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Foglie e viole

Post n°17 pubblicato il 25 Febbraio 2008 da polilitio
 

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Thèja manìa ...chiamava Platone la spinta creativa dell'Artista, di ogni parlante, direi, di ogni utente ed agente o 'attore', fattore ... direbbe un dantista, e ... psykhès jatrèja ... medicamento, laboratorio terapeutico, consolazione dell'anima chiamavano una volta la ... Bilioteca, che in italiano ha un nome sussiegoso ed è frequentata dai saggi, dai veri ... Medici dell'Anima, come ben sapeva anche Seneca ... 'Mater, ad poèmata et Auctores redi ... ad artes liberales ... litterae ... sanabunt vulnus tuus ... Mamma ... lèggi i racconti dei Poeti ... torna alla letteratura ... questa ti guarirà ogni ferita...' ...

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L’arbitrarietà quindi del segno linguistico, ossia la sua aleatorietà, affidata ad un tacito e labile patto fra parlanti, è la sua legge più forte.

Ne consente la creatività e ne differenzia gli elementi permettendone la conservazione nel sistema che si basa sulla differenziazione che ne rafforza la memoria.

L’unica vera legge per chi parla è l’improvvisazione su norme e significati convenzionali, capaci di continue mutazioni per improvvise mode, per situazioni e fatti ‘eclatanti ed epocali’ che influiscono sulla semantica spesso con effetti comici e imprevedibilmente impropri.


Ma si sa che … vox populi … vox Dei …


E proprio il termine ‘voce’ è usato per indicare e determinare un campo semantico.

Che comunque è assai vasto, mentre il parlante, anche esperto, ne percorre un ristretto margine.

Così si dice ‘tasse’ quando si deve dire ‘imposte’.

E si insiste col voler far pagare le tasse, rischiando di entrare in conflitto di interesse con i legittimi interlocutori economici, che sono i tassi.

Ma non quello d’interesse.

Insomma, a parte le battute apotropaiche, se ne dicono di belle, quando si parla.


***

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Certo, i responsabili maggiori della babele linguistica sono proprio gli addetti ai lavori, gli scrittori ‘di qualità’, quelli alla moda o ‘alla mota’, gli informatizzati ed i computerantropi, pieni ormai solo di abitudini conformi alle macchine elettroniche, i politici, che spesso sono solo un po’ litici.

Riescono spesso a creare più confusione questi pochi astronauti della kiakkjera che tutto l’equipaggio, spesso occupato in attività di lavoro assai importanti.

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Una sera di febbraio era nella biblioteca della grande scuola.

Scriveva appunti su un vecchio computer.

I due computers della teka erano divevtai suoi amici, veri parenti.
No erano nuovi, avevano un aspetto vecchiotto ed un monitor grosso.
Uno dei due aveva lo schermo più grande.

Lo preferiva.

Non era certo un Omero dei libri, ma la sua vista aveva bisogno d’essere aiutata.

Faceva freddo, in biblioteca.

Lo aveva fatto notare in diverse lettere, tutte protocollate e conservate in segreteria, ma nessuna risposta esplicita gli era ancora arrivata.

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Nelle lettere proponeva un modello di biblioteca come lui lo vedeva, basato sulla sua esperienza, sulle letture, sulle ricerche da lui fatte a proposito.

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Sosteneva anche la necessità di provvedere alla stesura d’un regolamento che facilitasse e chiarisse le operazioni di biblioteca.

Talvolta specialmente i docenti si presentavano nella grande stanza dei libri per depositarvi oggetti come in un guardaroba di teatro, o per segnare i loro buffi segnetti sui registri blu o amaranto.

Insomma, proprio gli insegnanti davano un esempio tiepido, non leggevano i libri, li lasciavano dormire negli scaffali, non integravano con nuove entrate il patrimonio dei volumi ...

Ma per fortuna c’erano gli Alunni, che spesso prendevano in prestito i libri e li riportavano regolarmente, senza aspettare anni, senza perderli, come qualche insegnante.

***

Per la biblioteca la scuola non spendeva neppure un centesimo, lesinava carta, inchiostro, qualsiasi assistenza informatica, tanto che il bibliotecario praticamente doveva finanziare le spese indispensabili, addirittura progettando di comprare i registri di prestito, visto che a scuola non era possibile registrare i prestiti con i vecchi progranni inseriti nei computers e nemmeno era possivile avere dei registri acquistati dalla presidenza e dalla segreteria.

Ma se fosse andato via all’improvviso, avrebbe dovuto lasciare il bel registro, comprato da una ditta di Parma e arrivato con un corriere, alla scuola, quando questa prorpio non lo meritava?

Era una semplice bagattella.

E il masterizzatore?

E i libri di cui non era provvista la scuola e che lui aveva comprato girando il pomeriggio fra le librerie della città?

Avrebbe a poco a poco riportato totte le sue cose a casa, anche perché non le sentiva al sicuro, visto che mezza scuola ameva le chiavi della stanza e trovava sempre le cose spostate, specie i computers, che del resto registrano ogni operazione, a sapere ben guardare, e aveva trovato più di una volta qualcuno a giocare a carte, con i poveri vecchi computers.

Questo non poteva certo approvarlo, in nessun modo.

Non avrebbe più controllato nulla, se avesse aperto la porta ai giocaioli, ai cercatori di siti d’ogni genere.

Le ricerche voleva fossero tutte lecite, per una questione di principio prima ancora che per correttezza verso l’apprendimento che non è vassallo dell’eccessivo atteggiamento ludico emozionale, pur richiedendone una parte.

***

Di sera, prima che lui se ne andasse a casa, verso le dieci e mezza, quando i rumori erano quasi spenti nella grande casa degli alunni, mentre i colombi e le tortore, i passeri e le capinere già da ore dormivano con il capo sotto l’ala, mentre i pini tacevano e l’aria era immobile sotto una luna ridotta a una piccola falce, la grande Stanza dei Sogni si popolava, dai libri uscivano piano gli autori, e intrecciavano conversazioni, a volte accese, ma non certo violente.

Le loro conversazioni erano misteriose, per il loro amico bibliotecario, perché la stragrande maggioranza dei libri da cui sortivano erano di economia.

E per di più erano di qualche anno prima, non seguivano le ultime, farneticanti dottrine economiche.

Gli informatici erano un gruppetto e se ne stavano appartati.
Senza poter usare il computer si sentivano finiti.

Gli era stato concesso di usare le macchine più vetuste, i vecchi patanfloni, che erano a loro disposizione tutta la notte.

Quei computers erano i più efficienti, visto che li usavano i migliori esperti di informatica.

***

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Non erano molto potenti, ma erano in rapporti di posta elettronica con i centri culturali, politici ed anche religiosi più evoluti del paese.

Una sera, quando mastro libraio stava quasi per andarsene, dopo più di dodici ore di biblioteca, accanto all’interruttore della luce e la centralina del sistema antiallarme, in una nicchia fra lo scaffale dei vocabolari e l’entrata aggettante della grossa porta antincendio, vide un signore vestito come un maremmano d’altri tempi, con stivali e stoffe di fustagno, corpetto nero e camicia di velluto.

Aveva un grosso cappellone da buttero …

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‘Buonasera … sono Pierini … Benedetto Pierini …’.


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Beniamino guardò con simulato stupore l’uomo ben piantato, solido, quasi solenne.

Era uscito da un libro che narrava la sua biografia, la storia d’un maremmano molto ricco ma anche generoso, morto ancora giovane per un malore improvviso, una polmonite.

‘Vorrei, per favore, sapere se in questa città sono stati costruiti quegli apparati che mi riproponevo.

Mi interessai della costruzione di abitazioni per i miei coltivatori e persino ... d’un cimitero per i nostri Morti ... e d’un lazzaretto ... un ricovero ospitale per i malati.

Vorrei sapere da te, giovanotto, se queste cose ci sono, se le hanno costruite …’

***

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Beniamino lo guardò.

Benedetto era il benefattore che aveva favorito la nascita della Misericordia.

§§

‘C’è il cimitero della Misericordia.

Ma Lei non è lì, Benedetto, perché dopo una pestilenza fu gettato in una fossa comune’.

§§§

‘Si … figliuolo … è così … volevo sentirlo dire da uno che si è commosso leggendo la mia storia’.



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‘Quanto al lazzaretto … ora c’è un grosso ospedale della Misericordia …

Signor Pierini, anch’io sono stato curato lì per qualche malanno … dobbiamo tutti ringraziarLa …’.


***


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Benedetto annuì soprappensiero.

‘Vivevo qui a Roseto, tanti anni fa.

La mia casa, confortevole, era al centro della città.

Vivevo solo.

Mia sorella aveva sposato un senese.

Mi dedicavo alla cura delle mie terre, un possedimento vasto, vario.

...

... D’inverno percorrevo a cavallo la maremma, dalla mattina presto, con la nebbia azzurra e il freddo che ti fermava le mani, col vento che soffiava dal nord, lungo i canali diritti e immobili, con i gabbiani che venivano dal mare, i piccioni e i falchetti ...


Mi fermavo ai casali e mi informavo dai fattori sull’andamento della terra.

D’inverno non tutto si fermava.

Gli animali forti e solidi degli allevamenti vivevano al coperto e la produzione dei latticini era intensa.

Poi, ad aprile la campagna si ridestava, gli alberi mettevano le foglie, l’aria si faceva più dolce, infine a maggio il caldo cominciava ad avere il sopravvento.

Durante l’estate i campi assumevano l’aspetto caratteristico della maremma, con il grano maturo, giallo, l’orizzonte blu, nitido, i nuvoloni lontani, i cavalli che pestavano e quasi macinavano il grano per separarlo dalla pula.

Nei lunghi pomeriggi invernali, mi dedicavo ad organizzare istituzioni benefiche a favore della cittadinanza.

Insomma, vivevo solo, ma non vivevo per me.

Poi un giorno mi ammalai, ancora forte e giovane, e nonostante le cure morii.

Ora di tanto in tanto ritorno nella mia città, che è diversa dai tempi in cui io l’ho abitata.

Cammino piano nel corso, arrivo a piazza del Sale, giro sulle mura, entro nel Duomo.

Mi piace passeggiare per la parte vecchia di Roseto, perché mi ricorda il mio tempo, quando c’era ancora l’estatatura e per le strade giravano i carri con i cavalli.

Ma adesso debbo andare … mia sorella e suo marito mi aspettano … arrivederci, professore … e non si abbatta se le biblioteche scolastiche sono dimenticate … coltivi la sua dimensione personale, e si ricordi che gli uomini, anche qui, dimenticano per far spazio nel loro cuore e alla fine spariscono anche loro, del tutto, senza lasciare grosse tracce.

Si ricordi di me, che ho fatto costruire un ospedale e un cimitero, ma non ho trovato posto per le cure e per la sepoltura …


E mi scusi per questo accenno così triste …’.

Il buon don Benedetto svanì accanto alla centralina antincendio.

Nella biblioteca gruppi di autori parlavano fra loro.

Mancavano D’Annunzio, Montale.

Non c’erano libri di questi autori.

I moderni, poi,mancavano del tutto.


Con leggerezza sedevano sulle umili sedie.

Pianissimo appoggiavano le braccia ai tavoli.

In un angolo, Foscolo e Leopardi parlavano fitto di bipolarismo letterario preromantico.

Sapevano di essere stati definiti preromantici, e ne sorridevano,

Una ingenuità dei critici.

Leopardi era quasi sorridente di fronte alla gaiezza irruente del cantore ellenico.

Ma il più interessante era senz’altro lui.

Durante degli Alegherii.

...

‘Sommo … cosa stai pensando così intensamente …?’

‘Messere … cogito dell’omini e de li peccata sua …’

‘Sai, ho lavorato per molti anni in una scuola che portava il tuo Nome …’

‘E ora, non lo porta più ? …’

‘Ora si appella con diverso nome …’

‘E come? …’
‘Altrui scale’.

‘Capisco, per via della gente che se ne va via da esso …’

‘Cosa posso darLe, Maestro? …’

'Mi dia un libretto di poesie, pubblicato in una terra dolce e gradevole, a me cara … le Foglie del Nespolo, che mi pare Tu stesso abbia scritto …’

‘Subito …’

Così passa buona parte della sera.

Il professore sbriciola alcuni pacchetti di biscotti per i pettirossi, le capinere, le tortore.

Lo faceva anche la mattina sul muro che separa la sua

scuola dalla scuola elementare di fronte.

Le tortore e i piccioni lo aspettanovano, la mattina, camminando sul muretto.

‘Sono la mia classe …’

‘In fondo ho sempre degli Alunni, e i miei Alunni … volano …’

Pensava lui...

§

Rosetum, martedì 6 giugno 2007


Genn ... Gennaro di Jacovo

§

... citr mìa Pretavnniend ...

krish sand e guard'anniend...

shabbnditt Kambwash...

Cashtllucc loc'abbash

k'rr kor ... ess i mò pass

e mo song... komm' e' zzass



§ §§

§§

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Data di creazione: 12/02/2008
 

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