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Riflessioni sull'amicizia e l'amore... e non più solo

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Giornata per la lotta all'omofobia

Post n°61 pubblicato il 23 Maggio 2009 da LaChambreDesAmis
 
Foto di LaChambreDesAmis

Per la quinta volta, Domenica scorsa s’è celebrata, in tutto il mondo, od almeno quello cosiddetto civilizzato, la Giornata per la lotta all’Omofobia.
Non credo di sbagliare asserendo i media italiani non abbiano riservato all’evento né una riga sulla carta stampata, tanto meno un servizio all’interno di qualsiasi telegiornale: ho ricondotto alla circostanza unicamente la messa in onda di Philadelphia, pochi giorni prima, e de Il padre delle spose in casa Rai, a riprova del fatto continui ad esistere l’equazione gay = sieropositivo e sia più facile assumere almeno la possibilità dell’amore tra due donne, piuttosto che due uomini.
Quest’anno, assecondando la mia passione per la letteratura, ho scelto di trattare l’argomento rifacendomi ai sodomiti di dantesca memoria.

Le diverse definizioni d’omofobia proposte possono essere sintetizzate secondo tre principali accezioni: pregiudiziale, discriminatoria e psicopatologica, che riconducono a qualsiasi giudizio negativo venga espresso sul conto degli omosessuali ed alla mancata condivisione delle loro rivendicazioni sociali e giuridiche, piuttosto che a quei comportamenti che, concretamente, ledano i diritti e la dignità altrui: discriminazioni sul posto di lavoro, nelle istituzioni, nella cultura, atti di violenza fisica e psicologica.
L'accezione psicopatologica, invece, considera l'omofobia come un’irrazionale e persistente paura e repulsione nei confronti degli omosessuali, tale da compromettere il funzionamento psicologico della persona che ne presenti i sintomi.
In tal senso, l'omofobia corrisponderebbe ad un disturbo d'ansia e rientrerebbe all'interno dell'etichetta di fobia specifica: diversamente dai primi due casi, l'omofobo non è consapevole delle ragioni dei propri pregiudizi nei riguardi degli omosessuali, che andrebbero perciò ricercate nei contenuti psichici rimossi.
Intesa nel senso di "paura fobica e irrazionale", l'omofobia non è inserita in alcun manuale di diagnostica psicologica come patologia.
L'omofobia non è legata ad una credenza politica od al livello culturale, quanto all’equilibrio dei singoli: tendono all'omofobia le personalità autoritarie, rigide, insicure, che si sentano, in genere, minacciate dal "diverso da sé" od in lotta con una forte omosessualità latente o repressa.
Intesa nel senso di atteggiamento culturale, invece, l’omofobia cambia profondamente a seconda dei casi: non mancano culture che, non solo considerino scontata, ma addirittura sana l’espressione d’odio ed aggressività verso gli omosessuali, all’interno delle quali si risenta di condanne ideologiche, religiose o politiche.
Si può intendere anche la paura di venire considerati omosessuali ed i conseguenti comportamenti volti all’evitamento loro e delle situazioni ad essi associate.

Infine, l’omofobia interiorizzata è l’accettazione, conscia od inconscia, da parte di gay e lesbiche, transessuali o transgender, di tutti i pregiudizi, le etichette negative e gli atteggiamenti discriminatori predetti: chi ne sia vittima, ha difficoltà ad accettare serenamente il proprio orientamento sessuale, fino a negarlo completamente.

Una risoluzione del Parlamento europeo - 18 Gennaio 2006 - definì l'omofobia "come una paura ed un'avversione irrazionale nei confronti dell'omosessualità e di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali (GLBT), basata sul pregiudizio ed analoga al razzismo, alla xenofobia, all'antisemitismo e al sessismo"; "l'omofobia si manifesta nella sfera pubblica e privata sotto forme diverse, quali discorsi intrisi d’odio ed istigazioni alla discriminazione, dileggio, violenza verbale, psicologica e fisica, persecuzioni e omicidio, in violazione del principio d’uguaglianza, imponendo limitazioni arbitrarie ed irragionevoli dei diritti, spesso giustificate con motivi d’ordine pubblico, libertà religiosa e diritto all'obiezione di coscienza"; mentre la sentenza della Suprema Corte Europea del 30 Aprile 1996 estese alle persone "che transitano da un sesso all’altro" l’applicazione della Direttiva Europea 76/207, e delle leggi nazionali ad essa ispirate, sulla parità di trattamento tra gli uomini e le donne.

Nel Marzo 2007, Aldo Onorati rilasciò un’intervista a Babilonia in cui dichiarò Dante sia stato amico dei gay: punto di partenza della disamina fu il V canto dell’Inferno - protagonisti i lussuriosi Paolo e Francesca - per fare poi un raffronto sempre più sottile con altri generi di peccatori, giungendo, infine, ai sodomiti.
Tra gli altri passaggi significativi, Onorati esaminò il canto XV, dedicato a Brunetto Latini, colui che Dante saluta come uno dei suoi maestri, e il canto XVI, che narra dei tre fiorentini protagonisti del medesimo peccato.
Brunetto, afferma l'autore, è fra i sodomiti, ma Dante ben presto lo qualifica indipendentemente dal suo peccato, ossia, l'omosessualità del personaggio non inquina la sua grandezza morale.
La grandezza morale dei personaggi era il tema di fondo che traspariva da un suo saggio: nonostante Dante condannasse i sodomiti, è opinione dell’autore che cercasse di mantenersi su un piano di lucida valutazione delle loro azioni e dirittura morale; in definitiva, Dante non si sarebbe sentito turbato dalla loro storia di omosessuali, che non racconta, bensì dalla durezza della pena patita in quel girone infernale (costretti a correre per l’eternità sotto una pioggia di fuoco, poiché fermarsi anche per un solo istante li avrebbe condannati a rimanere ancorati al suolo per cent’anni, senza nel frattempo poterla scansare).
Da un lato, il Poeta riteneva che una serie di peccatori (l'avaro, l'usuraio, il violento, il raggiratore, l'assassino, il negriero, il ladrone…), manifestassero un "difetto cardinale”, che non potesse essere separato dall'aspetto etico; dall’altro, considerava diversamente personaggi come Latini, nei confronti del quale nutriva reverenza al di là del peccato in sé.
Dalla lettura di Onorati emerge così un profilo del Sommo Poeta quale uomo controcorrente per i suoi tempi, anche nei confronti dei "sodomiti", suggerendo un aspetto centrale per lui, quanto per il mondo contemporaneo: l'idea, cioè, di non considerare l'omosessualità, o il peccato, come problema, ma la moralità in sé, la stessa che, in ultima analisi, farebbe sì che l'anima venisse dannata o salvata.
Alla vista del suo maestro, il Poeta esclama: Siete voi qui, ser Brunetto? rivelando turbamento, un doloroso affetto, un contrasto del suo sentimento umano riguardo al castigo divino inferto a quella specifica schiera di peccatori; siamo ancora un po’ nell’atmosfera di Paolo e Francesca, condannati a girare rapiti dalla bufera infernale per la loro lussuria, ma tanto vicini alla pietà dell’uomo Dante, peccatore e conscio della debolezza umana che lo lega ai due cognati”.
Ecco, dunque, il primo spontaneo e coraggioso confronto tra amori, senza troppa distinzione nelle parole di Onorati così come, parrebbe, nei sentimenti di Dante: quello adultero e appassionatamente eterosessuale dei due celebri cognati, non dissimile dagli amori gay che, all’epoca, venivano marchiati secondo l’immagine più carnale attraverso cui si potesse rappresentare l’omosessualità, ossia, la sodomia.
Onorati, insomma, senza faziosità, né tema di smentita, sottolinea semplicemente quello che Dante scrisse chiaramente sette secoli fa: il suo maestro di morale fu un sodomita, ma lui non se ne vergognò affatto, anzi, non ritenne quel peccato, per cui pure il giudizio divino collocava nella città dolente, tanto grave di per sé da essere motivo di disonore e disprezzo da parte sua, uomo messaggero di Dio tra gli uomini, e del maestro-guida Virgilio, il quale, per inciso, pare fosse a sua volta omosessuale (particolare, però, ulteriormente trascurabile, se si considera l’epoca classica in cui visse, allorquando l’omofilia era la prassi, soprattutto tra filosofi e letterati).
Il colloquio tra Dante e Brunetto Latini, insomma, denoterebbe un’immensa apertura mentale di Dante: ai suoi tempi, la sodomia era considerata un peccato mortale, egli non poteva contrastare la Chiesa, né la gerarchia delle pene canoniche – peraltro, da lui stesso assunte quali assoluti parametri di riferimento – tuttavia, espresse amore e venerazione per il Maestro, al punto da porre in secondo piano, in ombra addirittura, il motivo del suo peccato. 
Dante dà prova di riconoscenza, oltre che di affetto, verso l’uomo di cui era stato discepolo. Esaminiamo questi versi centrali: ”‘Ché la mente m’è fitta, e or m’accora,/ la cara e buona immagine paterna/ di voi quando nel mondo ad ora ad ora/ m’insegnavate come l’uom s’etterna”: immagine paterna, quindi riferimento e guida; non solo: buona e cara, perché il padre può essere anche dispotico e severo. 
Brunetto è un uomo meraviglioso, maestro di vita.
Dante gli dà del voi, come a Farinata, Cavalcanti, Beatrice ed al trisavolo Cacciaguida, mentre agli altri dà del tu
Non basta: è a questo personaggio che Dante affida il compito di rivelare un'importante profezia sul proprio futuro.
Nel Purgatorio, i sodomiti riappariranno, nel canto XXVI, insieme ai lussuriosi eterosessuali: i due gruppi, divisi in due schiere che camminano nel fuoco in sensi opposti, gridando la causa della loro punizione (qui, Dante non indica il nome di nessun sodomita di spicco).

La formazione culturale di Dante avvenne in un secolo, il XIII, che in Italia costituì un momento di transizione nel campo degli atteggiamenti verso il comportamento omosessuale:
quello che fino al tempo della sua nascita era stato un crimine riprovato dalla religione, ma visto con indulgenza dalla morale quotidiana, assunse una crescente gravità anche agli occhi dei laici, per influsso della morale della borghesia in ascesa, ch’esigeva dal mondo ecclesiastico un maggior rigore morale. 
Borghesi zelanti iniziarono a predicare rigore morale, castità ecclesiastica, povertà, carità, richiamandosi, come poi fece la stessa Chiesa, ai nuovi ordini predicatori, come i francescani, fondati, per l’appunto, dal ricco borghese Francesco d'Assisi.
La Chiesa adottò i provvedimenti che meno la danneggiassero: sì a maggiore castità, no a maggiore povertà.
Come abbiamo visto prima, il Poeta incontrò dei lussuriosi anche nel Purgatorio, i quali camminavano alternando canti, con cui invocavano la protezione divina, a grida con cui esaltavano esempi di castità.
Due schiere di anime, che corrono in opposte direzioni, quando s’incontrano si baciano festose e subito proseguono elevando alte grida: «Sodoma e Gomorra» grida una schiera; «Nella vacca entra Pasifae, perché ’l torello a sua lussuria corra» grida l’altra; così facendo, le anime ricordano un caso, un personaggio esemplare che denuncia lo specifico tipo di lussuria di cui si siano macchiate: chi grida Pasifae è stato vittima di una passione eterosessuale, mentre, chi evoca Sodoma e Gomorra - le due città bibliche distrutte per punire il peccato «contro natura» dei loro abitanti - è un sodomita.
Pasifae, assunta a simbolo di comportamento lussurioso, fu moglie di Minosse, re di Creta, ma s’innamorò follemente di un toro e chiese aiuto a Dedalo affinché costruisse per lei una giovenca di legno, entrando nella quale ella avrebbe soddisfatto le sue bestiali voglie.
Frutto della loro unione fu il Minotauro, poi rinchiuso nel famoso labirinto, anch’esso costruito da Dedalo.   

In definitiva, la condanna dell’omosessualità stentò non poco ad affermarsi nel mondo antico e medievale: nella cultura e nell’etica pagana, tanto greca quanto romana, la dicotomia fondamentale tra rapporti sessuali, non era quella tra etero e omo-sessualità, quanto quella tra ‘attività’ e ‘passività’ sessuale.
Un uomo era tale se attivo, anche se con altri uomini.
La parola «omosessualità» non sarebbe stata neppure compresa, da un pagano, tant’è che fu solo con gli imperatori cristiani che alcuni comportamenti ‘omosessuali’ divennero un crimine, ossia, quelli che comportassero la sottomissione di un uomo ad un altro uomo.
Gli imperatori cristiani che tentarono di seguire gli insegnamenti della Chiesa (Costanzo e Costante, con una costituzione del 342; Valentiniano, Arcadio e Teodosio nel 390; Teodosio II nel 438) erano così consapevoli di non poter cambiare mentalità e costumi, da prendere in considerazione solo i partner passivi dei rapporti fra uomini, condannando solo loro, a partire dal 390, a morire tra le fiamme vendicatrici.
Il primo a recepire sino in fondo i principi cristiani fu Giustiniano, che in due provvedimenti legislativi, rispettivamente del 538 e del 559, collocando i comportamenti omosessuali di qualunque specie tra i “delitti contro la divinità”, parlò dei rapporti fra uomini come di un peccato “contro natura”; nondimeno, la percezione sociale era diversa, la morale laica non percepiva i rapporti fra uomini come un fatto mostruoso e la stessa Chiesa, nei fatti, dimostrava una certa tolleranza.

Per l'Alighieri era dunque possibile, com'era comune ancora nel XII secolo, separare giudizio umano e giudizio divino nel campo della sodomia.
Pur collocando all'Inferno, come cristiano, quanti s'erano macchiati di tale peccato, come uomo non riteneva tale comportamento abbastanza grave da annullare la stima ch’eventualmente nutrisse per tali persone.
Si spiega così perché proprio al sodomita Brunetto Latini, e non ad altri,  Dante affidi l'importante profezia sopra citata.
Naturalmente, Dante, secondo una tipica posizione di quel cattolicesimo che intride il suo poema, è convinto del fatto che le virtù umane non bastino a salvare l’uomo, se non siano contenute nell'ambito della legge divina: esistono spiriti ch’egli apprezza ed ammira, nondimeno, collocati nell’Inferno, affinché ciò, commuovendo ed atterrendo i lettori, possa indurli a salvare le proprie anime e far sì che l’opera raggiunga lo scopo morale per cui è stata pensata. 
Non furono molti coloro i commentatori antichi di Dante che compresero che per il Poeta (e in assoluto) "l'uomo vizioso di qualche peccato può avere virtù in sé, per le quali merita onore e rispetto" e che Dante, con ser Brunetto, aveva "onorato la virtù che era in lui, lasciando il vizio".
Nel tentativo di conciliare ciò che agli occhi dei posteri appariva inconciliabile, semmai, i commentatori azzardarono, attraverso i secoli, le spiegazioni più strane e contorte, a cominciare dal fatto egli si rivelasse così indulgente verso i sodomiti perché dovesse condividerne i gusti; oppure, che ser Brunetto avesse attentato alla sua virtù e, quindi, le sue parole gentili fossero, in realtà, sarcastiche; oppure ancora, avanzando una tesi che sarebbe stata cara alla scienza medica del XX secolo, altri sostennero l’esistenza di due tipi di sodomiti: quelli che sono tali per ‘scelta’ e quelli che sono tali per ‘necessità’ (si sarebbe in seguito parlato di “omosessualità situazionale). 
Di fatto, essi rifiutavano a priori (per preconcetto omofobo) di considerare l'ipotesi più ovvia, cioè, che Dante avesse osato dare un giudizio morale diverso da quello che loro consideravano l'unico possibile ed immaginabile, ciò dimostrando quanto, nel corso della storia, l'omosessualità possa essere stata colpita dallo stigma d’indicibilità, al punto che perfino una condanna eterna all'Inferno, che, però, contenesse un minimo di pietà umana risultava sconcertante, incomprensibile, inspiegabile e, paradossalmente, non meritevole d’essere menzionata.
L'omosessualità non esiste, non può e non deve esistere, da nessuna parte, nemmeno in un poema di molti secoli fa!
Ciò che preme dimostrare ai commentatori omofobi è che se questi personaggi furono davvero rispettabili (e nulla lascia pensare che non lo fossero), allora non furono sodomiti, perché è inconcepibile che un omosessuale possa essere persona degna di rispetto o che, viceversa, una persona degna di rispetto possa essere omosessuale.
Due le strategie dei commentatori che desiderano mettere in discussione ciò che i contemporanei di Dante non avevano trovato affatto oscuro, cioè che nei canti XV e XVI dell'Inferno appaiano i sodomiti: in realtà, nel girone sarebbero presenti eretici, patarini, irreligiosi, bestemmiatori, superbi, letterati italiani che non usarono la lingua italiana (come se Dante non avesse mai scritto in latino!), ovvero, quelli che appaiono nei canti XV e XVI sarebbero davvero sodomiti, ma solo per licenza poetica e non nella vita reale.
Ma anche l'omofobia si evolve, e si adatta ai tempi. 
Dato che non è più stato possibile negare la presenza di sodomiti nell'Inferno, v’è stato chi ha ribaltato la prospettiva e, tornando alla seconda tesi dei commentatori antichi, ha ricercato tare e difetti che dimostrassero, magari grazie anche alla psicoanalisi, l'’umorismo’ o la ‘severità’ di Dante nel tratteggiare queste personalità psicopatiche disturbate, piuttosto che la sua stessa omosessualità.
Sarebbe semmai ora di finirla con l'atteggiamento per cui l'eterosessualità è un dato di fatto d'ogni essere umano, che può semplicemente essere data per scontata, mentre l'omosessualità vada dimostrata con prove inoppugnabili: l'eterosessualità di un personaggio è un dato che va dimostrato tanto quanto la sua omosessualità. 
Ragionando così, ci si accorgerà, con stupore, del fatto che l'eterosessualità sia altrettanto impossibile da dimostrare dell'omosessualità, per lo meno con i criteri assurdi pretesi da parte degli storici eterosessuali nei confronti degli studi storici sull'omosessualità.

Fonti:
http://www.giovannidallorto.com

Babilonia, Marzo 2007

Aldo Onorati – Dante e l’omosessualità. L’amore oltre le fronde.
Anemone Purpurea editrice, 2007

 
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