Creato da Myway1958 il 15/05/2014

Yes...it was my way!

Il mio modo di avere un'anima, di "sentire" , di guardare, di fare , di ascoltare ...un'emozione.

 

 

« Ne ho viste cose....

Il jeans strappato....

Post n°74 pubblicato il 16 Marzo 2015 da Myway1958
 

Ho atteso abbondantemente che l'8 marzo passasse e venisse buttato, come spesso accade per tutto oggi, nel dimenticatoio della vita. Ho atteso tanto per ricordare a tutti che l’8 marzo non è affatto la festa delle donne, da festeggiare con banchetti al modico prezzo di un’illusione ma più propriamente è la "Giornata internazionale della Donna", che ricorre ogni anno, appunto l'8 marzo per ricordare sia le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne, sia le discriminazioni e le violenze cui sono state oggetto e sono ancora, in molte parti del mondo. Dal 1907 ad oggi c'è ancora tanto lavoro da fare...
Signori per favore si alzino in piedi...ogni qual volta passa una donna.
Spesso ci sono storie che dovrebbero sottintendere quel gesto per il semplice motivo che di fronte non abbiamo una semplice donna; davanti a noi c'è, semplicemente una Grande DONNA! Un'emozione pura! Immensa come la protagonista di questa storia....

Camminavi tenendomi per una manica. Sembrava quasi avessi paura di toccare il mio braccio e di rimanere da sola in quel prato, in quel giorno di inizio primavera; quasi temessi che io scappassi e ti lasciassi lì, da sola. Non ricordo quante volte mi hai ripetuto che io ero, praticamente l’unico uomo a cui avevi toccato la manica di una giacca. Quasi ne avessi vergogna di averlo fatto. L’unico uomo a cui eri riuscita a dare piena fiducia. Forse perché ero il tuo prof o forse perché non ti avevo mai guardato con gli occhi di chi ti aveva guardato mille volte e mille volte non aveva capito il modo in cui andava fatto. Eri fin troppo bella per non accorgersi di te ma, tu quasi rifiutavi quella bellezza, ne avevi quasi orrore. Eri inspiegabilmente triste quando si parlava di quella tua bellezza. Quasi presagivi in quale orrenda esperienza essa ti avrebbe catapultata. Eppure solo io ti infondevo fiducia. Ricordo mi dicevi: “tu sai di buono!” Non ho mai capito veramente fino in fondo cosa tu volessi dire e da cosa tu traessi tanta fiducia in me, anche perché non avevo che pochi anni più di te. Un giorno finalmente mi hai chiesto di accompagnarti in un posto dove da sola non saresti mai andata. Volevi solo trovare il coraggio di uscire da quella stanza a poco prezzo vissuta per anni, senza mai venirne fuori se non per correre all’università passando a piedi tra la gente.
Tu venivi da un mondo di fatto di prati, di fiori selvatici dai mille colori, di alberi sempre in fiore, di fieno, di cascine di legno e di paglia, dal caldo tepore della terra riscaldato dal primo sole del mattino, dalla rugiada sull’erba come diamanti dispersi fra le foglie ed eri candida come l’aurora dai profumi a poeti indescrivibili. Eri stanca di quella stanza buia e fredda e finalmente avevi avuto il coraggio di chiedermi: "ti prego prof accompagnami in uno di questi prati meravigliosi che circondano questa bella città. Io da sola non ci andrei e con amici e coetanei nei avrei quasi paura. Ti prego accompagnami tu". Pur non riuscendo a comprendere pienamente quella tua strana richiesta avevo il petto che mi scoppiava di gioia per quella fiducia e quelle emozioni che tu avevi riposto in me e quando mi prendesti per la manica della giacca, solo allora riuscì a capire tutto. Tutto il tuo candore….tutta la tua voglia di vivere una vita normale come tutte, tutta la tua paura di viverla ancora. Solo adesso so che sarebbe stato meglio che io ti avessi detto di no. Chissà se un giorno potrò mettere a tacere la mia anima che ancora oggi di tanto in tanto, nel silenzio della notte, mi sveglia, mi strattona e mi urla e vuole ancora spiegazioni se io abbia fatto davvero tutto per proteggerti.
Successe tutto in pochi minuti…urla: una, due, tre, quattro….cinque voci diverse. Urlavi anche tu, avevi capito! Non temere cara, se portano con loro solo le loro mani, come me, ti assicuro, torneremo a casa come siamo arrivati qui. Uno…due…tre…quattro….poi il buio! La testa mi scoppiava, il sangue mi riempiva gli occhi, le mani mi tremavano; la mia bocca era piena di sangue e fango. Dagli occhi chiusi dal dolore scorgevo ancora la tua figura a terra li distesa. Urlavo forte il tuo nome ma era assordante solo nella mia testa. Tu non mi sentivi, tu non reagivi più, tu non eri più su quel prato. Di colpo il silenzio. Tutto era finito in pochi luridi minuti. Con la mia maschera di sangue mi inginocchio e guardo verso te. Riesco a gridare il tuo nome…. E tu…”nulla prof, stia tranquillo, pensi a lei, io non posso alzarmi ora, mi dia un minuto per ricompormi, sono caduta e …mi si è strappato il jeans”. Avrei preferito mille maschere di sangue, mille botte in testa, mille occhi tumefatti e mille voci spezzate dal dolore purchè tu non avessi mai avuto ….quel jeans rotto su quel prato!

Non so dove tu sia oggi, se hai dei figli, se hai un compagno. Spero solo che tu sia serena perchè la tua felicità l'hanno fatta a pezzi quel giorno su quel prato quando rubarono per sempre il tuo sorriso, ed in quella tua serenità, tu possa perdonarmi un giorno perché non seppi avere cura, fino in fondo, di quel tuo gran bel…jeans.



 
 
 
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