Creato da chevipera29 il 07/04/2010
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di Alga Madìa
“Morta senza complicazioni”. Ad annunciarlo è il portavoce del Dipartimento carcerario dove é stata eseguita la condanna a morte di Teresa Lewis, 41 anni. Neanche un grande spazio sulle pagine delle maggiori testate nazionali. Giustiziata per aver commissionato l’omicidio del marito e del figlio di lui per intascare un’assicurazione di 350mila dollari. “Giustizia” è stata fatta in un Paese che ben si discosta da quelli in cui si uccide coi sassi o con la sciabola; qui avviene tutto senza torture, addirittura per calmarla e sedare il suo terrore di morire, qualcuno le ha accarezzato i capelli, è stato detto. Mi vengono i brividi, vorrei non saper ascoltare, non saper leggere, vedere. Mi chiedo perché in questo grande Paese che è l’America la pena di morte abbia un significato diverso rispetto a quello inteso da altre Nazioni che la democrazia non sanno proprio cosa sia (1180 esecuzioni in un anno). Sghignazza Ahmadinejad trovando con gli States un pensiero che accomuni le due nazioni. Perché, mi domando, la pena di morte fa clamore solo se avviene attraverso la lapidazione, meno, molto meno se su un comodo lettino o su una sedia? Due pesi e due misure. Come se non fosse un atto criminale, tanto quanto il delitto che ha commesso chi deve essere giustiziato. Io non direi che Teresa è stata giustiziata, direi piuttosto che è stata scientificamente uccisa e con l’aggravante che questo ennesimo atto criminale è stato commesso in un Paese definito democratico per eccellenza. Tutti a manifestare giustamente la propria indignazione per Sakineh: appelli da tutto il mondo, link fatti girare come trottole sui social network. Ma Teresa Lewis invece è come fosse stata trasparente, la sua morte interessa una parte meno consistente del mondo “civile”. Le prime pagine dei giornali di ieri tutte rivolte all’attività di Sherlock Holmes per capire ‘sta benedetta casa di Montecarlo a chi appartiene, che impicci ci siano dietro e chi ci abita in realtà. Su lei neanche una parola. Solo La Repubblica la riporta a pagina 15 titolando sul presunto imbarazzo della Casa Bianca. Fine. Ma di sdegno neanche l’ombra. Pare tra le altre cose, ma non cambierebbe il mio sdegno più totale, che fosse ritardata mentalmente. Mi chiedo cosa ci sia di più incivile e inviterei chi non l’avesse fatto, a noleggiare un film del 1995 che tratta proprio la pena di morte in America. Dead man walking. Un film sconvolgente con due attori strepitosi, Sean Penn e Susan Sarandon che si portò a casa un Oscar come miglior attrice protagonista. Un film che fa stare male se solo si ha un briciolo di sensibilità, che mostra quanto il terrore della morte non riconosca un ambiente candido e quasi asettico, come una sala operatoria, dalle pietre lanciate con violenza su una donna per metà già sotterrata. La pena di morte resta un gesto di grande inciviltà in qualunque località avvenga e sotto qualunque inaudita religione. Mi chiedo infine chi avrà mai il coraggio di dare dell’incivile al Paese che sulla parola democrazia ha fondato la sua grandezza.
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