarebbe stato un male per quello stato alla luce di quanto sta accadendo oggi. Golda è sempre stata una delle mie allieve migliori e anche tra le più strane. Una delle sue stranezze era il bilinguismo, assolutamente incompatibile con il suo livello culturale. Tutte le donne della famiglia di Golda lavoravano al famoso mercato di Odessa e non in bancarelle qualsiasi, ma nel famoso reparto del pesce, dove giacevano cefali così argentei, da fare gola ai pirati predatori, sgombri affumicati simili a lingotti d'oro, minuscoli macaronelli, sottili come stiletti di señoritas spagnole. Vendere il pesce ad Odessa era un'arte particolare e occorreva fare in fretta, perché il pesce non poteva stare sul banco troppo a lungo. Quindi le pescivendole della famiglia di Golda ogni tanto gridavano, assordando e terrorizzando con il loro richiamo urlato, obbligando tutti ad arrendersi e a trasformarsi da spettatori curiosi a compratori ipnotizzati. Quello che viene chiamato il russo delle pescivendole è in realtà il russo di Odessa, un miscuglio di ucraino, russo-moldavo, yiddish, d’errori grammaticali incantevoli e se occorre anche d’oscenità succose. Il russo parlato della mia studentessa Golda era proprio questo incredibile miscuglio, ma grazie a Dio non scriveva in questo modo i suoi temi, anche perché in quella lingua era impossibile scrivere. In inglese scriveva invece come una colta dama raffinata di Princeton, massima espressione dell'intellettualismo americano. Terminò la facoltà d’economia al college e subito s’impiegò in una grande società che aveva sede in una di quelle torri a Manhattan. Si innamorò di lei Zhenja, un timido perito informatico che lavorava due piani più in basso. Capitò che un giorno nel grattacielo ci fu una tremenda esplosione e un incendio, la cui causa non capirono subito.
Zhenja lavorava due piani più in basso, ma raggiunse di corsa l'ufficio di Golda, saltando a grandi falcate per le scale tra il fumo e il caos. Lei disperata si lanciò verso di lui e per la prima volta lo abbracciò, piangendo per la paura e la speranza e lui per la prima volta la baciò, tranquillizzandola. Accanto a lei c'era una giovane segretaria, profuga georgiana di Sukumi, che avrebbe dovuto sposarsi il sabato seguente, anche il suo fidanzato era un profugo, solo dell'ex-Jugoslavia. Si chiamava Radovan, un giovane fotografo, mezzo serbo e mezzo bosniaco, che aveva finito un libro sulle atrocità d’entrambe le parti in lotta, ma non gliel'avevano pubblicato e lui era costretto a guadagnarsi da vivere con le riviste di moda, perché nessuno voleva sapere la verità tutta intera. Tutti volevano solo quella parte di verità che faceva loro comodo. Radovan aveva portato alla sua fidanzata in regalo il vestito da sposa per fotografarla con addosso l'abito. Dopo aver visto l'esplosione, il fuoco e la gente che fuggiva da tutte le parti, Radovan afferrò con la mano sinistra la fidanzata, che risplendeva nel fumo con la nuvola bianca del suo abito nuziale, e la trascinò all'ascensore, tenendo nella mano destra la Nikon e non smettendo un attimo di scattare, per non perdere neanche un particolare di quella tragedia, in cui lui stesso si trovava coinvolto.

Ma gli ascensori smisero di funzionare: alcuni di loro, avvolti dalle fiamme da tutti i lati, si bloccarono pieni di gente tra un piano e l'altro. Il passaggio per le scale era troppo stretto per una folla di persone in cerca della salvezza. Le fiamme si avvicinavano. Alcuni uomini persero la testa, spingendosi a gomitate e spingendo anche le donne.

"Lasciate passare le donne!", gridava Zhenja, scostando a spintoni quelli che volevano salvare la propria vita a spese di quella degli altri, quello stesso Zhenja che Golda non si sarebbe mai immaginata capace di urlare. Le sue braccia forti la gettarono nel passaggio delle scale.

"Lasciate passare le donne!", urlava Radovan, spingendo in avanti la sua fidanzata e continuando a fotografare, respingendo intanto dalle scale le persone impazzite che si facevano largo tra gli altri. Una coppia improvvisamente si fermò con le pupille dilatate dal terrore, in cui danzava il fuoco. S’abbracciarono, si baciarono e tenendosi mano nella mano, come al rallentatore, andarono controcorrente. Golda fece in tempo a vedere solo che erano in piedi sul davanzale di una finestra rotta con chissà che cosa, si tenevano ancora per mano ed erano immobili prima di saltare. Il fotografo fece in tempo a riprenderli, ma in quel momento una lampada di bronzo staccatasi lo colpì in testa ed egli cadde. Quando Golda per l'ultima volta guardò sul davanzale, c'erano già altri due che mano nella mano si baciavano, prima di saltare di sotto. Il fotografo giaceva calpestato dalla folla, che trascinata da quelli che spingevano da dietro, inarrestabilmente passava su di lui. La sua fidanzata georgiana, avvolta nell'abito nuziale già stracciato, urlava in modo disumano, ma la corrente di folla la trascinava implacabilmente in basso come un torrente di montagna. "Zhenja - a - a!", gridava Golda fino alla raucedine, capendo per la prima volta quanto gli era caro quell'uomo, che s’addormentava durante i suoi film preferiti. Se avesse potuto sentirla, e se fosse stato ancora vivo... Golda non ricordò più nulla e tornò in sé all'ospedale. Non la volevano dimettere, ma lei ottenne ciò che voleva. Indebolita, smagrita, sputando fumo avvelenato dai polmoni tornò nel suo monolocale accanto alle ex torri gemelle. Per fortuna l'edificio era rimasto integro, ma la portinaia la avvertì che si erano rotte alcune finestre. Le chiavi di Golda tintinnando nervosamente non riuscivano ad entrare nel buco della serratura.

Prima di aprire e di accendere la luce, sentì subito l'odore di cenere e il fischio del vento dentro la stanza, quasi si fosse impossessato del suo appartamento come un impostore ubriaco. Accese la luce e rimase pietrificata dal terrore. Il pavimento era ricoperto dalle schegge dei vetri della finestra e sul suo letto giacevano due sedili di aereo con due corpi carbonizzati, o per essere precisi, con quello che era rimasto dei corpi con le cinture diligentemente allacciate secondo le istruzioni. Evidentemente questi sedili, sradicati dall'aereo, erano stati scaraventati lì dalla gigantesca onda esplosiva. Golda perse di nuovo i sensi. Quando Golda tornò, prima ancora di entrare nell'appartamento, disse alla portinaia:
"Sono costretta a cambiare appartamento". "Perché?" - sollevò le sopracciglia la portinaia. "Lo sapete benissimo" - disse Golda, aprì la porta e vide che le finestre erano intere, per terra non c'erano schegge e sul letto non c'era nessun sedile bruciacchiato. Ma l'odore era rimasto, un odore dolciastro. O si era inventata tutto? O i padroni di casa per non spaventare gli affittuari avevano in tutta fretta risistemato tutto e non avevano fatto sapere nulla alla stampa di questa visita di due passeggeri arsi vivi entrati dalla finestra?
L'11 settembre del 2001 tutte le finestre del mondo sono state infrante e in ogni casa sono atterrati dei passeggeri senza volto su sedili bruciati di aereo. Noi tutti ci dividiamo tra quelli che si sono accorti di questo e quelli che non hanno voluto accorgersene.

 
 
 

yuppiyaya yuppi yuppi ya

Post n°62 pubblicato il 09 Maggio 2008 da silviostellato1968
 
Foto di silviostellato1968

Eccola la notte: un pacchetto di sigarette che sta per finire. Il volume della tv prossimo allo zero e la città, lontana mille miglia, che trabbocca di pensieri, parole, opere e omissioni. Eccola qua la notte: acida sotto la sua maschera di stampo psichedelico, nuda, tra le lenzuola bianche d’ospedale, e poi muta, muta e basta. In un acceso momento di calore ho lasciato Genevieffa  sul lettone, senza orgasmo, in preda alla delusione. Poi mi sono seduto sul divano ed ho pianto piano piano ed ho pensato, che se avessi potuto piangere a dirotto, avrei singhiozzato come un vecchio motore diesel.

Ma Genevieffa non apprezza i rumori  quando s’addormenta ed i pianti poi, li odia.

Senza dire niente sono uscito. E senza fare rumore, con passo felpato, ho barcollato fino al garage. Solo quando mi sono seduto in macchina ho premuto le mani sul volante ed ho urlato. La notte è piccolaaaaaaaaaaaa…per meeee...troppo piccolinaaaaaa...

Sono andato a bere al Camelot, nel regno dei ragni, della cornicetta tutta legno che sta sulla parete da vent’anni. Storta, lisa e con dentro, la  carta ingiallita di un vinile.  Video kill the radio star. Ho bevuto con moderazione. Ed è questo che mi ha spinto a gareggiare con la morte, dopo. a duecento all'ora, sulla strada verso casa. Sussurrando: Oh morte…oh vita…oh gente...ho bisogno di qualcuno.

 
 
 

Wladimir Majakowskji

Post n°61 pubblicato il 01 Maggio 2008 da silviostellato1968
 
Foto di silviostellato1968

Dietro una donna (1913)

Spostato su col gomito un lievito di nebbia,

Colava biacca da una fiasca nera

E a briglia sciolta nel cielo

Canuto e greve caracollava fra le nuvole.

Nel fuso rame di case stagnate

A stento si contengono i tremiti delle vie,

Stuzzicati da un rosso mantello di lussuria,

I fumi diramavano le corna dentro il cielo.

Cosce -vulcani sotto il ghiaccio delle vesti,

Messi di seni mature già per il raccolto.

Dai marciapiedi con ammicchi malandrini

Frecce spuntate insorsero gelose.

Stormo che a un colpo di tacco si levi a volo nel cielo

Preghiere di altezze presero al laccio Iddio:

Con sorrisi da topi lo spennarono

E beffarde lo trassero per la fessura d'una soglia.

L'Oriente in un vicolo le scorse,

Più in alto risospinse la smorfia del cielo

E il sole dalla nera borsa strappato fuori

Pestò con cattiveria le costole del tetto.

 
 
 

La vite, le stelle, l'usignolo.

Post n°60 pubblicato il 29 Aprile 2008 da silviostellato1968
 
Foto di silviostellato1968

Narrano i cantastorie calabresi che ci fu un tempo remoto in cui la vite era una semplice pianta ornamentale: non produceva né fiori né tanto meno frutti. Venne la primavera e il contadino decise di tagliarla: «Questa pianta dà ombra ai seminati» disse «la ridurrò più piccola che sia possibile». Detto fatto: il contadino la potò così energicamente che della verde pianta non rimasero che pochi rami nudi e corti. La vite pianse e un usignolo ebbe pietà di lei. Volò sui poveri rami tronchi, vi si afferrò con le zampette e, giunta la notte, cominciò a cantare tanto dolcemente che la vite si sentì via via rinascere. Le note trillanti salirono verso le stelle, finché esse si commossero e fecero discendere un po' della loro forza sulla povera pianta mutilata. Allora la vite sentì scorrere in sé una linfa nuova; i suoi nodi si gonfiarono, le sue gemme si aprirono. I primi pàmpini verdi fremettero alla brezza e quando l'usignolo volò via, gli acini del primo racimolo cominciavano a dorarsi alla luce dell'alba. La vite era diventata una pianta fruttifera. Il suo frutto possedeva la forza delle stelle, la dolcezza del canto dell'usignolo, la luminosa letizia delle notti estive. www.silviostellato.it

 

 

 
 
 

Odio di lunedì

Post n°59 pubblicato il 28 Aprile 2008 da silviostellato1968
 
Foto di silviostellato1968

Lunedì vorrei fosse domenica. Lunedì quando mi sveglio cominci a costruire incubi di bassa lega. Lavoro, burocrazia, denaro, bestie in giacca e cravatta. Invece vorrei conoscere una donna mai vista prima e fuggire con lei in posto dove non sono mai stato. ma ci pensate che maraviglia. Vai al lavoro, e mentre sei incolonnato nel traffico obbligato nella tua  macchinina triste, una donna apre lo sportello senza dire niente e si siede al tuo fianco. é sorridente non deve spiegare nulla perché entrambi sapete esattamente che cosa sta succedendo. Tu fai inversione di marcia, prendi per il mare, c'è il sole, lei si mette la cintura e come se ticonoscesse da sempre accende una sigaretta e sceglie una canzone. Sceglie Perfect day di lou reed. It' a perfect day...durante il viaggio nemmeno una parola, qualche volta ti volti e la guardi, perché non la conosci e ti piace osservare i particolari, le venature degli occhi, la pelle, e come si piegano le sue labbra mentre sorride. Perché lei sorride quando tu la guardi. E quando arrivati sul litorale, col mare che langue quieto come una laguna fredda e silenziosa, fermi l'auto e apri le braccia. Lei, come se non avesse nessun timore, ti si accomoda addosso. Nessuna parola. nemmeno un bacio, solo il respiro che marcia all'unisono. Niente da dire, nemmeno al ritorno, nemmeno all'addio, solo un giorno perfetto. A perfect day. altro che lunedì. silvio.

 
 
 

Liberazioni

Post n°58 pubblicato il 25 Aprile 2008 da silviostellato1968
 
Foto di silviostellato1968

I giorni delle liberazioni

Il 25 Maggio del 2000 il Libano, il 26 gennaio del 1986 l'Uganda, il 14 Giugno del 1982 le isole Falkland, il 3marzo del 1978 la Bulgaria, il 30 Aprile del  1975 il Vietnam, il 1 Gennaio del 1959 Cuba, il 5 Maggio del 1945 i Paesi Bassi, l'8 Maggio del 1945 la Norvegia, il 23 Agosto del 1944 la Romania, il 25 Aprile del 1945 L'Italia...non c'è modo di completare uno sterile elenco di liberazioni, ogni giorno c'è una liberazione da avviare, ogni giorno c'è un cammino di libertà da aprire, ogni giorno c'è una nuova forma di schiavitù da riconoscere. Non ci sono cittadini di destra e di sinistra, non ci sono dipendenti pubblici e privati, non ci sono polentoni e terroni. C'è il potere e l'oppresso, c'è il padrone e lo sfruttato. Altre liberazioni ci attendono. Abbazativi i' maniche...

 
 
 

sharon olds

Post n°57 pubblicato il 23 Aprile 2008 da silviostellato1968
 
Foto di silviostellato1968

I go back to May 1937

Li vedo in piedi davanti alle architetture formali dei loro college

Vedo mio padre sotto l’arco di arenaria ocra

Le piastrelle rosse che brillano come scaglie di sangue dietro la sua testa

Vedo mia madre con dei libri insignificanti al fianco, in piedi davanti al pilastro di mattoni

col cancello in ferro battuto ancora aperto dietro di lei, le punte di lancia nere nell’aria di maggio

Stanno per laurearsi, stanno per sposarsi, sono ragazzi, sono stupidi,

tutto ciò che sanno è che sono innocenti e che non farebbero mai del male a nessuno.

Voglio andare da loro e dire fermi, non fatelo, lei è la donna sbagliata, lui è l’uomo sbagliato

 farete cose che mai pensereste di poter fare, farete del male ai figli,

 soffrirete in un  modo inimmaginabile, vi augurerete di morire.

Voglio andare da loro in quella luce di fine maggio e dirglielo, ma non lo faccio,

 voglio vivere, voi fate quello che dovete fare ed io giudicherò…

 
 
 

Corna

Post n°56 pubblicato il 20 Aprile 2008 da silviostellato1968
 
Foto di silviostellato1968

- E’ questo che non tollero più a trentasei anni- aveva detto Lui sottovoce, scrutando il contenuto del proprio bicchiere.

- Cosa?-, aveva chiesto Lei spazientita.

Lui era rimasto zitto, senza perdere d’occhio la particella di ghiaccio alla deriva nel liquido ambrato.

- Cosa non tolleri?-, aveva ripetuto Lei.

Poi aveva allungato la testa in avanti ostentando sfida come un pennuto. Quella litania la conosceva a memoria. Sul serio. Non ne poteva più di quella storia della depressione. Non sopportava specialmente quell’inutile piagnisteo.

 - Questa situazione... io non credo di farcela- aveva mormorato lui, con la solita faccia da vittima predestinata.

Poi s’era sistemato di spalle a tutti. Che continuassero pure ad ingozzarsi quegli invasati. Che continuassero pure  a darsi da fare pestando stupidamente le mattonelle. Lui non li avrebbe certo aiutati ad essere protagonisti, né facendo da spettatore, né buttandosi nella mischia a gozzovigliare come uno scemo.Cominciava a sentirsi a disagio.

...immerse lo sguardo nell’abissale notte di quel cielo irraggiungibile. Il suo sguardo fuggitivo, alla disperata ricerca di un rifugio qualsiasi, scorse in ciascuna stella un riparo sicuro. In particolare ne seguì una che, quasi invisibile tanto era piccola, in certi istanti sfortunatamente, scompariva. Si chiese se fosse davvero una stella, o se fossero i segnalatori di un aeroplano, oppure  qualcosa di più misterioso. Poteva essere un ufo per esempio. Pensò che, forse, se gli alieni avessero invaso questo mondo per davvero, allora si che avrebbe potuto ricominciare tutto dal principio e darsi una mossa. Si chiese se esistessero davvero e come fossero fatti questi extraterrestri; quanto erano strani? erano bassi? Fosforescenti?  Di più o di meno dell’uomo - arancia che in quel momento teneva sua moglie fra le braccia?

silviostellato

 
 
 

Foto di silvio

Post n°55 pubblicato il 18 Aprile 2008 da silviostellato1968
 
Foto di silviostellato1968

 Per Elisa " 
 by Alice 
 
Per Elisa 
vuoi vedere che perderai anche me 
per Elisa 
non sai piu' distinguere che giorno e' 
e poi non e' nemmeno bella. 

Per Elisa 
paghi sempre tu e non ti lamenti 
per lei ti metti in coda per le spese 
e il guaio e' che non te ne accorgi. 

Con Elisa 
guardi le vetrine e non ti stanchi 
lei ti lascia e ti riprende come e quando vuole lei 
riesce solo a farti male. 

Vivere vivere vivere 
non e' piu' vivere 
lei ti ha plagiato 
ti ha preso anche la dignita'. 
Fingere fingere fingere  
non sai piu' fingere 
senza di lei ti manca l'aria. 

Senza Elisa 
non esci neanche a prendere il giornale 
con me riesci solo a dire due parole 
ma noi un tempo ci amavamo. 

Con Elisa 
guardi le vetrine e non ti stanchi 
lei ti lascia e ti riprende come e quando vuole lei 
riesce solo a farti male. 

Vivere vivere vivere non e' piu' vivere 
lei ti ha plagiato ti ha preso anche la dignita'. 
Fingere fingere fingere non sai piu' fingere 
senza di lei ti manca l'aria. 

Vivere 
non e' piu' vivere 
per Elisa 
con Elisa

 
 
 

Il Cartaro

Post n°54 pubblicato il 15 Aprile 2008 da silviostellato1968
 
Foto di silviostellato1968

Dov'è l'asso. Carta vince carta perde. Dov'è l'asso. di qua? di là? E' finito il comunismo. Non era finito con la caduta del muro? No, oggi si svelano gli altarini: gli operai votano lega. Ventimila leghe sopra i mari. L'onorevole pluririnviato sbelluscioni ha detto che farà il federalismo fiscale entro tre mesi. I meridionali esultano. Sanno benissimo cos'è il federalismo fiscale: cos'è? Bù.  Dov'è l'asso? La santanché dov'è? Bù. Veltroni da bravo figlio di papino ha fatto un danno epocale, ha fatto cadere il barattolo della marmellata mentre ci giocava. Ttò ttò sulle manine. Un uomo con la erre moscia e il maglioncino di lana merino's si aggirava negli studi della rai inneggiando alla internazionale socialista e alla sinistra antiliberista, anticapitalista e proletaria. E si batteva il petto.  Operaiiiiiiiiiiiiiiiiiiii. ngueeeee! L'ala estremista del parlamento capeggiata da Di Pietro tatuato e con la cresta punk, minaccia di occupare ad oltranza tutti i vocabolari di italiano. Gianfranco Fini ha perduto un partito se lo ritrovate recapitatelo a Verona presso Brambilla Michela via delle rosse patate numero sedici. Dov'è l'asso? di qua di là? l'asso dov'è?. Carta  vince carta perde. Giocate che si vince! Il gioco delle tre carte ha bisogno di alcuni protagonisti certi. Ci vuole il cartaro, il compare, il fesso da fottere, il fesso da usare. Il cartaro da le carte e s'impegna a pagare se perde. Il compare appoggia il cartaro facendo finta che si può vincere, il fesso da usare senza saperlo vince una briciola e fa il gioco del cartaro, mentre il fesso da fottere illuso ci resta secco. Li avete individuati?  E alla fine chi vince sempre? E perché? Perché? Che il gioco delle tre carte sia truccato? Noooooooooooooooo.

 

 
 
 

Buona Domenica

Post n°53 pubblicato il 13 Aprile 2008 da silviostellato1968
 
Foto di silviostellato1968

Domenica mattina sento che c'è un enorme camion che manovra nella strada sotto casa. mi affaccio. Stanno rifacendo il manto stradale. Si, di questo avrebbe bisogno uno come me , di camminare sempre sopra un tappeto morbido e intonso. Vedo la mia mano raccogliere le chiavi dell'auto sul tavolo e mi ritrovo a scendere le scale due per volta. magari potessi rompermi l'osso del collo e restarci secco. Fuori c'è il sole. Abbaglia. Se la mia giornata non si rivela migliore entro qualche ora mi toglierò la vita ingurgitando caramelle allo xilitolo. Parto. Faccio 160 all'ora sull'autostrada. Considera che ho un catorcio di macchina. Arrivo presto in aula. I bambini sono tutti lì. assenti nessuno. Mi salutano con sorrisi incisivi che mi fanno a pezzi. Fanno a gara per sedersi vicino a me. Mi toccano i capelli. Io faccio quello rigido. A posto! dico. Non voglio pasticci, fate silenzio. Poi cambio idea e faccio la scenetta del morto di sonno che funziona sempre li fa ridere a garganella. Sembrano tante paperette. Squilla il telefono. Un guaio. Non posso tenerlo acceso a lezione. Ma rispondo lo stesso e la voce di mio fratello Carlo dice che sua moglie Chiara aspetta un bambino. Caspita.  C'era una canzone che odiavo, scritta da un cantautore che odiavo, che cantava la domenica. Si chiamava Buona domenica. Buona Domenica. Adoro i bambini. I bambini sono facili. I grandi sono difficili. E buona domenica.

 
 
 

Sandro Penna

Post n°52 pubblicato il 13 Aprile 2008 da silviostellato1968
 
Foto di silviostellato1968

Oh non ti dare arie
di superiorità.
Solo uno sguardo io vidi
degno di questa. Era
un bambino annoiato in una festa.

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Un po' di pace è già nella campagna
L'ozio che è il padre dei miei sogni guarda
i miei vizi coi suoi occhi leggeri.

Qualcuno che era in me ma me non guarda
bagna e si mostra negligente: appare
d'un tratto un treno coi suoi passeggeri
attoniti e ridenti - ed è già ieri.

 
 
 

La mia tristezza

Post n°49 pubblicato il 10 Aprile 2008 da silviostellato1968
 
Foto di silviostellato1968

 

La mia tristezza la prendo e ci gioco.

Faccio che rotoli nel corridoio.

La lancio in aria e mi affaccendo.

L’esperimento è farla rimbalzare.

La prendo a calci e  mi sfamo di lei.

Poi la rigurgito. Poi me la rimangio.

La mia tristezza la stendo sul tavolo.

Mi metto comodo e le dedico uno sguardo.

Comincio a lavorarla come pane.

Mi taglio un dito e la sporco di sangue.

La mia tristezza non so cosa farne.

La metto in frigorifero. La ghiaccio. La scongelo.

E come fossero bocconcini in scatola.

La do in pasto al mio gatto antipatico.

Ma il mio gatto non sa.

Non sa nemmeno cosa sia la mia tristezza .

E non la mangia. Me la torna indietro

 
 
 
 
 

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EDUARDO

 
 

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