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Un caso che fa riflettere

Post n°230 pubblicato il 27 Agosto 2009 da acadiutore
 

Molto scetticismo c'è intorno ai miracoli. Pubblichiamo un caso (apparso su tutti i quotidiani nazionali) che dovrebbe far riflettere seriamente tutti (l'articolo è tratto da avvenire.it)

«Con i mezzi di cui scientificamente dispongo non è possibile alcuna spiegazione dell’accaduto». Il professor Adriano Chiò, neurologo dell’Ospedale Molinette di Torino, commenta così la repentina scomparsa dei sintomi della sclerosi laterale amiotrofica (Sla) e il netto miglioramento delle condizioni di Antonietta Raco, 50 anni, di Francavilla in Sinni (in provincia di Potenza e in diocesi di Tursi-Lagonegro), costretta su una sedie a rotelle dal 2005 e che ha ripreso a camminare dopo un pellegrinaggio a Lourdes.

La donna da quattro anni è in cura nel centro Sla del nosocomio torinese e le sue condizioni, da allora, sono andate peggiorando. «La diagnosi era inequivocabile – dicono al Centro alle Molinette –: la signora aveva una forma di Sla a lenta evoluzione, con nessuna probabilità di guarigione». Ieri mattina, accompagnata dal marito, Antonietta è tornata dal professor Chiò per una visita programmata da tempo ma anticipata, visti gli eventi. «Sono entrata in ospedale per la prima volta camminando sulle mie gambe – racconta Antonietta ad –; non vedevo l’ora di incontrare i medici, speravo che qualcuno mi dicesse che non ho più niente. Quando mi hanno visitato ho letto lo stupore degli specialisti. Il professor Chiò ha voluto che raccontassi tutto quello che mi è successo, senza omettere nulla. Era sbigottito, mi ha detto: "Non ho parole". Mi ha rimandato a nuovi esami, ma mi ha chiesto di sospendere le cure che stavo facendo. Poi, senza aggiungere altro, mi ha abbracciata. E ci siamo commossi. Lo ricorderò sempre nelle mie preghiere, sperando che presto si scopra una cura per la Sla».

Antonietta Raco ha ripreso a camminare il 5 agosto, di ritorno dal viaggio nella città pirenaica organizzato dall’Unitalsi di Basilicata e guidato dal vescovo di Tursi-Lagonegro, Francescantonio Nolè. Racconta la sua vicenda timidamente, quasi scusandosi per aver attirato l’attenzione di tanta gente: «A Lourdes non ho chiesto nessun miracolo. Ho pregato la Madonna perché mi desse la forza di vivere con dignità ogni istante che mi restava. Le vicende di Piergiorgio Welby e di Eluana Englaro mi hanno colpita: a queste persone hanno interrotto i sostegni vitali. Ho pregato perché non mi accadesse mai nulla del genere. La vita va vissuta sempre e comunque, fino alla fine. Ho anche pregato per una bambina del mio paese, anche lei affetta da Sla».

Subito dopo l’immersione nelle piscine del santuario francese, Antonietta è stata destinataria, dunque, di un "segno" che non ha chiesto. «Entrando in acqua sono stata aiutata da tre "dame"; due di loro si sono poi allontanate, una ha continuato ad assistermi, ma mentre lei era occupata ho avvertito la presenza di qualcun altro che mi sorreggeva il collo, ho provato a voltarmi e non c’era nessuno; ho accusato un grande dolore alle gambe, quindi un sollievo; è stato in quell’istante che ho avvertito da sinistra una voce femminile bellissima: era soave, tenera, leggera. Non ho mai udito niente di simile, solo a sentirla dava sollievo al mio fisico. Mi diceva: "Non avere paura, non avere paura". Ma io tremavo, di paura ne ho avuta tanta, anche perché quella voce la sentivo solo io».

Antonietta non ha confidato a nessuno quello che le è successo. Tornata a casa, in Basilicata, la sera del 5 agosto quella voce è tornata: «Ero seduta sul divano, a pochi metri da me c’era mio marito, quando ho udito molto chiaramente la stessa voce di Lourdes: "Chiamalo, diglielo, chiamalo". Io tra me e me rispondevo: ma cosa devo dirgli? E ancora: "Chiama tuo marito, diglielo". Allora ho chiamato mio marito Antonio e mi sono alzata sulle mie gambe, ho fatto dei passi, poi dei giri su me stessa; lui non credeva ai suoi occhi. E gli ho detto tutto».

C’è un desiderio che Antonietta coltiva da quel 5 agosto: «Ho tanta voglia di tornare a Lourdes, ma come volontaria per assistere i malati proprio come gli altri hanno assistito me».

 
 
 
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