Creato da Janus_13 il 05/12/2006

Janus Reloaded

Sulla via di Damasco

 

 

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Capitolo 2 : DOMANI 2° Parte

Post n°8 pubblicato il 28 Dicembre 2006 da Janus_13
 

Iz mi guarda stranito. E' il mio compagno di banco dai tempi delle medie. L'archetipo  dark-outcast : capelli sparati di un nero finto, occhi chiarissimi, magro come un chiodo, vestito solamente di nero.
Il classico tipo sfigatino che nessuno si caga al liceo, nessuno a parte me. Non che io concorra al premio di popolarità della scuola, ovvio.
Chiaramente Iz non è il suo nome. Si chiama Isahia, ma lui odia il suo nome e non riesco a dargli torto. Sì, i suoi genitori sono dei veri bastardi.
"Hey Al" mi dice guardandomi con la sua classica espressione da misonorimastitreneuronieunomiserveperrespirareeilsecondoperfarepipì "per un attimo temevo ti avessero rapito gli alieni".
"Non ti preoccupare. Se mi dovessero rapire, non mi porterebbero lontano. L'astronave precipiterebbe immediatamente per un guasto" gli rispondo con un mezzo sorriso.

Lezione di algebra con equazioni di secondo grado. Una metafora della vita. Ovvero come possono cambiare le cose se ad una serie di numeri ed operazioni assolutamente piatte e razionali inserisci una variabile.
E non una variabile qualsiasi, ma una che ha due soluzioni, entrambe corrette e giuste. Il problema è che non sempre le due coincidono.
Come si applica questo alla vita di tutti i giorni ? In nessun modo.
Ti aiuterà a trovare un lavoro, a fare soldi o a condurre una vita decente ? Assolutamente no.
A cosa serve praticamente ? A un cazzo.
E' chiaramente una delle mie materie preferite.

Faccio finta di non sentire i commenti delle oche sedute dietro di me che cominciano a ridere e starnazzare alle mie spalle.
Judith, Eleanor e Micaela. Novelle parche, solo che invece di avere un occhio e un dente in comune, queste hanno un cervello da spartirsi in tre.
Se non altro è un cervello buono, nuovo, ancora avvolto nell'imballaggio originale, sicuramente mai usato.
Le classiche persone il cui problema più arduo con cui si devono scontrare ogni giorno è se il colore dello smalto per le unghie si intona con la camicetta e continuare le proprie funzioni vitali senza doversi ripetere "inspira, espira".
Senza contare l'allacciarsi le scarpe, operazione che solitamente richiede grande sforzo intellettuale ai primati, figuriamoci a loro. Forse è per questo che usano stivaletti.
Sarebbe troppo stressante dover affrontare tutte le mattine "due e dico due" scarpe da allacciare.

Mi volto verso il mio compagno, sbirciando tra i suoi appunti. Come al solito sta disegnando. Che io ricordi non ha mai seguito una lezione intera. Si annoia. Ha talento ma non si applica. Un po' come me.
Sul foglio bianco, a fianco dell'equazione non risolta, un angelo sta prendendo forma. Rimango incantata a guardare la matita che delinea le ombre sulle grandi ali color graffite.
Talmente reali che quasi mi sembra di vederle muovere, come se si preparasse a volare fuori dal quaderno da un momento all'altro.
Iz è chinato sul foglio, con la lingua arricciata che spunta tra le labbra. Lo fa sempre quando disegna. Dice che lo aiuta a concentrarsi, ma l'effetto che ottiene è semplicemente quello di essere terribilmente buffo. Sorrido.
Nonostante tutte le sue stranezze, lui è stato l'unico a starmi sempre vicino in questi anni senza mai chiedere niente in cambio. Senza mai aspettarsi nulla da me. Senza mai giudicarmi. Anche quando dopo la morte di papà non sono stata esattamente miss simpatia.
Non mi hai mai detto stronzate come "il tempo cura tutti i dolori", "tuo padre rimarrà sempre con te", "ti sono vicino" o tutte le altre cazzate che le persone ti dicono in questi casi, con quel mezzo sorriso di circostanza saccente dipinto sul volto.
Lui mi è stato vicino coi fatti. E' l'unico che possa definire amico.
Le persone vanno e vengono, i sentimenti anche. Ma so che non mi libererò tanto facilmente di Iz. Non che io lo voglia, ovvio.
E' solo che a volte vorrei essere una persona diversa. Smettere di fare la dura, almeno con lui. Per una sola volta vorrei abbracciarlo e dirgli semplicemente "grazie".
Ma non ci riesco.
Domani... sì domani ci riuscirò.

Il suono acuto della campanella che suona per indicare la pausa pranzo mi perfora la testa come un trapano. E l'emicrania torna istantaneamente, neanche l'avessero spedita col dhl.
"Un diamante è per sempre" diceva quella vecchia pubblicità. Fanculo. Qui di per sempre c'è solo il mio mal di testa.
E sembra che il mondo intero si diverta a stuzzicarlo.
Comincio a sospettare di sapere cosa spinge i ragazzi ad alzarsi la mattina, fare colazione, imbracciare il fucile semiautomatico appena acquistato in un qualsiasi supermercato e andare a scuola con un programma preciso da campagna elettorale : più piombo per tutti.
Forse è quella fottuta campanella.

Cerco di trascinarmi fuori dalla scuola, con l'agilità e la prontezza di riflessi di un bradipo con evidenti lesioni cerebrospinali.
Mi gira la testa. E lo stomaco comincia a dare i primi segnali di voler fare espatriare al di fuori dell'esofago la colazione.
Cazzo, non sarò mica incinta ?
Poi faccio mentalmente i conti a quanto risale l'ultima scopata degna di tale nome. Quando mi accorgo di stare frugando nella memoria storica, abbandono l'idea.
Infiammazione cervicale, suppongo. Fantastico. Questa mi mancava.

Mi siedo sulla solita panchina nel cortile. "Tutto bene Al ?" dice Iz sedendosi di fianco a me.
"Ceeerto. Perchè ? Non vedi che sono in forma smagliante ?" rispondo sorridendo. La sua espressione si fa perplessa "A me non sembra", bufunchia.
"Heeeey Iz ? Sarcasmo... ironia... conosci ? Il solito mal di testa condito da scazzamento e sindrome premestruale".
A quella parola, la sua faccia si fa seria per un attimo, girandosi per frugare nello zaino, visibilmente imbarazzato.
La parolina magica. Gli uomini sono terrorizzati da quella parola. Retaggio atavico, credo.
Sono certa che potrei fare una rapina in banca, per poi essere arrestata e portata in tribunale. Ma se ci fosse un giudice maschio, basterebbe dire "avevo le mestruazioni" alla domanda "perchè l'ha fatto" e sarei immediatamente rilasciata con tanto di scuse ufficiali da parte del dipartimento.

La solita folla di decerebrati, rincoglioniti e oche giulive sfila davanti a noi.
E chiaramente tra questi c'è anche lui: Jordan, classico bellone con un ego inversamente proporzionale alle misure dei suoi due cervelli con cui sono uscita un paio di volte l'anno scorso.
E giuro, ha un ego spropositato. Non so se mi spiego.
E 30 secondi netti sono un tempo degno di un pit stop di formula indy.
Ride con i suoi amichetti talmente virili da far sembrare le twisted sisters delle icone di eterosessualità. "Guarda, la panchina dei morti viventi" dice indicandoci.
Automaticamente, come il cane che scodinzola non appena vede il padrone, il mio dito medio si alza. "Fanculo Jordan" gli urlo sfoderando il mio sorriso più falso e tagliente.
"Sì fanculo" fa eco Iz, guardandomi con la tipica espressione del bambino in cerca di approvazione dalla madre.
Sì, se non ci fosse bisognerebbe proprio inventarlo.

Il pomeriggio passa tra le lezioni di letteratura, chimica e attività ricreative, l'unica ora in cui io e il mio inseparabile "Robin" ci dividiamo.
Lui ha optato per disegno. Sta preparando un fumetto col quale spera di partecipare ad un concorso. La storia di un vampiro di nome Malcom.
Glielo censureranno sicuramente.
Troppi nudi femminili.
Io invece ho scelto fotografia. Papà andava pazzo per la fotografia, ne faceva a migliaia. Un'altra cosa che ho ereditato sicuramente da lui. Sulla pellicola, i momenti rimangono lì eterni, congelati, immobili. Non vengono scalfiti dalle parole, dalle persone, dal tempo. Nessuno li può rovinare.
Forse è semplice ricerca di certezze. Sì, Freud ci andrebbe a nozze con me. Direbbe qualche stronzata sulla mia infanzia e sul mio presunto complesso di Elettra con un'aria supponente, aggiustandosi gli occhialetti tondi e spessi seduto comodamente sulla sua poltrona di pelle nera.
Peccato sia morto. Mi toccherà affidarmi ad un medium per togliermi la soddisfazione di mandarlo all'inferno. Se non c'è già, ovvio.

La stramaledettissima, fottuta campanella ci tiene a sottolineare che le lezioni sono finite, almeno per oggi. Fantastico.
Esco lentamente. Tanto dovrò aspettare come al solito venti minuti prima di trovare un autobus "vivibile", dove si riesca a respirare e non si rischi di essere strattonati e spintonati per tutto il viaggio.
Iz mi sta aspettando fuori dal cancello, a bordo della sua bicicletta verde acido. Sì, BICICLETTA VERDE ACIDO. Forse è per questo che è ancora vergine. Lui non ha mai voluto prendere la patente. Dice che non gli serve. Cazzate. Secondo me ha paura, anche se non lo ammetterà mai.
Non che l'automobile sia più pericolosa della bicicletta a parer mio. Specialmente se è lui a pedalare. E poi, quando è ora è ora. Che tu sia a piedi, in auto o in aereo. Quindi tanto vale fare meno fatica possibile e affidarsi a un motore che lavori per te.
"Hey Al" dice avvicinandosi "stasera vieni al cinema ? Esce Sangue Nero, quel film di cui ti parlavo" "Iz, stasera non riesco" e appena finita la frase, riesco a leggere la delusione dipinta sul suo volto.
Ci andrei più che volentieri al cinema con lui. Ma sono ridotta ad un rottame marcescente e non credo di riuscire a fare altro che entrare in casa, mangiare qualcosa e infilarmi sotto le coperte con un bel libro, magari uno con tante figure in modo da ridurre al minimo lo sforzo.
Stoicamente, "Robin" tenta di cancellare quell'espressione dal viso. Non vuole farmi sentire in colpa. Normalmente mi incazzerei come una iena tenuta a pane e acqua da un mese. Nessuno può trattarmi come una bambina, ma lui è troppo dolce.
"Fa lo stesso" borbotta, abbozzando un sorriso "Domani sera va bene ?" dico quasi senza volere.
Sorride. Un sorriso vero, sincero, quasi sorpreso. "Sì è perfetto. A domani Al!" urla spingendosi sui pedali e partendo come un razzo giù per il marciapiede.
"Sì a domani" dico sottovoce tra me e me stessa avvicinandomi alla fermata dell'autobus.

Mi siedo sulla panchina, tenendo gli occhi fissi sul tabellone. Non so, forse mi aspetto un "Servizio sospeso per grave caso di sfiga conclamata". Oramai ci sono abituata.
E' che stasera proprio non riuscirei a tornare a piedi, se non strisciando come un moribondo nel deserto del Sahara.
Poi con la coda dell'occhio vedo lei. Non so come si chiami, ma ci incontriamo praticamente tutti i giorni qui. Avrà forse un anno in meno di me, non particolarmente filiforme con lunghi capelli rossi raccolti in una coda di cavallo, occhi verde scuro che mi guardano timidamente dietro a un paio di occhiali sottili.
L'abbigliamento è particolare, forse un po' antiquato. Ricorda vagamente il look di mia madre e giurerei che la gonna è dello stesso modello di una che lei comprò quando io ero piccolissima.
Come cazzo fa a portare la gonna ? Io non ci sono mai riuscita. Mi sento una deficente senza i miei jeans quattro taglie più grandi.
Sembra simpatica, forse un po' troppo timida. Magari si è trasferita da poco e non ha amici. Evidentemente ho la faccia da "S.O.S. Nerds".
La vedo mentre si mordicchia le labbra nervosamente. Vorrebbe parlarmi forse, ma qualcosa la frena. Problemi di socializzazione. Per fortuna arriva l'autobus. Oggi non sarei stata molto socievole. Decisamente.
Domani se sarò messa meglio, forse ci scambierò due chiacchere.

Il viaggio è traumatico. Spero di arrivare a casa prima che la testa mi possa esplodere o prima di svenire per il fetore che il vecchio ciccione maleodorante seduto di fianco a me spande nell'aria.
Mi appoggio al vetro, tenendomi una mano sul collo nella vana speranza che quel fottuto dolore cervicale possa essere arginato in qualche modo.
Missione fallita.

Scendo alla fermata di casa, oramai ridotta ad uno straccio.
Ho bisogno di un antinfiammatorio, un antidolorifico, un antichecazzotiparebastachequestofottutomalesparisca.
Devo arrivare solamente alla porta di casa, entrare e fare razzia dei medicinali. Tutto il resto può aspettare.
E come da copione, appena messo il piede in casa, la voce della belva "mia madre" raggiunge subito le mie orecchie.
Mi devo ricordare di comprare un paio di tappi per le orecchie così almeno posso riuscire a sopportarla per più di cinque minuti consecutivi.
Corro in cucina, afferro un paio di sandwiches a caso nel frigo, mi verso un bicchiere di latte mentre trangugio un paio di pastiglie a caso dal mobiletto dei farmaci.
Speriamo di avere scelto bene. Normalmente mi metterei a cercare di capire quale è il flacone giusto, ma qui è questione di sopravvivenza.
Devo raggiungere la mia stanza prima che arrivi il mostro "mia madre". Altrimenti potrebbero crescermi spontaneamente un paio di coglioni e immediatamente raggiungere la massa critica.
Collasserebbero su se stessi implodendo e creando un buco nero. L'intera umanità sarebbe spazzata via. Devo sbrigarmi. Ne va della vita di miliardi di esseri viventi.
Sì sto proprio male se mi vengono in mente queste immagini.
Devo correre a letto. Mi arrampico sulle scale cercando di non rovesciare il latte come al solito ed entro nella mia camera mentre sento l'arpia che ulula quando si accorge che la sua preda è fuggita.

Spero solo che domani arrivi presto.

 
 
 
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