Creato da Myway1958 il 15/05/2014

Yes...it was my way!

Il mio modo di avere un'anima, di "sentire" , di guardare, di fare , di ascoltare ...un'emozione.

 

 

Dimmi di questa malattia...

Post n°69 pubblicato il 22 Settembre 2014 da Myway1958
 

Ero al mare, come tutti questi ultimi we, con i miei ragazzi; ed Ale, mio figlio, 16 anni, sempre spavaldo e fiero della sua età e delle sue conquiste amorose mi fa una domanda strana e molto particolare. Dovete sapere che quando il fatto è ludico, leggero, senza importanza mi chiama Marco; quando invece è serio e gravoso mi chiama papà.
Fatta questa premessa vengo al "fatto". Eravamo a riva, quando ad un certo punto mi sento appellare, da mio figlio: "papà". Oh cazzo....penso tra me e me...il fatto deve essere serio. Mi vesto subito di armi potenti quali la pazienza e la predisposizione all'ascolto e alla tolleranza, lasciando a riva le mie manie omicide, che vengono fuori quando sti' ragazzi generano, senza motivo, ossessioni e angosce, con i loro drammi atavici esistenziali. Dico...dai Ale....sputa il rospo! E lui: mi parli di questa cazzo di malattia? Credevo si riferisse al male del secolo (il cancro) e mi chiedo da dove gli uscisse quella domanda. Inizio a preoccuparmi. Mi armo della dolcezza più antica e struggente e chiedo se si riferisse, appunto al cancro. Lui mi ferma subito e mi dice: "ma no...non vorrei mai sapere di una malattia, oggi curabile, nella maggior parte dei casi, su cui sono stati versate miliardi di parole e di scritti. Io parlo di quella malattia incurabile e devastante che prende solo...il cuore: l'amore!" Ahia!!! Il fatto è serio, davvero! Rispondo: "E come è sto' fatto mò? Tu sei stato quello che fino a ieri ha deriso chiunque fosse innamorato e si distruggesse per amore e adesso....ne sei preso e perso anche tu, fino a starci male e a rivolgerti a me? E lui: "Papà....tu ne hai vissute tante...ti ho visto ridere, piangere, sbattere la testa contro il muro, mille volte e poi ti ho visto ritornare sempre al sole; papà fa un male boia, cazzo! Fa qualcosa...aiutami! Credo che tu possa farlo....credo che tu...DEBBA farlo!" Rispondo: "Ale...io da solo non potrei mai farlo, purtroppo non ne sono capace. Sono solo un uomo, figlio mio. Uomini molto più grandi di me ci hanno provato nel corso della storia e del tempo e, sono tutti impazziti; chiunque ci abbia provato è impazzito. E' una malattia dolcissma, molto comune, contagiosissima, al momento non si conosce cura. La devi solo accettare e viverla pienamente sulla tua pelle, dentro ai tuoi occhi, fra le tue mani, nella forza della tua mente e nel calore del tuo cuore...senza mai farti domande. Una cosa posso dirtela, però. Se farai esattamente (quello che leggi in questa foto)

quel "male" forse sarà più intenso, più profondo, più stupendamente devastante ma, sarà senza dubbio più sopportabile e ti devasterà il cuore un po di meno....ma solo un po....figlio mio!
Ale si alza...mi guarda ancora ed io gli dico: "dove vai figliolo?" Da nessuna parte Marco...Ne so solo un po di più....ma solo un po!  Ciao figliolo....


La più dolce e la più struggente delle malattie......

 
 
 

Amore e Psiche....

Post n°68 pubblicato il 19 Settembre 2014 da Myway1958
 

Nella notte dei tempi la dea Venere si trovò a scatenare violenze su una città greca per la bellezza straordinaria di una fanciulla di nome Psiche. I cittadini, intimoriti da quelle violenze di Venere e per mettere fine alle stesse decidono di sacrificare la giovane e bella donna Psiche per ingraziarsi la protezione della divinità ma, di notte, mentre la ragazza aspetta su un'altura, rassegnata e piangente, la sua sorte, ecco che dalla volta stellata scende Eros, il dio Amore, per salvarla, innamorato della sua immacolata e straordinaria bellezza non solo fisica. Questi porta la ragazza nel suo splendido palazzo d'oro e passa con lei giorni meravigliosi e intere notti di intenso amore. Eros però raccomanda a Psiche una sol cosa: di non guardarlo mai in faccia altrimenti lei sarebbe tornata alle sue misere condizioni di umana vulnerabile e oggetto delle ire di Venere. Psiche promette ciò al sua amato, ma una sera, vinta dalla curiosità si avvicina con una candela al volto di Eros e inavvertitamente fa cadere una goccia di cera fusa sulla sua spalla. Il dio si sveglia e scompare via per sempre. Psiche ora è veramente distrutta, non sa a cosa pensare, non sa rassegnarsi alla perdita di quell’amore. D’altronde lei cosa aveva fatto di tanto grave. I suoi giorni sono scanditi da una tristezza sempre più profonda, perché non si rassegna alla perdita dell'uomo che ha amato ed in cui aveva creduto e riposto la sua vita. Ma, come la vita ama fare spesso, nel momento di maggiore sconforto incontra, sulla sua strada un umano, un suo simile: Aenemos, che inizia a parlarle col cuore, a cullarla con l’anima e comprendere pienamente i suoi dolori, a gioire delle sue risate e a viverla con rispetto. Psiche, man mano che i gironi passano si accorge che quel ragazzo era più di un dio. Eros, d’altronde cosa aveva fatto? Si, l’aveva salvata da morte sicura, ma per possederne la sua totale bellezza; le aveva imposto la sua identità, ordinato di non guardarlo mai e costretta a subire la sua pazzia. Però lei, nonostante questa razionalizzazione di quelle imposizioni di Eros....lo aveva amato e le rimaneva dentro un ricordo sempre vivo di quello che avrebbe potuto avverarsi e diventare realtà. Non altro. Aenemos invece l’aveva trattata da donna, le aveva preso il cuore, senza chiedere nulla in cambio, senza condizioni. Si, Aenemos era l’uomo che l’avrebbe amata per tutta la vita. I giorni scorrevano felici, sereni e Psiche veniva presa sempre più da quell’idea di libertà dell’amore e di serenità senza costi. Ma un brutto giorno, mentre la sua vita, con Aenemos, scorreva felice; Eros manda dei segnali, segnali ambigui, non chiari. Lei vacilla ma, non sull’amore. Il suo amore...il suo cuore è ormai di Aenemos e non c’è nulla al mondo che la stacchi da qull'uomo. Allora perché quel suo atteggiamento? Solo la sua grande anima l’avvicinava ancora a quel dio che l’aveva amata, un giorno, su cui lei voleva costruire la sua vita, la sua faccia triste di uomo solo, perché la bellezza di Eros lo conduceva sempre ad una triste solitudine. Quel suo vacillare quindi era un mix di sentimenti che solo poche donne potevano avvertire: sensibilità, nostalgia, ricordi, tenerezza, senso di pietà, senso di protezione, istinto materno per un dio che in fin dei conti era un bimbo capriccioso che ispirava solamente tenerezza e senso di protezione per la sua solitudine e per la sua ira. Questo suo atteggiamento però doveva terminare, in poche parole non voleva più che Eros la importunava con irritanti quanto incomprensibili e puerili segnali. Cosa voleva farle credere? Egli conosceva bene l'anima e la disponibilità di Psiche e sapeva altrettanto bene che quel tempo in cui l'amava era terminato e non poteva ritornare mai più. Quindi perchè quei segnali? Forse non voleva che Psiche vivesse un nuovo amore, una nuova vita, una ritrovata serenità? La voleva immaginare sempre soggiogata alla sua immagine, sola, a ripensare ai giorni andati? Allora Eros non era affatto un dio, non un dio buono. Egli dunque non doveva far più leva sulla sua bontà, mettendola in difficoltà solo per il suo altruismo e senso di pietà e tenerezza. Doveva darle serenità di vivere la sua nuova vita. Lei amava Aenemos. Lei non voleva più ricevere quei segnali da Eros. Glielo doveva far sapere, glielo doveva dire. Ma lui non si concedeva agli umani. Lui non poteva essere guardato per la sua bellezza. Lei allora sperava nei suoi silenzi ma, lui puntualmente, come si accorgeva che i sorrisi di Psiche e di Aenemos riempivano la volta celeste, divorato da quel suo egoismo, riprendeva la sua azione di “turbamento” spietato colpevolizzandola di qualunque cosa, anche della neve del nord nelle idi di marzo; insensibile di cosa poteva provocare in Psiche o talmente cosciente di quello, che continuava a farlo per punirla della sua disubbidienza. Psiche esausta, stanca, affranta, sconvolta da quei comportamenti, non potendo più consentirlo oltre, prima di raccontare tutto al suo nuovo amore: Aenemos, decide di incidere su una roccia che dava sul mare, un messaggio chiaro per Eros; un messaggio intriso di tristezza e di ricordi, che salvaguardasse Eros, per la sua frustrazione di devastazione, nel momento in cui lo leggeva ma, allo stesso tempo chiaro e deciso come il sole. E scrisse queste struggenti parole: "Ti prego mio dio, a te devo la mia vita, e la mia riconoscenza per quel dono, sarà viva nei miei ricordi, per ogni giorno che vivrò. Il tempo di noi è ormai trascorso e niente...NIENTE su questa terra ritorna uguale a prima, come forse avviene, lassù da te, o solo nella tua mente. Se tu, mio signore, mi hai amata almeno un alito di quell’amore che avevo regalato a te, ti prego ritorna per sempre nel tuo olimpo, vai via per sempre dal mio essere umana e donna comune, dammi serenità di vivere il nuovo amore; quello di un uomo che adesso vive perché son viva che di quella vita devo a te. Vai via per sempre e sii fiero di quella tua natura. Ti prego dio di un tempo ormai andato. Va via, per sempre...e se non lo comprendi adesso, che le tenebre del tempo avvolgano, per sempre, gli ultimi bagliori della tua ragionevolezza e ti conducano in un oblio che ti dia pace, serenità e lunga vita. La mia, adesso, è ....altrove!
(Libero riadattamento del mito Amore&Psiche)
La morale di questo lunghissimo racconto è molto semplice: la mancata tempestività degli esseri umani. Ovvero l'assoluta mancanza di consapevolezza di capire quando è giunto il momento di ritirarsi; quando è arrivato il momento di fare un passo indietro e farlo con serenità perchè il proprio tempo è terminato; quando riconoscere un errore commesso assumendone la paternità e chiedendo di essere scusati; quando ammettere, riconoscere e RISPETTARE la volontà di un proprio simile; quando amministrare e valorizzare, nella stessa misura, tanto il proprio coraggio quanto la propria paura ...ed infine quando i propri silenzi diranno più di mille parole....inopportunamente pronunciate per non smarrire, per sempre, quell'ultimo barlume di rispetto e dignità che ci lascia il diritto di essere chiamati ancor
a....UOMINI!

Questa "favola" è anche per il mio amico Jonathan....Che ne possa trarre gli insegnamenti necessari per essere definito, un giorno..."UOMO"! Ma io credo che lui sia già un.... ometto!
Fai il bravo eroe....
....il tuo amico Marco.

 





 
 
 

Sei tu....

Post n°67 pubblicato il 11 Settembre 2014 da Myway1958
 
Tag: Sei tu

E' lei che...mi ha rubato il cuore...
Hai cercato in tutti i modi di distruggermi e tutto sommato ci sei riuscita.
Chi tra noi due ha sbagliato di più? Tu a cercarmi o io a leggerti o a risponderti? Coasa importa saperlo, adesso? E di noi che cosa resterà? Sei geniale nel fare del male. Programmare quello che è il dolore negli altri, come se da quel dolore tu traessi linfa vitale, nuova energia.
E quasi ti diverte e spari, spari su chiunque sia sereno, sia felice. Ho provato...Oh si, quanto ci ho provato a dirtelo...a fartelo capire...a dirti di fermarti...che in te c'era qualcosa di buono, ho dimenticato quello che mi avevi fatto in precedenza; ho provato a cancellare tutto, tutto il tuo passato, sentendomi vicino a te perchè accomunato da un grande dolore. E adesso so che solo esso ha vinto su di me...non tu...non la tua tua natura. Caldi brividi, fredde lame oramai di un inverno che, che, per me, non finirà mai. Ora non ho più la forza di raccogliere quello che resta di noi due e del nostro bel rapporto che è iniziato ad incrinarsi grazie alla tua presenza, non mi volterò più stavolta per cercarla...La mia storia finisce qui...con lei....grazie a te.
Spero solamente che per lei ci sarà tempo per ravvedersi, comprendere ciò che è stato ed essere in tempo per tornare indietro, trovarmi ancora li, fermo in quella stradina, appoggiato alla mia macchina, ad aspettarla come sempre e....non "impazzire"!


E lei....

 
 
 

Il nostro peggior nemico...il nostro miglior maestro!

Post n°66 pubblicato il 11 Settembre 2014 da Myway1958
 

Perché non riusciamo ad accettare un’esperienza vissuta rivelatasi un fallimento e a perdonarci di aver commesso un errore.

Quanti di noi sono profondamente ipercritici nei propri confronti. Non riusciamo a non pensare e a riflettere su ciò che è stato, su ciò che abbiamo vissuto, in special modo se siamo coscienti di aver commesso un errore.; non riusciamo a farcene una ragione, non riusciamo a smettere di ipotizzare a come poteva evolversi quella situazione se solo avessimo agito in altro modo, magari stando più attenti, se avessimo posto più impegno nel relazionarci con essa, se avessimo avuto più coraggio...
Non riusciamo a farcene una ragione, non riusciamo a dirci “sono un essere umano e pertanto sbaglio”, “a me, come a qualsiasi altro essere umano può succedere di sbagliare” eppure il nostro atteggiamento non può essere quello giusto. Non possiamo rimanere angosciati dalle nostre “porte chiuse” ed essere severi con noi stessi e rimanere “incazzati”, “delusi”, “feriti” con noi stessi per chissà quanto tempo e “rovinarci” i giorni che stiamo vivendo e “trasmettere” involontariamente malessere a chi ci è accanto: genitori, figli, compagni, parenti, amici.
Ognuno di noi è il peggior giudice di se stesso... Per l’amor del cielo un pò di autocritica va bene ma l'eccesso che angoscia e paralizza no. Il nostro super-Io, o “superbia”, ci impone dei modelli d'eccellenza che potrebbero andar bene per gli dei, non per gli uomini. Valutando a posteriori tutto le azioni che non portano al risultato sperato possono esser considerate errori, ma lo sono veramente? Non sarebbe più appropriato dire che esistono tutta una serie di circostanze che esulano od addirittura ostano al nostro volere o fare?
Quando la nostra mente si scatena coi suoi infiniti " se..." e non riusciamo ad accettare di aver commesso un errore di valutazione, non ci struggiamo per giorni, mesi, anni. La risposta è qui, semplice, senza dover fare chissà quali “giri” ed elaborazioni psicostrutturali pericolosissime, che ci porterebbero a “non accettarci” e cadere, e ad “incartarci” nell’assurdo del comprendere. Proviamo, invece a risponderci, semplicemente in questo modo: "ormai è andata così, proverò a stare più attento e a far meglio la prossima volta!" In questo modo, il “perdono” di noi stessi arriverà prima a livello inconscio e poi razionalizzato, e l’accettazione dell’errore ci fortificherà perché con quelle semplici, “umane” affermazioni “siamo scesi dall’olimpo del nostro es”, “siamo diventati mortali”. In quel modo non abbiamo fatto altro che accettarci come una persona normale, che commette errori, come tutti e non come una che dev'essere immune e a tutti i costi, quindi migliore delle altre.
Per uscire dal tunnel delle domande, dei “perché”, dei “come”, dei “ma”, dei “se” la strada è una sola. MAI isolarci, appartarsi, stare da soli, vivere nei silenzi della “nostra stanza buia” giustificando questo atteggiamento introspettivo con un modello egoistico di ansia di risposta o per evitare che gli altri ne abbiano a soffrire. Gli altri non ne soffrono! Vhi ci ama ci comprende… chi ci odia se ne frega, a chi siamo indifferenti ci sarà indifferente. La soluzione è vivere in mezzo alla gente, con i nostri genitori, i nostri figli, i nostri compagni, i nostri parenti, i nostri colleghi, i nostri amici amici, con il bottegaio sotto casa. Ognuno di essi ci darà, inconsapevolmente, un imput che ci “guiderà” verso l’”accettazione”…verso la razionalizzazione, verso la “nuova vita”. C'è un lato positivo nell'incontrare sulla propria strada aspetti negativi della realtà esterna. Così scopri meglio la natura della tua mente. Se vieni messo in una situazione disastrosa saprai solo da questa ciò che emerge dentro di te, sei consapevole di quel determinato aspetto di te stesso. Un uomo solo seduto in una caverna fa più fatica ad essere cosciente dei suoi limiti; mentre vivere in mezzo alla gente, a chi ci è sempre accanto, a contatto con la realtà di tutti i giorni è una grande forma d'insegnamento. Se si guarda la vita da questo punto, il nostro peggiore nemico … diventa il nostro migliore maestro.
E…. i prossimi giorni…i prossimi mesi….i prossimi anni, statene certi, saranno….i migliori della nostra vita!
(da....appunti di psicologia generale)

 

Si...i migliori anni....della nostra vita!


 
 
 

Femminilità....

Post n°65 pubblicato il 09 Settembre 2014 da Myway1958
 

Lo stereotipo emozionale, sessuale  e psicologico delle femmine inizia quando il ginecologo dice: "È una femmina" ma femmina non si nasce...femmina si diventa e quando si diventa femmina si comprende l'universo DONNA che le appartiene e di cui si sente parte. 

 

Lei...She...

 
 
 

OGGI...MARCO....

Chi bussa alla mia porta deve sapere
bene quale vorrà aprire. Perchè solo
così potrà riempirmi il cuore di felicità.
Senza quella consapevolezza, vi prego...
...lasciatemi nei mie sogni.

 
 

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