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La casta dell'acqua

Post n°46 pubblicato il 03 Giugno 2010 da livello2010
 

A novembre il Parlamento ha vietato al potere pubblico (Province e Comuni) di gestire da solo acquedotti, fognature e depuratori. La “casta” ha imposto questa manovra, ancora una volta, con regole scritte in modo ingarbugliato, ma con una mira perfetta: paiono “cucite” addosso a certe lobby. L'acqua, dono di Dio a tutti, viene sempre più ceduta dai politici a pochi prepotenti giganti economico-finanziari, gettandola nell'orgia delle speculazioni finanziarie, come quelle che hanno generato la crisi globale iniziata nel 2008.

I Telegiornali non ne parlano, e se fiatano non dicono come stanno davvero le cose. I politici ed altri tecno-burocrati dicono che la nuova legge sull'acqua è un grande passo avanti per migliorare il servizio in Italia e che non è privatizzata l'acqua, ma il servizio.
Una finezza che non convince nessuno: sì, le reti restano sulla carta in mano pubblica; ma il controllo vero è in mano ai privati, di solito stranieri. Come dire: «L’acqua è tua, ma me la paghi al prezzo che faccio io, come e quando dico io». E le bollette sono infatti i privati a deciderle, spesso collegati ad inflessibili banche ed azionisti che investono in questo nuovo petrolio del 2000.

Già adesso sulle acque degli italiani in molte parti le decisioni vengono prese a Parigi, sede delle due principali multinazionali che si sono spartite il business idrico in Italia.
Una proposta di legge di iniziativa popolare per custodire l’acqua come bene e diritto unversale, anziché merce, e sotto il pieno controllo del potere pubblico e dei cittadini è stata firmata da oltre 400mila italiani. Una iniziativa storica. Basti pensare che ne bastavano 50.000 di firme. Tutto ignorato.

E mentre la maggioranza degli italiani si trastulla con le amenità berlusconiane, rischiamo di finire come la Bolivia…

A Cochabamba, 2500 metri d’altezza sulle Ande boliviane, l’acqua è un bene scarso e prezioso. Solo il 55 per cento degli abitanti ha accesso per qualche ora al giorno alla vecchia rete municipale. Il 20 per cento la attinge da pozzi e raccolte d’acqua piovana. Il restante quarto, la gente che vive nelle zone più povere, fa ricorso alla distribuzione con le autobotti. È impossibile irrigare le terre circostanti. La necessità di migliorare l’approvvigionamento idrico diventa impellente. La Banca mondiale si rifiuta di prestare garanzia per un prestito di 25 milioni di dollari, se non a condizione che il governo venda il sistema pubblico delle acque ai privati.

Ad aggiudicarsi l’appalto è l’impresa Aguas del Tunari, società fantoccio di una multinazionale estera che fa capo al gigante americano Bechtel Corporation. Un colosso che nel 2001 ha presentato un saldo attivo pari al doppio del prodotto interno lordo della Bolivia.

La concessione dà a Aguas del Tunari il monopolio assoluto della gestione e della distribuzione di ogni risorsa idrica per 40 anni. Tutte le sorgenti vengono sottoposte a permessi di utilizzo e ai contadini è vietato addirittura raccogliere l’acqua piovana nei pozzi. Segue un aumento del prezzo dell’acqua del 300 per cento. In una città in cui il salario minimo mensile non raggiunge i 100 dollari, le bollette che i cittadini vedono recapitarsi ammontano mediamente a 20 dollari al mese, circa un quarto del reddito di una famiglia.

 

 
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