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Un blog creato da LICURSI.110 il 18/12/2008

BLOG CRISTIANI

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http://www.avvenire.it/Commenti/dramma+di+sara+poggialini_201010080708194130000.htm

Post n°31 pubblicato il 10 Ottobre 2010 da 1carinodolce


Il Papa e la deriva dell'informazione-attrazione

Ricercare la verità con passione e competenza
 
Ma allora si può. Anzi si deve. E non con rassegnazione e noia, ma con passione. L’ha detto ieri il Papa al Congresso della stampa cattolica e lo riportiamo con emozione: «La ricerca della verità dev’essere perseguita dai giornalisti cattolici con mente e cuore appassionati».
La ricerca della verità... la verità dei fatti, la verità del pensiero. Non è facile, soprattutto per chi scrive sui giornali: 

«Pretendere di dire la verità e tutta la verità con un giornale – ammoniva Norman Mailer – è come pretendere di suonare la Nona di Beethoven con un’ocarina: lo strumento non è molto adatto». Mailer non negava l’esistenza della verità, denunciava la limitatezza dello strumento-giornale. Ma l’importante è cercarla con passione, la verità; perseguirla senza sosta.
 

Se oggi una linea di confine può essere tracciata, è tra i media che amano la verità e quelli che se ne infischiano. 
L’ha spiegato bene Ryszard Kapuscinski: «Nella seconda metà del secolo improvvisamente il grande mondo degli affari scopre che la verità non è importante, ciò che conta è l’attrazione. Una volta creata l’informazione-attrazione, possiamo vendere questa informazione ovunque, Più l’informazione è attraente, più denaro possiamo guadagnare».
Concludeva il grande cronista polacco:
«Dalle mani di persone che lottavano per la verità, l’informazione è passata in quelle di uomini d’affari preoccupati non che l’informazione sia vera, importante o di valore, ma che sia attraente».

 
O di qua o di là.
Giornalisti, lettori, conduttori, autori, ascoltatori. La scelta è netta:
o con la verità che può non essere attraente, ma scomoda e perfino faticosa, o con l’attrazione che allieta gli animi e li anestetizza.
 
È quel «mondo dell’immagine» di cui parla il Papa, mondo «che può anche diventare indipendente dal reale, può dare vita a un mondo virtuale con varie conseguenze, la prima delle quali è il rischio dell’indifferenza nei confronti del vero». I reality, i talk-show. E il magma ribollente di internet. «Vero e falso» diventano «interscambiabili». Fino al peggio; e qui Benedetto XVI sembra commentare la rappresentazione televisiva della tragedia della giovane Sara: «La ripresa di un evento, lieto e triste, può essere consumata come spettacolo e non come occasione di riflessione». Non la passione per il vero, ma l’attrazione da vendere e comprare.

Di qua o di là, dunque. Con la consolazione che cattolici e laici appassionati si trovano naturalmente alleati.

Tornano alla mente le parole cantate 13 anni fa da Giorgio Gaber: «E l’uomo che non ha più il gusto del mistero, che non ha passione / per il vero, che non ha coscienza del suo stato / un mare di parole / un mare di parole / è come un animale ben pasciuto». La passione per il vero sostituita dalle ben più vendibili, sul mercato, attrazione ed emozione. Ciò accade quando le copie di giornale e i telespettatori venduti diventano l’unico obiettivo, l’idolo sanguinario che divora la verità.

Quando si ignora l’invito del Papa a porre «sempre Dio al vertice della scala dei valori». E anche quando si affossano le piccole testate infliggendo un colpo mortale al pluralismo.

Noi preferiamo pensarla come Franklin D. Roosevelt: «La verità si scopre quando gli uomini sono liberi di cercarla».

Liberi... se mi vengono negati gli strumenti, non sono più libero.

 

E non dimentichiamo la lezione di George Orwell: «Libertà vuol dire poter dire alla gente anche quello che la gente non vuole sentirsi dire».

Il Papa di ieri e le menti più lucide dell’ultimo secolo sono in perfetta sintonia. E chiedono a noi passione e competenza.
Umberto Folena

 
 
 
 
 

BB

Post n°29 pubblicato il 07 Ottobre 2010 da 1carinodolce

Nel periodo che caratterizza l'innamoramento si crea un clima d'intenso entusiasmo affettivo in cui gli innamorati sperimentano la sensazione momentanea del perfetto abbandono nell'amore, la sensazione di un'accettazione incondizionata e totale al di là dell’io e del tu, del tempo e dello spazio: non si tratta dell'assoluto ma di una finestra da cui si può intravedere la trascendenza.

Questo tipo d'amore, inizialmente, non conosce altro bisogno se non quello di stare insieme, ma si tratta di un periodo che ha una durata limitata e che precede lo sforzo quotidiano per la riuscita del rapporto.

 
 
 

BB

Post n°28 pubblicato il 05 Ottobre 2010 da 1carinodolce

Qual è l’amore autentico? L’amore autentico è quello che cerca prima di tutto il vero bene dell’altro e non il proprio benessere.

L’amore autentico non è fatto solo di belle sensazioni e di bei sentimenti ma è fatto di sacrificio, di perdono, di aiuto reciproco. L’amore autentico è una strada diversa da quella di chi cerca soprattutto il proprio benessere, l’assenza di dispiaceri, delusioni, contraddizioni, è una strada diversa da quella di chi rimane insieme con un’altra persona soltanto fino a quando tutto procede senza problemi.

Quello dell’amore autentico è un percorso faticoso e difficile ma è un percorso che mette al primo posto il bene dell’altro, è un itinerario diametralmente opposto a quello dell’egoismo e che porta a concepire e a vivere un amore sempre più disinteressato, simile a quello di Dio, un amore che mette al primo posto il valore della persona e non il valore del piacere.

 
 
 

BB

Post n°27 pubblicato il 05 Ottobre 2010 da 1carinodolce

L’innamoramento è il periodo in cui si desidera realizzare con la persona da cui si è attratti un’unione completa, esclusiva, totale e, nello stato nascente di questo movimento che gli innamorati intraprendono verso l’obiettivo della fusione affettiva, essi sperimentano una sensazione intensa, straordinaria, esaltante.

 

...

 

La relazione fra l’uomo e la donna non è immune da tensioni e difficoltà ma, al contrario, è sempre insistentemente minacciata e richiede di essere difesa, rinnovata e costruita ogni giorno.


 
 
 

BB

Post n°25 pubblicato il 05 Ottobre 2010 da 1carinodolce

Jurg Willi, direttore della clinica psichiatrica dell'Università di Zurigo e docente di psichiatria e psicoterapia, dice che in ogni essere umano è presente il desiderio di potersi abbandonare nel completo godimento di un eterno abbraccio: si tratta del desiderio di realizzare il perfetto abbandono nell'amore.

Nella vita il perfetto abbandono nell'amore si limita solo ad alcuni momenti di felicità che sono impossibili da prolungare e conservare.

 
 
 

BB

Post n°24 pubblicato il 05 Ottobre 2010 da 1carinodolce

 
COLORO CHE SFUGGONO LA CHIESA PER L'IPOCRISIA E
L'IMPERFEZIONE DELLE PERSONE RELIGIOSE,

SI SCORDANO CHE SE LA CHIESA FOSSE
PERFETTA NEL SENSO DA LORO RECLAMATO,
NON VI SAREBBE IN ESSA POSTO PER LORO.
...

 
 
 

BB

Post n°23 pubblicato il 05 Ottobre 2010 da 1carinodolce

L’entusiasmo affettivo straordinario che si ha nel periodo dell’innamoramento è uno stato transitorio destinato a diminuire appena inizia l’amore, che consiste nello stare insieme veramente con la realtà e con la totalità della persona dell’altro: amore deriva dalla parola greca ama che significa insieme

 

 
 
 

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Post n°22 pubblicato il 06 Agosto 2010 da 1carinodolce

  

http://www.youtube.com/watch?v=g7pttBFzuRk&feature=related

   

 
 
 

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Post n°21 pubblicato il 06 Agosto 2010 da 1carinodolce


   

http://www.youtube.com/watch?v=g7pttBFzuRk&

   

 
 
 

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Post n°20 pubblicato il 15 Aprile 2010 da LICURSI.110

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Post n°19 pubblicato il 06 Novembre 2009 da LICURSI.110

 

Con il termine espressionismo si usa definire
la propensione di un artista a privilegiare,
esasperandolo,  il dato emotivo  della realtà
rispetto a quello percepibile oggettivamente.

 
http://it.wikipedia.org/ 

  

 
Impressionismo

 

.... la prevalenza della soggettività dell'artista, delle sue emozioni che non vanno nascoste e camuffate....

   

 
 
 

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Post n°18 pubblicato il 07 Settembre 2009 da citazioni_bellisssss

Primo piano - Desiderio libertà felicità
L'astrazione manichea. La realtà del desiderio
Luca Doninelli

 

Bene e male. Buoni e cattivi. Nella letteratura contemporanea spesso la rappresentazione della realtà si limita a questa contrapposizione. Ma in qualche caso questo schema salta. Uno scrittore ne ha trovato alcuni esempi, come il presentimento di una risposta positiva  

 
 
 

L'astrazione manichea. La realtà del desiderio

Post n°17 pubblicato il 07 Settembre 2009 da citazioni_bellisssss

   Il principio manicheo non ci offre l’immagine di un dramma, non ha l’andamento del dramma. Nel manicheismo il bene e il male sono due principi contrapposti, eterni, nessuno dei due potrà mai sconfiggere l’altro. Il dramma, in questo senso, è già eliminato, non è reale, sopravvive solo come fantasma.
Noi però non capiamo queste cose in astratto. Se ci fermiamo all’affermazione esplicita di questo principio, il campo d’applicazione risulta tutto sommato abbastanza ristretto. Indiani e cow-boys. “Noi” e “loro”. Bush e Saddam. Matrix (uno dei film più moralisti che io conosca). Se, tuttavia, poniamo attenzione non alla sua formulazione, ma alla sua sopravvivenza come motivo del vivere e dell’agire (magari sotto mentite spoglie), allora scopriamo che il tempo in cui viviamo è quasi completamente pervaso da questa melassa manichea.
La letteratura è un aiuto in tal senso, perché ci offre, se non altro, una buona casistica del problema. Per esempio, c’è tutto un filone – con varianti sia europee che americane – che identifica l’inquietudine (ossia l’instabilità, il dover sempre andar via, il non poter mai raggiungere la meta) con il senso se non addirittura con lo scopo. È la filosofia che ritroviamo ad esempio nell’opera di uno scrittore-cult del nostro tempo come Bruce Chatwin – che peraltro è un grande scrittore – oppure in autori e uomini di spettacolo, secondo i quali l’uomo è estromesso dalla Terra Promessa (dal suo destino) e il senso della sua vita sta nel camminare verso di essa, anche se non la raggiungerà mai.
Altri giocano la carta dell’arte come distrazione, divertimento rispetto a un Fato che ha già emesso le sue sentenze, ha già chiuso i giochi. Uno scrittore che è anche mio buon amico, Alessandro Baricco, concentra tutta la sua opera, spesso ingegnosa, su questo equivoco di fondo. Il desiderio, qui, è una specie di scherzo beffardo della natura, una malattia o alterazione, o forse un mistero che però sappiamo già essere senza risposta.
Ma, come diceva Giacomo Contri nello scorso numero, il desiderio non è un buco da riempire, bensì qualcosa che avviene. Quando siamo “giù” è perché siamo mancanti, ma quello che ci manca è proprio il desiderio. La compagnia degli amici fa riaccadere il desiderio attraverso la presenza misteriosa del suo iniziale compimento.
Insomma, la posizione manichea è la posizione del non-compimento nel senso della non-soddisfazione, e questo è l’esatto contrario dell’infinito, sia perché i giochi sono già fatti, sia perché viene sempre lasciato fuori qualcosa.
Perciò io consiglio di andare a rileggersi Cesare Pavese. Sarà anche pieno di difetti come scrittore, ma il problema che lui pone praticamente in tutti i suoi libri è proprio questo. Nel suo testo più emblematico, La casa in collina, il suo rifiuto (diciamo meglio: la sua impossibilità) a prender parte alla Resistenza nasce da un legame con la realtà così forte (basterebbe contare quante volte ricorre la parola “colline” nella sua opera) da impedirgli ogni soluzione astratta del problema del bene e della giustizia.
Il desiderio è desiderio di che? Di tutto. Come cantava il grande Freddie Mercury: Who wants to live forever? Chi vuole vivere per sempre?
Trovare esempi attuali di questa interezza del desiderio non è facilissimo. Le parole di don Giussani nel 1987, riportate a pag. 15 dello scorso numero di Tracce, sono per sempre. Il potere lo subiamo tutti, compresi gli scrittori. Sarà che ho ormai 47 anni e sono forse un po’ miope, ma le valanghe di libri che acquisto o ricevo come omaggio dalle case editrici mi testimoniano soprattutto questo stordimento che fa uso un po’ di tutto: tanto per dirne una, voi non avete idea di quanti libri hanno una certa forma, un certo stile e perfino un certo contenuto solo perché sono stati scritti al computer.
Voi mi chiedete esempi attuali “in positivo”, di scrittori, cioè, che abbiano risalito la china scivolosa per riaffermare il desiderio umano, ciò che noi abbiamo sempre chiamato «esperienza elementare». Me ne vengono in mente due, ma prima vorrei precisare una cosa, e cioè che la definizione della gravità del problema appartiene già al desiderio. Dire che il nostro io si trova sotto l’effetto-Chernobyl non è un giudizio negativo, è un giudizio vero. All’effetto-Chernobyl ho dedicato il mio romanzo più noto, La nuova era, che è un libro drammatico, ma non negativo. La speranza non è “dopo” il giudizio, ma dentro. Trovo molto più disperato chi sostiene per principio che tutto è positivo, che va tutto bene. Invece la realtà è positiva anche quando le cose vanno male.
I due libri di cui parlavo sono uno italiano e uno straniero. Quello straniero - eccellente soprattutto nella prima metà - è uscito un anno e mezzo fa e s’intitola L’opera struggente di un formidabile genio dell’americano Dave Eggers (ed. Mondadori), scrittore meno che trentenne. È la storia di un ragazzo di ventidue anni che, a causa della morte nel giro di pochi mesi di ambedue i genitori, si ritrova a far da padre al fratellino di otto anni. Lo slancio che questo dolore unito a questo compito producono nel protagonista dà vita ad alcune tra le pagine più belle e originali che io abbia letto negli ultimi anni. Lui sente con prepotenza che la responsabilità verso il bambino si assolve solo desiderando per lui tutto: o provi a dargli tutto, o non esisti.
L’altro bellissimo romanzo, appena uscito in Italia, è Sacrocuore di Aurelio Picca (Rizzoli): è la cronaca dell’agonia e della morte della madre dello scrittore in seguito a un’operazione al cuore fallita. Nello strazio di quel cuore, sottoposto a ogni umiliazione – compresa la solita, stupida e irrisolta vita dei tre figli -, troviamo una metafora potente ed efficace dello strazio contro il quale lottiamo, ogni giorno, per riaffermare il nostro vero bisogno. Che nelle ultime pagine s’innalza come una specie di stupefatta preghiera.
In tutti e due i casi, come si vede, è un grande dolore concreto (tutti e due i libri sono in gran parte autobiografici) a spezzare la catena dell’astrazione e a lasciar intendere come il senso vero del nostro strazio può essere affidato non a scelte di parte, ma a qualcosa che deve avvenire, come un perdono, per tutti   

 
 
 

http://www.primonumero.it/attualita/primopiano/articolo.php?id=5598

Post n°16 pubblicato il 28 Agosto 2009 da LICURSI.110

Musica e poesia nella Laus Mari:
sull’onda delle emozioni

 

Michele Placido, Kim Rossi Stuart, Katia Ricciarelli e il fisarmonicista Davide Cavuti hanno coinvolto gli oltre mille spettatori venerdì 27 agosto, nello spettacolo "Laus Mari" promosso da Stefano Leone. Sul palco montato sulla sabbia, al lido "Buena Vista social club", gli illustri ospiti si sono alternati, regalando momenti di poesia, bel canto e musica, tutti dedicati al mare e alla riscoperta del senso di appartenenza.

Termoli. Lo sciabordio delle onde in lontananza, la voce di Michele Placido, Kim Rossi Stuart, Katia Ricciarelli, le rime e le note di celebri autori della letteratura e della canzone italiana.

Un mix di emozioni nella “Laus Mari” promossa lo scorso giovedì 27 agosto in una calda serata di fine estate dal creativo Stefano Leone, con un parterre degli ospiti prestigiosi in riva all’Adriatico, nella laguna naturale di Rio Vivo, con il palco montato direttamente sulla sabbia, nel lido “Buena Vista Social Club”.

Oltre mille gli spettatori, che hanno ascoltato i versi di D’Annunzio, Dante, Pablo Neruda declamati da Placido e Stuart, e le esibizioni liriche della Ricciarelli, che ha intonato una serie di classici, da “Summer Time” a “O Sole mio”. Un progetto culturale, un connubio di arte e un inno alla natura, per «riscoprire il senso di appartenenza legato al mare», come ha spiegato l’autore dell’iniziativa.

E molto suggestivi sono stati gli intramezzi musicali a ritmo di tango, eseguiti con maestria dal fisarmonistica Davide Cavuti e dagli altri componenti del suo ensemble. Sulle note si sono mossi i suadenti passi dei due ballerini fratelli Romeo e Cecilia Carbone. Altre due poesie, di Montale e Baudelaire, sono state recitate da due giovani molisani, Luca Basilico e Antonella Pacifico. Placido insieme a Stefano Leone ha poi premiato il pittore Fredy Luciani.

L’attore e regista pugliese nel corso della serata ha più volte elogiato Termoli, il suo Borgo antico, che nel tempo si è ulteriormente abbellito, «dove tra l’altro, mi hanno detto che potevo parcheggiare, ma poi mi hanno fatto la multa…», ha detto in tono scherzoso.

A conclusione della serata, dopo “O sole mio”, interpretato da Katia Ricciarelli, Placido ha rivolto un pensiero ai giovani morti nella casa dello studente nel terremoto a L’Aquila. Al termine dello spettacolo Stefano Leone e gli sponsor della manifestazione hanno reso omaggio agli artisti.

Ed è calato il sipario anche su “Laus Mari”, nuovo successo di Stefano Leone nell’estate 2009, dopo “Conscientia”.

(Pubblicato il 28/08/2009) 

  

 

 
 
 

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Post n°15 pubblicato il 26 Giugno 2009 da 1carinodolce

 

Cambiato il modo di assumere stupefacenti

 

La droga resta un killer spietato

Non taciamolo ai giovani

 

Chino Pezzoli

 

Ho sempre tentato di far capire ai giovani e adulti che la droga è un 'boia' che li lega a un ceppo e poi li ammazza. Mi sento spesso rispondere che esagero, che ognuno sa dove può arrivare con il consumo. I giovanissimi si sentono esperti, conoscitori degli effetti delle diverse sostanze, in grado di smettere quando vogliono. Illusioni, la droga non si comanda, la dipendenza soggioga. La mancanza della sostanza è stata paragonata a un 'lutto', un vuoto della psiche che fa paura.
 
Per questo si torna a consumare. E la dipendenza non si risolve facilmente: occorrono tempo, rieducazione della mente, insomma terapie mirate. Alcuni, però, sostengono che non si debba più parlare di droga e di tutto ciò che comporta. Perché informare significherebbe incentivare nei ragazzi e giovani l’interesse e persino voglia di provare, in barba alle 'prediche' degli adulti. È bene precisare che la maggior parte dei giovani viene a contatto con le sostanze stupefacenti molto prima di essere informata sui terribili guasti che provoca. Sono però del parere che occorra parlare ai giovani di droga senza minimizzare i danni: personali, familiari e sociali. In questo ultimo secolo, diverse ricerche scientifiche hanno portato a concentrare il principio attivo di sostanze presenti in natura, ottenendo eroina, cocaina, sostanze allucinogene. Droghe che furono progettate per ottenere effetti dirompenti nel consumatore. La stessa marijuana viene ormai coltivata con semi scelti e manipolati per avere un principio attivo elevatissimo. Ciò comporta una dipendenza psichica più forte e forme più gravi di scompenso psicologico e psichiatrico.
 
Le droghe non sono solo divenute sintetiche, forti, capaci di modificare profondamente la parte funzionale dell’io, ma si è anche diffusa l’idea che l’eroina perda il suo potere distruttivo se viene inalata. Una pratica già presente da tempo in Oriente e adottata dai soldati statunitensi durante la guerra del Vietnam, sotto la poetica immagine del chasing the dragon, che consiste nell’aspirare le volute di fumo (simili alla coda del drago) che si liberano dalla combustione di un pizzico di polvere d’eroina posta su un sottile foglio metallico. Incontro purtroppo spesso ragazzi che non si sentono più tossicodipendenti perché non si 'bucano', non hanno mai fatto uso della 'spada' per iniettarsi la 'roba'. Sono però dipendenti dall’eroina, accusano crisi d’astinenza e le dinamiche d’assuefazione tipiche.


Nei Paesi produttori del Sud d’America, i giovani, che non possono comperare la cocaina pura, hanno scoperto di poter fumare la pasta di coca, detta anche 'basa' o 'basuko', ottenuta dalla macerazione delle foglie di coca con kerosene, acido solforico, tabacco e marijuana. Negli Usa, invece, si è via via imposto il temibile crack. La cocaina da sniffo viene fatta bollire in acqua e bicarbonato (ammoniaca), ricavandone al raffreddamento una specie di torta biancastra friabile che viene frammentata in una serie di pezzetti di 50-00 mg l’uno, venduti in scatolette o fialette. Messi in una pipa di vetro, scaldata alla base con un comune accendino scoppiettano (da ciò il nome crack) e possono essere fumati. I 'vantaggi' – che spiegano l’enorme diffusione anche in Italia – sono tre: il prodotto è subito disponibile; il costo è minore rispetto alla cocaina; l’effetto è molto forte e immediato, perché il principio attivo è subito assorbito dal cervello. I danni cerebrali sono gravi.

A cominciare dalla sindrome dissociativa dell’io o schizofrenia. Negli ultimi anni il modo d’assumere le sostanze stupefacenti ha insomma subìto cambiamenti, ma non per questo le droghe sono ora meno pericolose. Si tende a fumarle. Mentre le pastiglie di ecstasy, gli allucinogeni e le anfetamine vengono assunti per via orale. Queste ultime droghe provocano uno stordimento associato, talvolta, ad allucinazioni e a episodi scompensativi psichici e psichiatrici, anche irreversibili.


Non lasciamoci convincere da chi vuol farci credere che solo la droga iniettata è pericolosa alla salute. Si dice che, con i nuovi modi d’assunzione, viene meno la crisi d’astinenza. Non è vero: tutte le droghe producono una modificazione neuro­psichica e quindi anche sintomi di malessere che esigono nuove dosi. Oggi è il 26 giugno, giornata mondiale contro la droga, e attraverso le pagine del nostro quotidiano, uno dei pochi che parla ancora di questo immenso dramma, voglio tornare a gridare che la droga è un killer spietato. Anche quando la si riduce a una 'coda di rospo' o a una scia di fumo.

 

Chino Pezzoli

 

 

 
 
 

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Post n°14 pubblicato il 26 Giugno 2009 da 1carinodolce

 

Cambiato il modo di assumere stupefacenti

  

La droga resta un killer spietato
Non taciamolo ai giovani

 

Chino Pezzoli

 

Ho sempre tentato di far capire ai giovani e adulti che la droga è un 'boia' che li lega a un ceppo e poi li ammazza. Mi sento spesso rispondere che esagero, che ognuno sa dove può arrivare con il consumo. I giovanissimi si sentono esperti, conoscitori degli effetti delle diverse sostanze, in grado di smettere quando vogliono. Illusioni, la droga non si comanda, la dipendenza soggioga. La mancanza della sostanza è stata paragonata a un 'lutto', un vuoto della psiche che fa paura.
 
Per questo si torna a consumare. E la dipendenza non si risolve facilmente: occorrono tempo, rieducazione della mente, insomma terapie mirate. Alcuni, però, sostengono che non si debba più parlare di droga e di tutto ciò che comporta. Perché informare significherebbe incentivare nei ragazzi e giovani l’interesse e persino voglia di provare, in barba alle 'prediche' degli adulti. È bene precisare che la maggior parte dei giovani viene a contatto con le sostanze stupefacenti molto prima di essere informata sui terribili guasti che provoca. Sono però del parere che occorra parlare ai giovani di droga senza minimizzare i danni: personali, familiari e sociali. In questo ultimo secolo, diverse ricerche scientifiche hanno portato a concentrare il principio attivo di sostanze presenti in natura, ottenendo eroina, cocaina, sostanze allucinogene. Droghe che furono progettate per ottenere effetti dirompenti nel consumatore. La stessa marijuana viene ormai coltivata con semi scelti e manipolati per avere un principio attivo elevatissimo. Ciò comporta una dipendenza psichica più forte e forme più gravi di scompenso psicologico e psichiatrico.
 
Le droghe non sono solo divenute sintetiche, forti, capaci di modificare profondamente la parte funzionale dell’io, ma si è anche diffusa l’idea che l’eroina perda il suo potere distruttivo se viene inalata. Una pratica già presente da tempo in Oriente e adottata dai soldati statunitensi durante la guerra del Vietnam, sotto la poetica immagine del chasing the dragon, che consiste nell’aspirare le volute di fumo (simili alla coda del drago) che si liberano dalla combustione di un pizzico di polvere d’eroina posta su un sottile foglio metallico. Incontro purtroppo spesso ragazzi che non si sentono più tossicodipendenti perché non si 'bucano', non hanno mai fatto uso della 'spada' per iniettarsi la 'roba'. Sono però dipendenti dall’eroina, accusano crisi d’astinenza e le dinamiche d’assuefazione tipiche.


Nei Paesi produttori del Sud d’America, i giovani, che non possono comperare la cocaina pura, hanno scoperto di poter fumare la pasta di coca, detta anche 'basa' o 'basuko', ottenuta dalla macerazione delle foglie di coca con kerosene, acido solforico, tabacco e marijuana. Negli Usa, invece, si è via via imposto il temibile crack. La cocaina da sniffo viene fatta bollire in acqua e bicarbonato (ammoniaca), ricavandone al raffreddamento una specie di torta biancastra friabile che viene frammentata in una serie di pezzetti di 50-00 mg l’uno, venduti in scatolette o fialette. Messi in una pipa di vetro, scaldata alla base con un comune accendino scoppiettano (da ciò il nome crack) e possono essere fumati. I 'vantaggi' – che spiegano l’enorme diffusione anche in Italia – sono tre: il prodotto è subito disponibile; il costo è minore rispetto alla cocaina; l’effetto è molto forte e immediato, perché il principio attivo è subito assorbito dal cervello. I danni cerebrali sono gravi.

A cominciare dalla sindrome dissociativa dell’io o schizofrenia. Negli ultimi anni il modo d’assumere le sostanze stupefacenti ha insomma subìto cambiamenti, ma non per questo le droghe sono ora meno pericolose. Si tende a fumarle. Mentre le pastiglie di ecstasy, gli allucinogeni e le anfetamine vengono assunti per via orale. Queste ultime droghe provocano uno stordimento associato, talvolta, ad allucinazioni e a episodi scompensativi psichici e psichiatrici, anche irreversibili.


Non lasciamoci convincere da chi vuol farci credere che solo la droga iniettata è pericolosa alla salute. Si dice che, con i nuovi modi d’assunzione, viene meno la crisi d’astinenza. Non è vero: tutte le droghe producono una modificazione neuro­psichica e quindi anche sintomi di malessere che esigono nuove dosi. Oggi è il 26 giugno, giornata mondiale contro la droga, e attraverso le pagine del nostro quotidiano, uno dei pochi che parla ancora di questo immenso dramma, voglio tornare a gridare che la droga è un killer spietato. Anche quando la si riduce a una 'coda di rospo' o a una scia di fumo.

 

Chino Pezzoli

 

 
 
 

CITAZ.....

Post n°13 pubblicato il 11 Giugno 2009 da LICURSI.110

http://it.wikiquote.org/wiki/Charlie_Chaplin

 
 
 

Tracce N. 4, Aprile 2009

Post n°12 pubblicato il 10 Maggio 2009 da LICURSI.110

 

EDITORIALE

La pietra del sepolcro

Si corre un rischio, davanti alle ultime polemiche che hanno coinvolto Benedetto XVI, dal “caso lefevbriani” all’Aids in Africa, passando per gli articoli sulla presunta “solitudine del Papa”: l’assuefazione.

Il pensare che, in fondo, siano cose già viste e quasi scontate, da incastrare nelle solite caselle: pro e contro, guelfi e ghibellini. Da una parte i “papisti”, dall’altra i “laici”, in mezzo una platea di cattolici adulti e atei teocon, a mischiare un po’ le carte.

È un rischio grave. Perché impedisce di cogliere fino in fondo la natura decisiva di quello che c’è in gioco. Non permette di accorgersi, per esempio, che nell’attacco alla ragionevolezza con cui la Chiesa affronta i problemi quotidiani dell’uomo - si tratti dell’Aids o della crisi economica - sta la negazione dell’evidenza più potente che viviamo: riconoscere Cristo fa conoscere il reale, la fede allarga la ragione.

Mentre nello scandalo davanti alla misericordia con cui il Papa abbraccia chi sbaglia - «gesto inequivocabile del divino» e quindi la «sfida più grande» davanti alla quale ci si possa trovare, come ha scritto don Julián Carrón su Avvenire - sta un rifiuto ostinato e terribile del fatto stesso che Cristo ha portato nel mondo: la salvezza.

Ostinato, perché frutto di una ragione testardamente asfittica. E terribile, perché tenta di strappare dalla nostra esperienza la speranza.

Che cosa sarebbe la vita, senza la Sua misericordia?

Come faremmo ad affrontare la malattia, o i nostri errori, o la durezza della crisi?

Cosa sarebbe la realtà, senza di Lui?
Un peso insopportabile.

Come la pietra di un sepolcro.

È in quel sepolcro che irrompe la Pasqua. È quella pietra tombale che viene spazzata via per sempre dalla Resurrezione.

Perché Lui c’è. Qui e ora. Contemporaneo a noi. E basta seguirlo, perché - come dice proprio Benedetto XVI in un passaggio bellissimo di un suo discorso recente -

«nel mistero dell’Incarnazione sta sia il contenuto che il metodo dell’annuncio cristiano».
È anche per questo che, al posto della “Pagina uno”, in questo Tracce troverete un inserto che riprende alcuni testi del Papa e due interventi che aiutano a coglierne il valore (lo stesso articolo di Carrón e un altro di don Stefano Alberto). È uno strumento di lavoro, per giudicare con più profondità quello che accade. E sorprendersi ancora più lieti di ciò che ricorda il Volantone in copertina: «Cristo ha vinto».  

 
 
 

LA FELICITà è POSSIBILE??

Post n°11 pubblicato il 25 Marzo 2009 da LICURSI.110

Tutti aspiriamo alla felicità. Tutte le nostre scelte, nella vita, hanno un solo obiettivo: la felicità. La vera questione è dunque di sapere se questa felicità è possibile e come.

La nostra aspirazione più profonda non è quella di amare e di essere amati ? Le ferite d'amore non sono forse quelle che ci colpiscono più profondamente? Ma è anche nell'amore che possiamo trovare una felicità vera e durevole. E questa non si riduce semplicemente ad una soddisfazione personale, ma è innanzi tutto il dono libero di se stessi all'altro. Ciò non significa che il piacere, i beni materiali, la vita sociale non possano contribuire alla felicità; sono tutti elementi che qualificano realmente la nostra vita, ma in se stessi non sono capaci di riempirci. La nostra felicità e la nostra gioia stanno nel dono di noi stessi e nell'amore che riceviamo dall'altro.

Una tale felicità, che è meravigliosa, rimane comunque fragile in quanto sottoposta ai nostri limiti umani: quante volte ci sorprendiamo a cercare il piacere personale, a voler possedere, dominare! E la nostra società consumistica tende ad aumentare in noi la fuga verso comportamenti individualisti. Una maldestra ricerca della felicità, che dà molto sovente origine a situazioni di conflitto con gli altri e a disillusioni, anche se non sempre osiamo ammetterlo...

D'altra parte, anche in un amore autentico, si sente come un limite il fatto che la gioia dello stare insieme non è perfetta, che il nostro cuore aspira a qualcosa di ancora più grande.
Il nostro cuore è fatto per un amore infinito, e solo un amore infinito potrà colmarlo. «Per te ci hai fatti, Signore, e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te», diceva sant'Agostino (Le Confessioni I, 1).

Si pensa che la vera felicità, la felicità eterna promessa da Dio, sia per un tempo successivo alla morte...
In realtà, la felicità, che è la vita eterna nell'amore di Dio, comincia fin da ora, dal momento in cui apro il cuore per credere quanto Lui mi dice: « Tu sei prezioso ai miei occhi, sei degno di stima e io ti amo » (Is 43,4). Dio non è lontano, Egli si è fatto vicino, uno di noi, in Gesù Cristo, l'Emmanuele.

 
 
 
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