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.12.

Post n°13 pubblicato il 08 Luglio 2012 da L.Onely
 

*

Più di così,
sì molto più ancora
si può restare in silenzio
Per ore,
con lo sguardo immobile dei cadaveri,
si può fissare il fumo di una sigaretta
la forma di una tazza
un pallido fiore sul tappeto
un vago tratto sul muro
Con le rigide dita
si può scostare la tenda
e guardare fuori la pioggia che batte,
il bimbo e l’aquilone dipinto
sotto il porticato
e il vecchio carro
attraversare chiassoso la piazza deserta
Vicino alla tenda
si può restare immobili
senza vedere, senza sentire
Con la voce aliena e artefatta
si può gridare forte
“Io amo”
Tra le braccia vigorose di un uomo,
si può essere una donna sana e bella
Con il corpo dalla pelle tesa
con i seni duri e pieni
si può inquinare
nel letto di uno sbronzo, un randagio, un folle
la purezza di un amore
Si può beffare con astuzia
ogni incomprensibile enigma
e accontentarsi di un cruciverba
Si può essere felici
di una risposta banale di cinque o sei lettere,
sì, una risposta banale
Ci si può inginocchiare,
tutta la vita, a testa bassa,
innanzi a un santuario freddo
Si può vedere Dio in una tomba ignota
Si può credere in Dio
Per una piccola moneta
Si può lentamente marcire
come un vecchio predicare
nelle piccole stanze di una moschea
Si può, come lo zero,
nelle divisioni e nelle moltiplicazioni,
restare sempre immutati
si può considerare il tuo sguardo di rancore
il bottone scolorito di una vecchia scarpa
e come l’acqua prosciugarsi nel proprio fossato
Si può nascondere timidamente
in fondo a un vecchio baule,
come una buffa istantanea in bianco e nero,
la bellezza di un attimo
Si può appendere
nella cornice vuota di una giornata
l’immagine di un condannato, vinto crocefisso
si possono coprire,
dietro le maschere, le crepe del muro
o aggiungere ancora altre inutili figure
Si può guardare al proprio mondo
con gli occhi vitrei della bambola meccanica
Si può dormire in una scatola di panno ruvido
con il corpo riempito di paglia
tra pizzi e perline
e a ogni volgare pressione delle dita
gridare invano
“oh, come sono felice”.

La bambola meccanica

* * *

E questa sono io,
una donna sola
sul margine di una stagione fredda,
adesso che comprendo l’essenza sporca della terra
e la semplice triste disperazione del cielo
e l’impotenza di queste mani di cemento.
. . .

Libererò infine i versi
e sarò così, libera dallo scorrere dei numeri
e dal mezzo delle forme rinchiuse geometriche
troverò riparo fra le distese superfici del sentire.
Sono nuda, e nuda, e nuda,
come i silenzi tra le parole d’amore sono nuda
e di tutte le ferite sono mie le ferite d’amore
d’amore, d’amore, d’amore.
. . .
Sempre tutta questa distanza,
tra la finestra e lo sguardo.
Perché non ho guardato?
Come nel tempo in cui un uomo passava accanto agli alberi bagnati.

Perché non ho guardato?
Forse mia madre aveva pianto quella notte,
quella notte che io venni al dolore e lo sperma prese forma
quella notte che andai in sposa alle acacie
quella notte che le moschee di Isfahan brillavano
d’azzurre mattonelle.
E quella persona, che era la mia metà,
quella notte ritornò dentro il mio seme.
E io la vedevo nello specchio
che come specchio era puro, e luminoso,
e mi chiamò d’improvviso
e così andai,
io, in sposa alle acacie…
. . .

Da dove vengo io?

Dissi a mia madre:
E’ finita, accade sempre prima che tu ci possa pensare,
dobbiamo spedire le condoglianze al giornale.

Buongiorno mia strana solitudine,
qui ti cedo la mia stanza.
Perché le nere nuvole di sempre
sono i profeti dei versetti nuovamente purificati.
E nel martirio di una candela
c’è un segreto luminoso
che conosce bene quella fiamma ultima fiamma che resiste.
 

Crediamo pure
crediamo pure all’inizio della stagione fredda
crediamo pure alla rovina dei giardini del sogno
alle falci riverse ed intonse,
e ai grani imprigionati.
E guarda adesso, come nevica…
. . .

 da Crediamo pure all’inizio della stagione fredda

* * *

Ho peccato, peccato, quanto piacere
nell’abbraccio caldo e ardente ho peccato
fra due braccia ho peccato
accese e forti di caldo rancore, ho peccato.

In quel luogo di buio silenzio appartato
nei suoi occhi colmi di segreti ho guardato,
nel palpito del petto furioso il mio cuore
tremava nei suoi occhi di desiderio in preghiera.

In quel luogo di buio silenzio appartato
accanto a lui al suo fianco sconvolta
la sua bocca desiderio versava tra le labbra mie,
scappata, io, dalle pene del folle mio cuore.

Gli sussurrai piano piano la melodia dell’amore:
ti voglio, ti voglio, anima mia
ti voglio, ti voglio, abbraccio che infiamma
ti voglio, amore mio pazzo.

Il desiderio nei suoi sguardi fiamme avvampava,
il vino nero nella coppa tremava e danzava.
Il mio corpo sul tenero letto
sul suo petto ubriaco oscillava.

Ho peccato, peccato, quanto piacere
accanto all’estatico fremito di un corpo.
Oddio, mio Dio, che cosa ho mai fatto
in quel luogo di buio silenzio appartato?

Peccato

 *

Quando la mia fede era impiccata alle fragili corde della giustizia
e in tutta la città
facevano a pezzi il cuore dei miei occhi
quando soffocarono con il fazzoletto nero della legge
gli occhi infantili del mio amare
e dalle tempie pulsanti della mia speranza
sgorgavano fiotti di sangue,
quando la mia vita ormai non era più nulla,
nulla, se non il tic-tac di un orologio,
capii che dovevo amare, amare, amare follemente.

*

Forugh Farrokhzad
(poetessa. iraniana. appassionata. ribelle. libera. morta nel 1967. 32 anni)

 

*

*

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