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Giornata per la lotta all'omofobia

Post n°61 pubblicato il 23 Maggio 2009 da LaChambreDesAmis
 
Foto di LaChambreDesAmis

Per la quinta volta, Domenica scorsa s’è celebrata, in tutto il mondo, od almeno quello cosiddetto civilizzato, la Giornata per la lotta all’Omofobia.
Non credo di sbagliare asserendo i media italiani non abbiano riservato all’evento né una riga sulla carta stampata, tanto meno un servizio all’interno di qualsiasi telegiornale: ho ricondotto alla circostanza unicamente la messa in onda di Philadelphia, pochi giorni prima, e de Il padre delle spose in casa Rai, a riprova del fatto continui ad esistere l’equazione gay = sieropositivo e sia più facile assumere almeno la possibilità dell’amore tra due donne, piuttosto che due uomini.
Quest’anno, assecondando la mia passione per la letteratura, ho scelto di trattare l’argomento rifacendomi ai sodomiti di dantesca memoria.

Le diverse definizioni d’omofobia proposte possono essere sintetizzate secondo tre principali accezioni: pregiudiziale, discriminatoria e psicopatologica, che riconducono a qualsiasi giudizio negativo venga espresso sul conto degli omosessuali ed alla mancata condivisione delle loro rivendicazioni sociali e giuridiche, piuttosto che a quei comportamenti che, concretamente, ledano i diritti e la dignità altrui: discriminazioni sul posto di lavoro, nelle istituzioni, nella cultura, atti di violenza fisica e psicologica.
L'accezione psicopatologica, invece, considera l'omofobia come un’irrazionale e persistente paura e repulsione nei confronti degli omosessuali, tale da compromettere il funzionamento psicologico della persona che ne presenti i sintomi.
In tal senso, l'omofobia corrisponderebbe ad un disturbo d'ansia e rientrerebbe all'interno dell'etichetta di fobia specifica: diversamente dai primi due casi, l'omofobo non è consapevole delle ragioni dei propri pregiudizi nei riguardi degli omosessuali, che andrebbero perciò ricercate nei contenuti psichici rimossi.
Intesa nel senso di "paura fobica e irrazionale", l'omofobia non è inserita in alcun manuale di diagnostica psicologica come patologia.
L'omofobia non è legata ad una credenza politica od al livello culturale, quanto all’equilibrio dei singoli: tendono all'omofobia le personalità autoritarie, rigide, insicure, che si sentano, in genere, minacciate dal "diverso da sé" od in lotta con una forte omosessualità latente o repressa.
Intesa nel senso di atteggiamento culturale, invece, l’omofobia cambia profondamente a seconda dei casi: non mancano culture che, non solo considerino scontata, ma addirittura sana l’espressione d’odio ed aggressività verso gli omosessuali, all’interno delle quali si risenta di condanne ideologiche, religiose o politiche.
Si può intendere anche la paura di venire considerati omosessuali ed i conseguenti comportamenti volti all’evitamento loro e delle situazioni ad essi associate.

Infine, l’omofobia interiorizzata è l’accettazione, conscia od inconscia, da parte di gay e lesbiche, transessuali o transgender, di tutti i pregiudizi, le etichette negative e gli atteggiamenti discriminatori predetti: chi ne sia vittima, ha difficoltà ad accettare serenamente il proprio orientamento sessuale, fino a negarlo completamente.

Una risoluzione del Parlamento europeo - 18 Gennaio 2006 - definì l'omofobia "come una paura ed un'avversione irrazionale nei confronti dell'omosessualità e di gay, lesbiche, bisessuali e transessuali (GLBT), basata sul pregiudizio ed analoga al razzismo, alla xenofobia, all'antisemitismo e al sessismo"; "l'omofobia si manifesta nella sfera pubblica e privata sotto forme diverse, quali discorsi intrisi d’odio ed istigazioni alla discriminazione, dileggio, violenza verbale, psicologica e fisica, persecuzioni e omicidio, in violazione del principio d’uguaglianza, imponendo limitazioni arbitrarie ed irragionevoli dei diritti, spesso giustificate con motivi d’ordine pubblico, libertà religiosa e diritto all'obiezione di coscienza"; mentre la sentenza della Suprema Corte Europea del 30 Aprile 1996 estese alle persone "che transitano da un sesso all’altro" l’applicazione della Direttiva Europea 76/207, e delle leggi nazionali ad essa ispirate, sulla parità di trattamento tra gli uomini e le donne.

Nel Marzo 2007, Aldo Onorati rilasciò un’intervista a Babilonia in cui dichiarò Dante sia stato amico dei gay: punto di partenza della disamina fu il V canto dell’Inferno - protagonisti i lussuriosi Paolo e Francesca - per fare poi un raffronto sempre più sottile con altri generi di peccatori, giungendo, infine, ai sodomiti.
Tra gli altri passaggi significativi, Onorati esaminò il canto XV, dedicato a Brunetto Latini, colui che Dante saluta come uno dei suoi maestri, e il canto XVI, che narra dei tre fiorentini protagonisti del medesimo peccato.
Brunetto, afferma l'autore, è fra i sodomiti, ma Dante ben presto lo qualifica indipendentemente dal suo peccato, ossia, l'omosessualità del personaggio non inquina la sua grandezza morale.
La grandezza morale dei personaggi era il tema di fondo che traspariva da un suo saggio: nonostante Dante condannasse i sodomiti, è opinione dell’autore che cercasse di mantenersi su un piano di lucida valutazione delle loro azioni e dirittura morale; in definitiva, Dante non si sarebbe sentito turbato dalla loro storia di omosessuali, che non racconta, bensì dalla durezza della pena patita in quel girone infernale (costretti a correre per l’eternità sotto una pioggia di fuoco, poiché fermarsi anche per un solo istante li avrebbe condannati a rimanere ancorati al suolo per cent’anni, senza nel frattempo poterla scansare).
Da un lato, il Poeta riteneva che una serie di peccatori (l'avaro, l'usuraio, il violento, il raggiratore, l'assassino, il negriero, il ladrone…), manifestassero un "difetto cardinale”, che non potesse essere separato dall'aspetto etico; dall’altro, considerava diversamente personaggi come Latini, nei confronti del quale nutriva reverenza al di là del peccato in sé.
Dalla lettura di Onorati emerge così un profilo del Sommo Poeta quale uomo controcorrente per i suoi tempi, anche nei confronti dei "sodomiti", suggerendo un aspetto centrale per lui, quanto per il mondo contemporaneo: l'idea, cioè, di non considerare l'omosessualità, o il peccato, come problema, ma la moralità in sé, la stessa che, in ultima analisi, farebbe sì che l'anima venisse dannata o salvata.
Alla vista del suo maestro, il Poeta esclama: Siete voi qui, ser Brunetto? rivelando turbamento, un doloroso affetto, un contrasto del suo sentimento umano riguardo al castigo divino inferto a quella specifica schiera di peccatori; siamo ancora un po’ nell’atmosfera di Paolo e Francesca, condannati a girare rapiti dalla bufera infernale per la loro lussuria, ma tanto vicini alla pietà dell’uomo Dante, peccatore e conscio della debolezza umana che lo lega ai due cognati”.
Ecco, dunque, il primo spontaneo e coraggioso confronto tra amori, senza troppa distinzione nelle parole di Onorati così come, parrebbe, nei sentimenti di Dante: quello adultero e appassionatamente eterosessuale dei due celebri cognati, non dissimile dagli amori gay che, all’epoca, venivano marchiati secondo l’immagine più carnale attraverso cui si potesse rappresentare l’omosessualità, ossia, la sodomia.
Onorati, insomma, senza faziosità, né tema di smentita, sottolinea semplicemente quello che Dante scrisse chiaramente sette secoli fa: il suo maestro di morale fu un sodomita, ma lui non se ne vergognò affatto, anzi, non ritenne quel peccato, per cui pure il giudizio divino collocava nella città dolente, tanto grave di per sé da essere motivo di disonore e disprezzo da parte sua, uomo messaggero di Dio tra gli uomini, e del maestro-guida Virgilio, il quale, per inciso, pare fosse a sua volta omosessuale (particolare, però, ulteriormente trascurabile, se si considera l’epoca classica in cui visse, allorquando l’omofilia era la prassi, soprattutto tra filosofi e letterati).
Il colloquio tra Dante e Brunetto Latini, insomma, denoterebbe un’immensa apertura mentale di Dante: ai suoi tempi, la sodomia era considerata un peccato mortale, egli non poteva contrastare la Chiesa, né la gerarchia delle pene canoniche – peraltro, da lui stesso assunte quali assoluti parametri di riferimento – tuttavia, espresse amore e venerazione per il Maestro, al punto da porre in secondo piano, in ombra addirittura, il motivo del suo peccato. 
Dante dà prova di riconoscenza, oltre che di affetto, verso l’uomo di cui era stato discepolo. Esaminiamo questi versi centrali: ”‘Ché la mente m’è fitta, e or m’accora,/ la cara e buona immagine paterna/ di voi quando nel mondo ad ora ad ora/ m’insegnavate come l’uom s’etterna”: immagine paterna, quindi riferimento e guida; non solo: buona e cara, perché il padre può essere anche dispotico e severo. 
Brunetto è un uomo meraviglioso, maestro di vita.
Dante gli dà del voi, come a Farinata, Cavalcanti, Beatrice ed al trisavolo Cacciaguida, mentre agli altri dà del tu
Non basta: è a questo personaggio che Dante affida il compito di rivelare un'importante profezia sul proprio futuro.
Nel Purgatorio, i sodomiti riappariranno, nel canto XXVI, insieme ai lussuriosi eterosessuali: i due gruppi, divisi in due schiere che camminano nel fuoco in sensi opposti, gridando la causa della loro punizione (qui, Dante non indica il nome di nessun sodomita di spicco).

La formazione culturale di Dante avvenne in un secolo, il XIII, che in Italia costituì un momento di transizione nel campo degli atteggiamenti verso il comportamento omosessuale:
quello che fino al tempo della sua nascita era stato un crimine riprovato dalla religione, ma visto con indulgenza dalla morale quotidiana, assunse una crescente gravità anche agli occhi dei laici, per influsso della morale della borghesia in ascesa, ch’esigeva dal mondo ecclesiastico un maggior rigore morale. 
Borghesi zelanti iniziarono a predicare rigore morale, castità ecclesiastica, povertà, carità, richiamandosi, come poi fece la stessa Chiesa, ai nuovi ordini predicatori, come i francescani, fondati, per l’appunto, dal ricco borghese Francesco d'Assisi.
La Chiesa adottò i provvedimenti che meno la danneggiassero: sì a maggiore castità, no a maggiore povertà.
Come abbiamo visto prima, il Poeta incontrò dei lussuriosi anche nel Purgatorio, i quali camminavano alternando canti, con cui invocavano la protezione divina, a grida con cui esaltavano esempi di castità.
Due schiere di anime, che corrono in opposte direzioni, quando s’incontrano si baciano festose e subito proseguono elevando alte grida: «Sodoma e Gomorra» grida una schiera; «Nella vacca entra Pasifae, perché ’l torello a sua lussuria corra» grida l’altra; così facendo, le anime ricordano un caso, un personaggio esemplare che denuncia lo specifico tipo di lussuria di cui si siano macchiate: chi grida Pasifae è stato vittima di una passione eterosessuale, mentre, chi evoca Sodoma e Gomorra - le due città bibliche distrutte per punire il peccato «contro natura» dei loro abitanti - è un sodomita.
Pasifae, assunta a simbolo di comportamento lussurioso, fu moglie di Minosse, re di Creta, ma s’innamorò follemente di un toro e chiese aiuto a Dedalo affinché costruisse per lei una giovenca di legno, entrando nella quale ella avrebbe soddisfatto le sue bestiali voglie.
Frutto della loro unione fu il Minotauro, poi rinchiuso nel famoso labirinto, anch’esso costruito da Dedalo.   

In definitiva, la condanna dell’omosessualità stentò non poco ad affermarsi nel mondo antico e medievale: nella cultura e nell’etica pagana, tanto greca quanto romana, la dicotomia fondamentale tra rapporti sessuali, non era quella tra etero e omo-sessualità, quanto quella tra ‘attività’ e ‘passività’ sessuale.
Un uomo era tale se attivo, anche se con altri uomini.
La parola «omosessualità» non sarebbe stata neppure compresa, da un pagano, tant’è che fu solo con gli imperatori cristiani che alcuni comportamenti ‘omosessuali’ divennero un crimine, ossia, quelli che comportassero la sottomissione di un uomo ad un altro uomo.
Gli imperatori cristiani che tentarono di seguire gli insegnamenti della Chiesa (Costanzo e Costante, con una costituzione del 342; Valentiniano, Arcadio e Teodosio nel 390; Teodosio II nel 438) erano così consapevoli di non poter cambiare mentalità e costumi, da prendere in considerazione solo i partner passivi dei rapporti fra uomini, condannando solo loro, a partire dal 390, a morire tra le fiamme vendicatrici.
Il primo a recepire sino in fondo i principi cristiani fu Giustiniano, che in due provvedimenti legislativi, rispettivamente del 538 e del 559, collocando i comportamenti omosessuali di qualunque specie tra i “delitti contro la divinità”, parlò dei rapporti fra uomini come di un peccato “contro natura”; nondimeno, la percezione sociale era diversa, la morale laica non percepiva i rapporti fra uomini come un fatto mostruoso e la stessa Chiesa, nei fatti, dimostrava una certa tolleranza.

Per l'Alighieri era dunque possibile, com'era comune ancora nel XII secolo, separare giudizio umano e giudizio divino nel campo della sodomia.
Pur collocando all'Inferno, come cristiano, quanti s'erano macchiati di tale peccato, come uomo non riteneva tale comportamento abbastanza grave da annullare la stima ch’eventualmente nutrisse per tali persone.
Si spiega così perché proprio al sodomita Brunetto Latini, e non ad altri,  Dante affidi l'importante profezia sopra citata.
Naturalmente, Dante, secondo una tipica posizione di quel cattolicesimo che intride il suo poema, è convinto del fatto che le virtù umane non bastino a salvare l’uomo, se non siano contenute nell'ambito della legge divina: esistono spiriti ch’egli apprezza ed ammira, nondimeno, collocati nell’Inferno, affinché ciò, commuovendo ed atterrendo i lettori, possa indurli a salvare le proprie anime e far sì che l’opera raggiunga lo scopo morale per cui è stata pensata. 
Non furono molti coloro i commentatori antichi di Dante che compresero che per il Poeta (e in assoluto) "l'uomo vizioso di qualche peccato può avere virtù in sé, per le quali merita onore e rispetto" e che Dante, con ser Brunetto, aveva "onorato la virtù che era in lui, lasciando il vizio".
Nel tentativo di conciliare ciò che agli occhi dei posteri appariva inconciliabile, semmai, i commentatori azzardarono, attraverso i secoli, le spiegazioni più strane e contorte, a cominciare dal fatto egli si rivelasse così indulgente verso i sodomiti perché dovesse condividerne i gusti; oppure, che ser Brunetto avesse attentato alla sua virtù e, quindi, le sue parole gentili fossero, in realtà, sarcastiche; oppure ancora, avanzando una tesi che sarebbe stata cara alla scienza medica del XX secolo, altri sostennero l’esistenza di due tipi di sodomiti: quelli che sono tali per ‘scelta’ e quelli che sono tali per ‘necessità’ (si sarebbe in seguito parlato di “omosessualità situazionale). 
Di fatto, essi rifiutavano a priori (per preconcetto omofobo) di considerare l'ipotesi più ovvia, cioè, che Dante avesse osato dare un giudizio morale diverso da quello che loro consideravano l'unico possibile ed immaginabile, ciò dimostrando quanto, nel corso della storia, l'omosessualità possa essere stata colpita dallo stigma d’indicibilità, al punto che perfino una condanna eterna all'Inferno, che, però, contenesse un minimo di pietà umana risultava sconcertante, incomprensibile, inspiegabile e, paradossalmente, non meritevole d’essere menzionata.
L'omosessualità non esiste, non può e non deve esistere, da nessuna parte, nemmeno in un poema di molti secoli fa!
Ciò che preme dimostrare ai commentatori omofobi è che se questi personaggi furono davvero rispettabili (e nulla lascia pensare che non lo fossero), allora non furono sodomiti, perché è inconcepibile che un omosessuale possa essere persona degna di rispetto o che, viceversa, una persona degna di rispetto possa essere omosessuale.
Due le strategie dei commentatori che desiderano mettere in discussione ciò che i contemporanei di Dante non avevano trovato affatto oscuro, cioè che nei canti XV e XVI dell'Inferno appaiano i sodomiti: in realtà, nel girone sarebbero presenti eretici, patarini, irreligiosi, bestemmiatori, superbi, letterati italiani che non usarono la lingua italiana (come se Dante non avesse mai scritto in latino!), ovvero, quelli che appaiono nei canti XV e XVI sarebbero davvero sodomiti, ma solo per licenza poetica e non nella vita reale.
Ma anche l'omofobia si evolve, e si adatta ai tempi. 
Dato che non è più stato possibile negare la presenza di sodomiti nell'Inferno, v’è stato chi ha ribaltato la prospettiva e, tornando alla seconda tesi dei commentatori antichi, ha ricercato tare e difetti che dimostrassero, magari grazie anche alla psicoanalisi, l'’umorismo’ o la ‘severità’ di Dante nel tratteggiare queste personalità psicopatiche disturbate, piuttosto che la sua stessa omosessualità.
Sarebbe semmai ora di finirla con l'atteggiamento per cui l'eterosessualità è un dato di fatto d'ogni essere umano, che può semplicemente essere data per scontata, mentre l'omosessualità vada dimostrata con prove inoppugnabili: l'eterosessualità di un personaggio è un dato che va dimostrato tanto quanto la sua omosessualità. 
Ragionando così, ci si accorgerà, con stupore, del fatto che l'eterosessualità sia altrettanto impossibile da dimostrare dell'omosessualità, per lo meno con i criteri assurdi pretesi da parte degli storici eterosessuali nei confronti degli studi storici sull'omosessualità.

Fonti:
http://www.giovannidallorto.com

Babilonia, Marzo 2007

Aldo Onorati – Dante e l’omosessualità. L’amore oltre le fronde.
Anemone Purpurea editrice, 2007

 
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Cartomante per necessità

Post n°60 pubblicato il 13 Ottobre 2008 da LaChambreDesAmis
 

Tra qualche anno, dovrei riuscire a raggiungere la tanto agognata stabilità economica: non dovrò più preoccuparmi dei debiti contratti da mio padre, che, nel frattempo, credo avremo rimborsato fino all’ultimo centesimo e dovrei esser riuscito a trovare un lavoro più soddisfacente delle mie attuali occupazioni.

Da qualche mese, ho pure avviato un piano d’investimenti finanziari, che, nel medio termine, dovrebbero consentirmi di cominciare a raccogliere i primi frutti, in attesa di tempi migliori: il problema è rappresentato dalle difficili condizioni in cui versi attualmente, che mi costringono a vivere ansiogenamente qualsiasi circostanza, soprattutto se imprevista, e, talvolta, ad accettare dei lavori ingrati, nella speranza di riuscire a racimolare qualche soldo.

Purtroppo, il tirocinio post laurea che sto svolgendo, mi vincola in una città priva di concrete opportunità lavorative, oltre che di stimoli culturali, e ciò, insieme all’approfittarsi dello stato di bisogno altrui di chi potrebbe assumere, ma sfrutti le leggi che permettano il precariato perpetuo, m’induce sovente a ricercare nel web qualche occupazione che sia possibile svolgere on line e sia conciliabile con gl’impegni precedentemente assunti.

Fu così che, agli inizi di quest’anno, in risposta ad un mio annuncio volto a ricercare una possibile collaborazione con un centro d’astro-cartomanzia, fui contattato dalla responsabile d’una piccola compagnia telefonica dell’Italia centrale, che, nel tentativo di diversificare efficacemente l’offerta dei servizi erogati, aveva da poco creato una linea attraverso la quale ottenere dei consulti: più precisamente, si concedevano gratuitamente dei codici 899 a coloro che si dichiarassero disponibili a ricevere le chiamate presso il proprio domicilio, in cambio d’un compenso che sembrava ragguardevole e da rapportare ai minuti di conversazione che s’accumulassero durante il mese.

Da qualche anno, mi sono appassionato allo studio dell’astrologia, sebbene si tratti d’una disciplina talmente complessa e vasta, che occorrerebbe potervi dedicare molto più tempo; quanto alla cartomanzia, ho cominciato ad interessarmene allorché mia madre, nell’incoercibile e, perciò, imperituro intento di raccogliere “prove” della colpevolezza di mio padre, in relazione a tutte le colpe di cui si sarebbe macchiato nei riguardi della famiglia, divenne vittima di tante operatrici che le rispondessero da altri centri, desiderose soltanto di confermarle esattamente ciò che desiderasse sentirsi dire!

Volli provare a capire se quelle voci all’altro capo del telefono non potessero che rivelarsi opportunisticamente mendaci, oppure, se la consultazione delle carte, almeno qualche volta, potesse aiutare i consultanti a rinvenire delle risposte adeguate ai propri quesiti esistenziali: evidentemente, più che non credervi in sé, non sono mai stato interessato all’uso previsionale degli strumenti in esame, preferendo una modalità d’interpretazione psicologica, finalizzata al disvelamento del proprio od altrui mondo interiore ed alla comprensione degli opportuni passi da compiere per poter superare gli ostacoli e le prove in genere richieste dalla vita.

In tal senso, i Tarocchi possono essere immaginati come una rappresentazione simbolica della storia del mondo e delle vicende umane e del fatto tutto scorra, si trasformi, ogni cosa nasca e muoia e nulla avvenga per caso.

Potrei dire consideri i Tarocchi una specie di test proiettivo ante litteram ed è innegabile, nel campo psicodiagnostico, riscuotano maggior successo le tecniche proiettive rispetto ad altri reattivi oggettivamente più affidabili, che possano essere somministrati in condizioni più facilmente controllabili dal professionista e meno aleatori pure nella interpretazione delle risposte fornite.

L’estrazione delle carte dal mazzo non avverrebbe in maniera casuale, ma, nell’ottica junghiana, sincronicamente, ossia, idonea al disvelamento delle caratteristiche di personalità, dei bisogni e desideri di coloro che ne richiedano l’interpretazione in un dato momento: naturalmente, il temperamento, un eventuale stato d’affaticamento o rilassamento dell’operatore, come pure il suo livello culturale e la capacità di decodificare immagini archetipiche che popolino l’inconscio collettivo, giocano un ruolo altrettanto importante nell’espressione dei responsi, ma non sarebbe ora possibile prendere in esame singolarmente questa ed altre variabili.

Onestamente, non ho mai creduto che ai clienti dei centri magici, tanto meno ai loro proprietari, potessero interessare simili considerazioni, tuttavia, quando fui contattato dalla responsabile del mio, volli mettere in chiaro quali ragioni avessero determinato il mio avvicinamento allo studio dell’astrologia e della cartomanzia e, siccome non desideravo perdere tempo io, né cagionare fastidi o perdite economiche ad altri, l’esortai a non illudermi e prospettarmi una concreta possibilità d’impiego in quel contesto, solo nel caso in cui avessero ritenuto conciliabile il mio desiderio di sfruttare eticamente le conoscenze acquisite col loro bisogno d’incrementare i guadagni: in altre parole, sapevo dovessi ricercare una soluzione compromissoria e, per me, ciò voleva dire rendermi disponibile a tenere in linea quanto più a lungo possibile gli utenti, purché fossi lasciato libero di consigliare loro ciò che ritenessi più giusto.

Col senno di poi, mi rendo conto d’aver peccato d’ingenuità, poiché nulla di ciò che mi sia stato promesso è stato mantenuto: la sola cosa ch’interessasse, era che riuscissi a far durare moltissimo le telefonate e ciò sarebbe potuto avvenire solo mentendo ai clienti, incaponendomi nella predizione di ritorni impossibili, d’un lavoro migliore e ben retribuito anche quando avessi sospettato che fosse prossimo il tracollo economico, o, più in generale, d’eventi anche solo difficilmente ipotizzabili in condizioni normali, figurarsi disagiate!

Operatori meno onesti di me, quindi, impiegano poco tempo per legare a sé in maniera morbosa gli utenti e finiscono con l'interpretare non solo il ruolo di buoni referenti per le confidenze altrui, ma anche quelli di amico o partner ideale.

Essi divengono il bersaglio delle proiezioni transferali altrui e, almeno quello più colti, si rendono conto di vicariare la figura dello psicoterapeuta che sarebbe opportuno i clienti consultassero, se solo potessero ammettere i propri limiti senza soffrirne troppo e possedessero risorse emotive, cognitive e relazionali funzionali al loro superamento.

Per la maggior parte, le persone con le quali parlassi erano donne ultraquarantenni, benché non mi siano mancate le ultrasessantenni, in prevalenza settentrionali, tutte impegnate a rincorrere da anni uomini che non volessero saperne assolutamente nulla di loro, quando non addirittura defilatisi da tempo immemore; le più fastidiose, comunque, risultavano essere quelle tardone che, ad esempio, chiamassero poco prima di recarsi in balera per dettare un elenco lunghissimo di nomi appartenenti agli uomini che si ripromettessero di concupire, mai in virtù della prestanza fisica ancora apprezzabile, piuttosto che per la voglia d’offrir loro dei fiori o dedicare dei versi, quanto in relazione al numero d’appartamenti che, magari, possedessero, o ammontare della pensione, meglio ancora se le prime mogli fossero defunte senza partorire scomodi eredi coi quali spartirne i lasciti!

Donne incapaci di nutrire amore nei riguardi di chicchessia, tanto meno di se stesse, eppure, ipocritamente esordienti con l’immarcescibile quesito sull’”amore” od il “ritorno” d’un uomo del passato, che veniva spontaneo sperare le avesse ricambiate come meritassero, relegandole al ruolo d’amanti, finché non fossero diventate troppo noiose, per poi tornarsene sui propri passi!

Nella quasi totalità dei casi, i clienti dei numeri a pagamento sono soggetti insicuri ed altamente influenzabili, nevrotici o, nei casi più gravi, talmente disturbati che sarebbe opportuno calmierarli coi farmaci, prima di sottoporli ad un trattamento psicoterapeutico.

Solo una volta, mi capitò di parlare con una signora, mediamente colta e più gentile di tante altre, disponibile, almeno in una certa misura, ad accettare il consiglio di non ricorrere troppo frequentemente alla lettura dei Tarocchi, onde evitare di divenirne succube: rimase in linea per un tempo lunghissimo, sebbene continuasse a ripetermi stesse facendosi sempre più tardi e dovesse riaprire il negozio, e traspariva chiaramente dal suo tono di voce quanto la sorprendesse ricevere tali esortazioni a non rimpinguare le casse del centro in cambio delle illusioni che altri avrebbero volentieri continuato a venderle.

Nondimeno, solo pochi giorni più tardi, un’altra utente mi trattò con una tale arroganza, facendomi diventare bersaglio degli epiteti più irriferibili, da procurarmi al termine del colloquio delle violentissime crisi di pianto e la sensazione d’essere caduto troppo in basso accettando quel lavoro, nonostante il rispettabilissimo curriculum vitae che potessi vantare, e tutto ciò solo perché non mi prestavo a dirle che un suo vecchio fidanzato non avrebbe lasciato l’attuale compagna, anzi, non avesse la minima intenzione di rinunciare alla coabitazione!

Compresi di non potermi spingere oltre e che, se non fossi stato lasciato libero d’interloquire coi clienti alle mie condizioni, avrei dovuto interrompere la collaborazione col centro; di fatto, pochi giorni dopo, mi chiamò la responsabile, la quale, ipocritamente, ricorse ad un lungo e tortuoso giro di parole per cercare di farmi capire non soddisfacessi le loro aspettative: come suol dirsi, colsi la palla al balzo e ribadii come fossi abituato a lavorare e che, onde evitare maggiori problemi in futuro, sarebbe forse stato opportuno finirla lì.

Detto fatto: mi fu chiesto se non desiderassi che mi venissero passate altre telefonate, risposi affermativamente, e, nonostante mi fossi affrettato a mangiare un boccone all’idea di dovermi poi mettere a loro disposizione per tutto il pomeriggio, mi ritrovai a poterlo trascorrere più piacevolmente di quanto potessi immaginare solo pochi minuti prima!

Naturalmente, sapevo stessi rinunciando ad una ghiotta occasione di guadagnar soldi facilmente, tuttavia, provai una sensazione di liberazione e pace interiore indescrivibile; avrebbero dovuto pagarmi almeno per i giorni in cui ho lavorato, ma non si sono degnati di chiedermi come desiderassi che mi facessero giungere il pagamento, né io ho reclamato quei soldi: pensai fosse meglio rinunciarvi, quasi ch’avessi l’impressione che non avrei gioito nello spenderli e, anche così, potessi dimostrare a loro ed a me stesso, rispettassi gli utenti molto più di quanto non fossero in grado per primi di fare!

Sembra che gli utenti non prendano mai in considerazione la possibilità di subire dei raggiri, anzi, ammesso pure che s’accorgano del fatto, per usare una metafora, l’operatore stia indegnamente provando ad arrampicarsi su uno specchio, per di più lordato d’olio, sono pronti a giustificarne gli errori più grossolani: potrebbe non aver guardato bene, oppure, non essersi concentrato a sufficienza, dando prova di ricordare quelle spiegazioni preconfezionate e spacciate all’occorrenza per giustificare eventuali, probabilissime incorrette interpretazioni della simbologia delle carte.

In pratica, forniscono un alibi a colui che stia deliberatamente truffandoli!

La verità è che la totalità di coloro che siano costretti a svolgere questo lavoro, ne farebbero volentieri a meno, se non fosse che debbono pagare le bollette, se non addirittura sfuggire ai creditori; nei casi moralmente più riprovevoli, non esistono problemi di sussistenza, ma, ormai, è invalsa l’abitudine a concedersi molti confort ed a coltivare vizi e non suscita insopprimibili sensi di colpa farlo a discapito del benessere mentale altrui, o, a volte, perfino fisico.

Per quel che mi riguardi, sono ben felice di non aver tollerato l’idea di ritrovarmi ogni pomeriggio prigioniero nella mia stessa casa a vendere illusioni e false speranze a tutti quei disperati che potessero godersi la libertà altrove e, invece, non trovassero di meglio da fare che rimpinguare le casse dei propri aguzzini: doppiamente schiavisti, poiché mirano ad arricchirsi speculando sia sulle disgrazie di coloro che chiamino i numeri a valore aggiunto, che di quelli cui demandino il lavoro sporco d’intrattenersi telefonicamente coi clienti, in cambio d’un minimo “riversamento” di quanto abbiano già pagato!

 

Approfitto per consigliare la lettura di un piccolo, ma prezioso libro scritto da Lino Agrò qualche anno fa: Cartomante per necessità. I Tarocchi telefonici dell’899. Stampa Alternativa, 2005.

Lo trovai molto utile ai tempi della stesura della mia tesi di laurea, per lungo tempo mi dissuase dal propormi come operatore telefonico presso un call center magico e rileggerlo m’indusse, molto presto, a non collaborarvi più!

Questo è il suo blog: http://linoagroblog.splinder.com/

      

 

 

 

 

 
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Gli ultimi mesi

Post n°59 pubblicato il 31 Luglio 2008 da LaChambreDesAmis
 

Non avrei mai potuto immaginare di mancare all’appuntamento con la scrittura e l’introspezione per così lungo tempo, eppure, vi sono stato costretto dalle circostanze: sarà ripetitivo dirlo, ma gli ultimi mesi si sono rivelati estremamente impegnativi, faticosi e, spesso, depressivi!

L’evento rivelatosi più ansiogeno è stato un delicato intervento chirurgico al cuore subito da mio padre, che, oltretutto, ho dovuto ricoverare fuori città, in mancanza d’un reparto di cardiochirurgia nella nostra: nonostante l’indiscutibile bravura dello specialista, non potevo essere certo che superasse l’operazione e si riprendesse celermente, invece, dopo alcune settimane di riabilitazione, ha potuto far ritorno a casa e, con le dovute cautele, riprendere a lavorare.

Confesso d’aver temuto di perderlo, almeno nei momenti in cui mi lasciassi sopraffare dallo sconforto, ed essermi accorto d’essergli più affezionato di quanto mi riesca abitualmente d’ammettere; non essendo ipocrita, ammetto, invece, mi preoccupassero molto le conseguenze della sua dipartita sul piano pratico, considerato non abbia risolto le mie difficoltà economiche e che, se accadesse l’irreparabile, erediterei una situazione al limite del collasso, oltretutto, senza poter concretamente contare sull’appoggio incondizionato di nessuno.

Ora, avrei davvero bisogno di potermi concedere almeno una breve vacanza e ritemprare mente e fisico, ma rimane un desiderio irrealizzabile: purtroppo, rappresento la sua unica risorsa relazionale ed il fatto si sia ripreso, non significa non necessiti d’alcuna cura, tanto meno che possa essere lasciato completamente solo per qualche giorno.

L’ultima volta che abbia visto mia madre, invece, è stato in occasione d’un’udienza in tribunale durante la Settimana santa, rivelatasi l’ennesima circostanza umiliante in cui sia stato coinvolto, nell’inutile tentativo di scoprire se mio padre abbia occultato dei fondi da qualche parte e, soprattutto, possa riuscirle d’impadronirsene: talvolta, capita che improvvisamente mi blocchi, qualsiasi cosa stia facendo, e mi ritrovi atterrito ed incredulo all’idea che non potremo più riallacciare un dialogo, ma sembra che sia disposta a sacrificare perfino me sull’altare della vendetta; peraltro, ciò sarebbe, forse, più facilmente accettabile se almeno esistessero quel denaro e quelle amanti cui il marito avrebbe destinato il suo patrimonio, mentre stentiamo a soddisfare perfino i bisogni più elementari e, come se non bastasse, mi tocca avvedermi di quanto gli avvocati reputino stupidi i miei genitori e si trattengano appena dal ridermi in faccia!

Esasperato dalle precedenti convocazioni, stavolta ho deciso di recarmi a testimoniare, benché sapessi di non poter dire nulla che potesse soddisfarla: all’ultimo momento, sono stato dispensato dal farlo, ma ciò non m’ha risparmiato il suo disprezzo, poiché, ovviamente, il mio desiderio di mantenermi equidistante, è stato travisato e tradotto in una predilezione per mio padre ed un asservimento della mia dignità al suo denaro!

Gli ultimi messaggi che abbia ricevuto da lei risalgono ai giorni successivi: ha espresso lo schifo e l’odio nei miei riguardi, auspicando perfino che muoia presto, e questa è la stessa donna che, fino a poco tempo fa, mi rimproverava di non riuscire a chiamarla “mamma”!

Stando così le cose, ho evitato d’avvisarla dell’intervento chirurgico che dovesse subire mio padre: ho dovuto continuare a svolgere il mio lavoro ed occuparmi contemporaneamente della nostra piccola impresa e, come se ancora non bastasse, fare la spola tra la mia città e quella in cui fosse ricoverato; del resto, mi sarei comportato ingenuamente se, anche solo per un istante, mi fossi voluto illudere della possibilità che scendesse ad aiutarmi, accantonando il rancore, anzi, proprio l’odio, che, a volte, sembra essere l’unica cosa capace di tenerla ancora in vita.

In verità, credo abbia saputo ugualmente cosa stesse accadendo, poiché, proprio in quei giorni, mio fratello ha provato a mettersi in contatto col padre per estorcergli del denaro, benché inutilmente: in pratica, sono figlio e fratello di due arpie e, se la prima non accetterà mai di divorziare, sarà solo per non rinunciare ai suoi fantomatici diritti ereditari!

Spero che la sua salute si mantenga almeno a livelli accettabili il più a lungo possibile; vorrei anche che, finalmente, facesse qualcosa che mi consentisse di recuperarne la stima: vorrei che s’affrancasse dalle continue offese di quella donna decidendosi a divorziare, o che adottasse qualche provvedimento teso a scongiurare una fine ingloriosa della sua azienda, oltre che la bancarotta in sé, ma penso che anche questo mio desiderio, e prima ancora bisogno, di riconoscere autorevolezza all’uomo riservatomi dal fato quale mio genitore sia destinato a rimanere incompiuto.

Professionalmente, dall’ultima volta, è intervenuto qualche cambiamento, sebbene non possa dirmi soddisfatto appieno: anzitutto, ho potuto cominciare il tirocinio riservato agli psicologi, svolgendolo presso uno dei consultori familiari della mia Asl; ho iniziato lo scorso 17 Marzo e, dopo alcune settimane trascorse del tutto inoperosamente, sembra che le cose comincino ad andare meglio.

L’altra novità riguarda la mia presenza presso l’edicola che presi a frequentare regolarmente la scorsa estate: la sorella del titolare ha dovuto trasferirsi altrove per motivi di lavoro e sentimentali ad un tempo e, quando s’è reso indispensabile cercare qualcuno che potesse sostituirla al mattino, sia lei che il fratello, divenuti ormai miei amici, hanno pensato che fossi la persona adatta cui affidare la vendita e la resa quotidiana dei giornali.

Occorreva affidarsi a qualcuno che potesse interloquire cordialmente coi clienti, contemporaneamente occupandosi della “resa”, operazione lunga e, spesso, noiosa, consistente nel riporre in apposite casse tutte le pubblicazioni e, ormai, decine di gadgets presenti in ogni edicola, che l’indomani saranno ritirate dai distributori: ho imparato a sbrigare quest’attività senza compiere errori prima ancora di quanto s’aspettassero, consultando la bolla d’accompagnamento che descrive ciò che sia stato inviato e, per l’appunto, quali articoli rimasti invenduti vadano resi.

Un normale avventore non potrebbe mai immaginare, nemmeno lontanamente, quanti titoli esistano, molti dei quali inutili: solo i quotidiani consentirebbero una lunga elencazione, ma, ad essi, vanno aggiunti, in determinati giorni della settimana, gli inserti, per poi passare ai settimanali, i mensili, le pubblicazioni gratuite o d’annunci economici, i cd ed i dvd, i giocattoli e mille altre cose ancora; ormai, in edicola si può trovare quasi di tutto: articoli per la rasatura e cosmetici, accessori d’abbigliamento e calzature, le pile per far funzionare qualsivoglia dispositivo portatile e gli ombrelli, le valigie ed i palloni da calcio, e questo non è che un elenco necessariamente breve ed incompleto!

Naturalmente, tutto costa molto più che altrove, tuttavia, almeno la gran parte delle persone, benché sia divenuta abitudine comune lamentarsi di non arrivare alla fine del mese, sembra non preoccuparsene ed acquista di tutto: capi d’abbigliamento o piccoli gioielli che, esposti nelle vetrine di qualsiasi negozio non verrebbero degnati d’un’occhiata, fanno aumentare enormemente le vendite d’alcune riviste, anzi, molte pubblicazioni, soprattutto femminili e per adolescenti, non venderebbero una sola copia, se non fosse per gli allegati!

Vengono create continuamente nuove raccolte di figurine e tatuaggi, o accessori per i cellulari od i capelli, e quant’altro la fantasia possa suggerire, affinché i bambini, coi loro capricci e la voglia d’omologarsi ai coetanei, possano rappresentare un’inesauribile fonte di reddito per gli editori, ma la cosa più grave è che sono proprio i genitori a desiderare che i propri figli posseggano esattamente quanto abbiano visto indosso ai compagni all’uscita di scuola, piuttosto che quegli accessori che possano farli sembrare adulti anzitempo, o mettere a tacere i loro sensi di colpa per il fatto di parcheggiarli davanti alla playstation od a casa dei nonni.

Pochissimi quelli che acquistino per i propri figli - o per sé - libri o dvd istruttivi, tantissimi quelli che spendano cinque, dieci o più euro per comprare orrendi mostriciattoli in bustina, o l’ennesimo/a

cappellino/borsetta/costume da bagno per la propria bambina logati Winx, Barbie o fatine e principesse varie; la cosa più avvilente, è che, proprio a quest’ultime, non si trasmette nessun altro valore, se non quello della seduttività: le riviste destinate al pubblico delle teen-ager non inculcano nessun’altra priorità, se non un aspetto fisico curato che possa servire a concupire il maschio, mentre, in quelle destinate ad un pubblico ancora in età infantile, i soli aggettivi che si sprechino riconducono ad una visione magica ed irreale del mondo.

Esistono “principesse” d’ogni tipo, da quelle classicamente addormentate alle sirene, ma tutte accomunate dall’anelito, verosimilmente inconsapevole, a realizzarsi esclusivamente per conto d’un uomo che giunga a trarle d’impiccio in cambio della loro subalternità “per sempre”, oppure, impegnate a compiere magie e formulare incantesimi d’ogni tipo, come se, nella realtà, bastasse pronunciare delle formule magiche per ottenere ciò che si desideri e financo rimanere amiche!

Bisogna riconoscere che molti dei personaggi che compaiono sulle riviste, non esisterebbero, se non provvedessero staff di mass-mediologi ed esperti di marketing a renderli delle star, talvolta a livello planetario: mi viene la nausea solo al pensiero degli innumerevoli giornalini che parlino, tutte le volte, degli stessi bellocci, o presunti tali; alcuni esempi? Zac Efron o Bill dei Tokio Hotel, oppure, i due fratelli veronesi nati sul palco dell’ultimo festival di San Remo - uno dei quali soltanto oggettivamente carino - dei quali le riviste parlano manco si trattasse d’idolatrare Bocelli o Roberto Bolle per la magnificenza della voce o delle evoluzioni capaci di compiere sulla scena!

Questi ragazzi sembrano l’uno il clone dell’altro: stesse pettinature e, spesso, trucco trasgressivo, look volutamente trascurato, fisico palestrato e rigorosamente depilato e, soprattutto, visti i consigli che vengano dati per conquistarli, considerati meno intelligenti d’un primate: c’è da stupirsi se poi i maschi continuano, a loro volta, a considerare le donne null’altro che una serie di buchi da poter tappare, più o meno assumendo le posizioni più acrobatiche?

Del resto, se gli editori provassero a considerare le lettrici, soprattutto quelle più giovani, meritevoli di leggere, ad esempio, la biografia di qualche illustre scienziata, piuttosto che i trucchi delle ricette più gustose o del look più trendy per l’estate - o qualsiasi altra stagione in corso! - non venderebbero più una copia delle loro riviste: effettivamente, lavorare in un’edicola può risultare estremamente deprimente, nella misura in cui ci si renda conto di quante chiacchiere inutili si facciano ogni giorno, trascurando i problemi veri dell’esistenza, e, potenzialmente, del fatto, ancora oggi, ciascuno di noi rappresenti soltanto un elemento d’un più grande ingranaggio commerciale, utile a coloro che detengano potere e vogliano conservarlo, sfruttando le debolezze altrui e, magari, il bisogno di gratificarsi con delle cose che non servano, tanto meno a fermarsi mai un istante, per chiedersi in quale direzione vada la propria vita e se sarebbe possibile modificarla in qualche modo!

Quei bambini, o quelle bambine, che entrino in edicola e si dirigano come degli automi laddove sia esposto ciò che è loro destinato, talvolta, mi sembrano dei drogati: la loro droga, per ora, sono le figurine od i mostriciattoli di plastica, oppure, quei trucchi dozzinali ed allergenici con cui s’impiastricceranno il viso, mentre, un giorno, cambieranno i bisogni indotti o gli status-symbol da esibire, ma non la vacuità delle loro menti o l’espressione di cocente delusione che veda sui loro volti, ogniqualvolta sia costretto a dirgli sia finito ciò che cercassero e debba concluderne l’incapacità d’escogitare in maniera autonoma un passatempo piacevole!

Purtroppo, la gran parte degli adulti è incapace di trasmettere qualsivoglia valore alle nuove generazioni: contano unicamente l’edonismo e l’arrivismo e solo ciò, sebbene non mi preservi dallo sconforto, mi consente, se non di giustificarne atteggiamenti e comportamenti francamente ingiustificabili, almeno di comprenderli!

Di fatto, i clienti peggiori sono proprio gli adulti: il più delle volte, entrano ed escono senza nemmeno salutare, continuano a parlare al cellulare ed indicano scocciati dove abbiano lasciato la moneta che serva a pagare il loro giornale, quasi che qualcuno ne reclamasse urgentemente altrove la presenza.

I peggiori tra i peggiori sono quei liberi professionisti che sembrino davvero convinti il mondo giri per loro esclusiva degnazione: avvocati, commercialisti, ragionieri o medici dei vicini studi, pronti ad elargire un sonoro, cordialissimo, quanto ipocrita saluto ad un cliente che entri per caso contemporaneamente, ma pure incapaci di mascherare del tutto la bassa considerazione che abbiano per coloro che li stiano servendo; né mancano i figli dei suddetti professionisti, che vediamo arrivare in infradito, coi calzoni corti, la pancia e la faccia da ebeti, i quali, se solo dovessero cercare lavoro altrove, dubito che riuscirebbero nell’impresa.

Spesso, sarei tentato di far presente, sia agli uni, che agli altri, storcano il naso inutilmente, essendo anch’io dottore, ma poi concludo che ciò equivarrebbe a dar troppo peso all’opinione evidentemente preconcetta che debbano essersi fatta sul mio conto, di cui, in realtà, non m’importa nulla!

Tanto vale che continuino a reputarsi superiori agli altri e non si sforzino d’ammettere d’esser stati solo più fortunati di gente, come il sottoscritto, che avrebbe titoli per occupare posizioni altrettanto prestigiose, ma, per il momento, deve ripiegare su lavori più umili e non per questo squalificanti.

Onestamente, chiamo col loro titolo soltanto un paio di persone, le uniche rivelatesi sempre educate, corrette, talvolta perfino cordiali!

Una volta, Aldo Busi scrisse: “I vecchi, come i giovani, a volte sono grati per cose da niente: sono quelli di mezzo che non sono mai grati di niente e permalosi”; potrei dire questo suo aforisma descriva bene il tipo di persone che gravitino anche intorno al mio attuale luogo di lavoro: pur rimanendo valide le considerazioni negative prima espresse sul conto dei giovani od i bambini, essi almeno salutano, regalano spesso un sorriso ed altrettanto spesso n’inducono uno con le loro vocine squillanti, buffe, magari, le richieste bislacche.

I vecchi, invece, si trattengono spesso a chiacchierare, benché siano opportunisti e la maggiore apertura nei riguardi del prossimo riveli, in realtà, il desiderio di ritardare il ritorno a casa e, se non la guerra, vincere almeno una battaglia nei confronti della devastante solitudine.

I peggiori restano gli adulti: coloro che, dietro la facciata di brillanti uomini d’affari, lascino intravedere un’interiorità povera di contenuti ed ansiosa, e quelle donne che non siano riuscite a divenire nulla più delle segretarie e delle autiste dei propri figli, che un giorno le lasceranno sole per cominciare a costruire la propria facciata, od organizzare l’intera giornata d’altri infelici!

Alcuni giorni, torno a casa stanchissimo e mi chiedo che senso abbia il mio lavoro: l’unica risposta possibile è l’avere un senso, nella misura in cui stia consentendomi d’investire in alcuni progetti che, un giorno, auspico possano far rallentare il ritmo delle mie giornate, consentendomi di dedicare più tempo a me stesso e di sentirmi fiero dell’incrollabile fiducia che avrò riposto nelle mie capacità!

Sento sempre di più anche l’esigenza di trasferirmi altrove: mi piacerebbe vivere in un posto che fosse vicino ad una grande città ed alle opportunità di svago e culturali ch’offrisse, ma più a contatto con la natura; vorrei non dover vedere immondizia debordare dai cassonetti, gente impazzita al volante, file interminabili negli uffici postali, ovunque maleducazione, sciatteria, malumore; non so se realizzerò davvero questo desiderio attuale e, in fin dei conti, mi sembra che rappresenti soltanto uno dei modi in cui, nel corso degli anni, abbia pensato di poter soddisfare l’anelito a costruirmi una realtà diversa da quella che mi facesse soffrire e tarpasse le mie potenzialità.

Per mia fortuna, sono stato capace di lavorare bene su me stesso ed ho acquisito un buon equilibrio interiore: confido di riuscire a realizzare molte delle mie aspettative, sia sul piano umano, che professionale e, comunque, concludendo, non posso che dichiararmi d’accordo – oggi, è giornata di citazioni – con Oriana Fallaci, allorché diceva: “Io, perfino nelle pause in cui piango sui miei fallimenti, le mie delusioni, i miei strazi, concludo che soffrire sia da preferire al niente”!

 

 

 
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Concludo l'argomento laurea!

Post n°58 pubblicato il 04 Dicembre 2007 da LaChambreDesAmis
 

Gli inconvenienti che hanno funestato il giorno della mia laurea rappresentano la punta d’un iceberg faticosamente scalato nel corso degli anni, poiché, fin da quando abbia mosso i primi passi, il mio percorso formativo s’è rivelato tutt’altro che agevole: conseguita, col massimo dei voti, la maturità linguistica, avrei voluto proseguire con lo studio delle lingue presso la scuola per interpreti e traduttori di Trieste, oppure, inseguire il vecchio sogno di studiare veterinaria e dedicarmi alla cura degli animali, che ho sempre amato moltissimo ed hanno spesso costituito l’unica compagnia di cui potessi godere, tuttavia, ho infine optato per un corso di studi che non avevo mai preso in considerazione e che, agli inizi, non ho nemmeno particolarmente amato!

Ancora adolescente, fantasticavo su come avrei condotto la mia vita a Torino, poiché avevo deciso che mi sarei iscritto alla facoltà di veterinaria del capoluogo piemontese: all’epoca, leggevo tutti i mesi un’importante rivista specializzata che ospitava gli articoli di molti docenti di quell’ateneo e dovevo essermi convinto si trattasse della sede migliore, inoltre, ero portato a considerare quella città più accogliente ed elegante di molte altre del nord, ove tendevo ad escludere, quindi, che avrei potuto sentirmi mai completamente a mio agio; qualche anno più tardi, la scelta ricadde, invece, su Parma e fu lì che sostenni l’esame d’ammissione nell’ormai lontana estate del ’94.

Ricordo d’essermi impegnato a fondo nello studio delle materie sulle quali vertesse il test d’ingresso, consapevole del fatto non potessi paragonare le mie conoscenze di matematica e, soprattutto, chimica, biologia e fisica a quelle di coloro ch’avessero conseguito la maturità scientifica o presso un istituto tecnico; purtroppo, l’esame non andò bene, benché il mio piazzamento in centotrentasettesima posizione potesse ancora consentirmi d’iscrivermi in caso di rinuncia di qualche altro candidato: quell’anno, erano a disposizione centoquindici posti, quindi, poteva anche darsi che riuscissi a risalire in classifica quel tanto che bastasse per cominciare a vivere un sogno!

Col senno di poi, riconosco abbia avuto un senso quell’esclusione all’epoca così dolorosa: il progressivo peggioramento delle condizioni economiche della mia famiglia, infatti, avrebbe reso ardua la permanenza in un posto tanto lontano da casa e conciliare studio e lavoro, pertanto, è stato meglio adattarsi a studiare autodidatticamente ed optare per una facoltà che desse modo di farlo, contemporaneamente offrendo degli stimoli notevoli e, ancora una volta, la prospettiva d’un lavoro utile per sé e gli altri.

Ciò detto, capita ancora che qualcuno mi senta dire meritino maggiore considerazione gli animali, anziché gli uomini!

Senza esserne del tutto convinto, ma intenzionato a non sprecare un anno, nell’autunno del ’94, però, m’iscrissi intanto alla facoltà di lingue e letterature straniere a Bari: l’idea era di cominciare a preparare qualche esame e verificarne gli esiti, per poi chiederne eventualmente la convalida altrove; avrei potuto preparare qualche esame dell’area filosofica o pedagogica, ad esempio, e poi ottenerne la convalida quali complementari del biennio a Roma, tuttavia, i mesi trascorsero senza che riuscissi ad organizzarmi, poiché, continuavo ad essere richiamato in ospedale militare per delle visite che confermassero, o meno, la mia idoneità a svolgere il servizio militare.

Credo che un giorno racconterò dettagliatamente anche questa vicenda: per il momento, è sufficiente che anticipi si sia conclusa solo qualche anno più tardi e con una dichiarazione d’idoneità allo svolgimento della leva, ma con dispensa dal compierla; altrimenti detto, fui riconosciuto come omosessuale egosintonico e dispensato dall’essere arruolato, salvo che in caso di necessità, fino al compimento del quarantacinquesimo compleanno!

Così raccontata, può sembrare che abbia vissuto un’esperienza noiosa ed ostativa nel raggiungimento di più importanti obiettivi, ma non traumatica: la verità è ben diversa e coincide con una lunga serie d’episodi umilianti succedutisi nel tempo e circostanze in cui abbia dovuto perfino temere per la mia incolumità fisica; in quegli stessi anni, sono entrato in contatto con tanti psicologi che prestassero la propria opera in caserma, piuttosto che in ospedale militare, ed ho potuto rendermi conto fino a qual punto potessero spingersi nel formulare le proprie valutazioni con superficialità e totale mancanza d’empatia nei riguardi altrui e, sebbene sia difficile spiegare quali pensieri formulassi, ho cominciato ad avere l’impressione che gli appartenenti a quella categoria professionale costituissero alcuni tra i peggiori nemici degli omosessuali e che, se avessi voluto combatterli efficacemente, avrei dovuto farlo ad armi pari e ciò volesse dire infiltrarmi tra le loro file!

L’idea d’iscriversi a psicologia, quindi, ha inizialmente assunto il tono d’una rivalsa nei riguardi di singoli professionisti ch’avessi conosciuto, i quali, però, erano riusciti a suscitare il mio disprezzo verso un’intera categoria professionale: per alcuni anni, ho vissuto la mia formazione universitaria come il mezzo che potesse consentirmi di sconfiggere un nemico e risollevare le sorti degli oppressi omosessuali, per poi riappacificarmi coi primi, almeno in una certa misura, e divenire altrettanto critico nei riguardi di coloro che, pur vivendo una situazione oggettivamente difficile, indulgano nel vittimismo e consentano, col proprio lassismo, che offese e discriminazioni continuino ad esistere!

Conclusasi, almeno temporaneamente, l’esperienza universitaria e divenuto meno pungente il dolore cagionato da una valutazione superficiale ed iniqua della mia tesi, posso affermare d’essere contento d’aver studiato psicologia, ma, soprattutto, d’aver interiorizzato quei concetti che potessero rendermi un uomo equilibrato interiormente e libero dai pregiudizi: chiunque si laurei in questa materia dovrebbe poterlo asserire, tuttavia, conosco decine di colleghi incapaci di spingersi oltre una comprensione razionale delle proprie difficoltà esistenziali, fissi nei ruoli preordinati che la società, le convenzioni e le aspettative familiari assegnino a ciascuno di noi ed ossessionati dall’urgenza di guarire gli altri, non essendo in grado d’accettare, anzitutto, la propria natura ed assecondare le proprie più intime pulsioni.

Mi rendo conto che la gran parte dei miei colleghi continuerà anche ad affannarsi nell’acquisizione di sempre nuove qualifiche, rimpinguando le casse delle scuole di specializzazione private, il cui numero aumenta inarrestabilmente, ma non si fermerà mai a riflettere se ciò renda davvero qualcuno di noi empatico nei riguardi altrui, aggiornato professionalmente, ma, soprattutto, disponibile a cogliere la complessità, la ricchezza ed unicità di cui i clienti sarebbero portatori, i quali, più che l’incasellamento in sterili categorie nosografiche, desidererebbero incontrare qualcuno che li considerasse delle persone che valesse la pena ascoltare e non dei lavoratori da rendere più produttivi, piuttosto che uomini e donne capaci d’adeguarsi celermente ed irriflessivamente alle più disparate richieste societarie (ancora una volta, non mi riferisco esclusivamente a coloro che non accettino il proprio orientamento sessuale).

Per quel che mi riguardi, ho definitivamente abbandonato l’idea di sprecare quattro anni della mia vita studiando psicoterapia in uno dei predetti esamifici: mi rendo conto che lo farei solo per adempiere a quello che gli addetti ai lavori vogliano farmi credere essere l’ineluttabile destino di quanti si laureino in psicologia!

Anzitutto, credo che mi servirebbe maggiormente frequentare un corso di psicodiagnosi, poiché, prima di curare un disturbo, vorrei sentirmi sufficientemente sicuro d’averlo individuato correttamente ed all’università non ce l’insegnano; secondariamente, oltre che per il motivo predetto, ho sempre meno fiducia nella bontà degli interventi riabilitativi realizzati da gente che, per il solo fatto d’iscriversi ai corsi privati di scuole costantemente alla ricerca di nuovi adepti, non verrà mai bocciata, od almeno esortata a riflettere sull’opportunità di svolgere qualsiasi altra professione, fuorché quella di curatori d’anime!

Personalmente, non m’affiderei più ad un terapeuta per affrontare una mia difficoltà esistenziale, meno che mai ad un counselor!

Per anni, ho alternativamente progettato d’iscrivermi ad un master in counseling, sinceramente convinto della validità degli interventi che tali facilitatori nelle relazioni d’aiuto potessero realizzare nei riguardi altrui, ma, peggio ancora che nel caso delle scuole di psicoterapia, mi sono accorto gl’istituti di preparazione, ormai, raccattino ovunque gli studenti, fuorché tra coloro che sarebbero in grado di svolgere la professione con la serietà che sarebbe necessaria e, soprattutto, la consapevolezza dei limiti insiti nel loro ruolo!

Non vengono quasi mai selezionati gli accessi in base alle motivazioni ed agli studi pregressi compiuti dagli aspiranti discenti, semmai, è sufficiente che dimostrino d’essere in condizione, anche loro, di poter regolarmente pagare la retta e le tasse d’esame; quanto alle motivazioni, quella principale mi sembra che sia riuscire a svolgere un lavoro che assicuri sempre nuovi clienti - letteralmente intesi come risorsa economica esclusivamente - e, più spesso di quanto si possa pensare, ovviare alla propria incapacità di portare a termine un corso di studi universitario.

Conosco counselors che parlano di sé come fossero i migliori terapeuti che il fato benevolo possa consentire d’incontrare, trascurando quello che non sarebbe un dettaglio infinitesimale: il counselor non può essere un bravo terapeuta, poiché non è proprio un terapeuta!

Nella quasi esclusività dei casi, le scuole di formazione non richiedono nemmeno che gl’iscritti siano laureati, figuriamoci se possano competere con quanti, specificamente, abbiano studiato per cinque anni psicologia all’università, che, come io per primo sostengo, rivelino sovente dei limiti sul piano umano e morale, ma conoscano almeno i principali modelli teorici che possano orientare la pratica clinica ed i principi del metodo scientifico!

In futuro, purtroppo, ci saranno sempre più persone culturalmente, professionalmente ed umanamente impreparate per affrontare i delicati compiti loro assegnati nel rapporto coi clienti e sempre più utenti ansiosi di delegare a figure esterne la risoluzione dei propri problemi e ciò creerà una combinazione deleteria e difficilmente contrastabile: sarò ripetitivo, ma l’unico fine cui mirino professionisti ed enti di formazione è il profitto, molto più che alla qualità dei servizi erogati e, sempre più irrevocabilmente, stiamo importando il modus operandi straniero, che prevede l’accesso agli interventi riabilitativi e la loro copertura assicurativa solo nel caso si prefigurino di breve durata e necessariamente economici.

Stando così le cose, riterrei quanto meno squalificante ritrovarmi assiso tra i banchi insieme a gente ansiosa di riciclarsi nella veste di ‘terapeuta’ o moderno sciamano, ma incapace di riconoscere, concretamente, nelle modalità di rapporto con l’esterno i presupposti, o meno, per la guarigione e la propria funzione di soli intermediari tra sé e gli altri, o, meglio ancora, aspetti consci ed inconsci della propria personalità che fosse opportuno riuscire ad integrare!

Naturalmente, non posso trascurare il fatto di vivere in Italia e che si tratti d’un luogo strano, ove la meritocrazia temo non esisterà mai: fermo restando i limiti che riconosca a tanti colleghi, ad una persona che si laurei in psicologia è richiesto di svolgere un lungo periodo di tirocinio e sostenere i relativi esami di stato solo perché possa cominciare a pagare la quota annuale all’ordine professionale; d’iscriversi ad una scuola di specializzazione di durata almeno quadriennale e sostenere i relativi esami, per poi provare a partecipare ad un concorso pubblico, le rare volte in cui ci si ricordi come bandirli; alternativamente, di rassegnarsi a lavorare nel sociale per un tozzo di pane e riciclandosi nel ruolo d’educatore, bene che vada; poi ci sono gli “eletti”, quelli che, per aver stiracchiato un sessanta alla maturità tecnica o professionale, possono decidere di chiedere ai danarosi genitori che, anziché l’ennesimo viaggio all’estero, finanzino il master in counseling, i quali, appena ventunenni, potranno fregiarsi del titolo di ‘terapeuti’ e ridere dei colleghi più maturi ed ‘ingenui’!

Nondimeno, ripeto il fatto, oggi, stia scagliandomi contro di loro, non significa sia più disponibile a parlar bene degli psicologi, se non in termini generali; i miei ultimi contatti con rappresentanti della categoria risalgono ad un paio di mesi fa, allorché cercavo un posto dove poter fare tirocinio ed ho dovuto imbattermi sia in quelli che lavorino presso gli ospedali cittadini, che associazioni private, non riuscendo a stabilire quali fossero i peggiori!

In ospedale, ho potuto constatare la dottoressa assegnasse, ed il tono sarà assolutamente ironico, inestimabile importanza alla riservatezza, poiché, presumendo d’aver capito tutto di me dopo soli dieci minuti che chiacchieravamo - tant’è che io, al suo posto, mi riciclerei come medium e sensitiva! - ha provveduto a spiegarmi, con evidente riferimento alla mia omosessualità, il mio problema sia rappresentato dal fatto l’ostenti; presumendo, forse, che non mi fosse del tutto chiaro il concetto, ha voluto farmi un esempio pratico, citando – giuro! – l’uomo ed il collega per riprendermi dal quale abbia avuto bisogno, fin dall’estate scorsa, di condividere con gli internauti i miei sfoghi: a quanto pare, io non farò mai carriera poiché sono ‘dichiarato’, mentre lui c’è riuscito poiché ha adottato l’opportuno accorgimento di sposarsi e mettere al mondo un figlio, che, incontrato una sola volta, m’auguro di non rivedere mai più per quant’è brutto!

Sono anch’io convinto che non farò mai carriera, ma mi consolo pensando che potrò spendere per me quei pochi soldi che riuscirò a guadagnare, anziché farmeli continuamente estorcere dalla mia sposa e, almeno fino a quarant’anni, da una così orrida creatura!

Scherzi a parte, considerato si trattasse d’una terapeuta familiare, continuo a chiedermi quale aiuto sarebbe in grado d’offrire ad un ragazzo che volesse essere rassicurato circa la naturalità del proprio comportamento, piuttosto che ad una coppia di genitori che non riuscissero ad accettarne l’omosessualità e l’aspirazione a vivere dignitosamente, in accordo con la propria natura!

In un altro caso, e mi limiterò a citarne un paio, la dottoressa ha obiettato non potessi essere accolto come tirocinante presso la comunità di recupero per tossicomani in cui lavora, poiché ospiterebbe, almeno quella convenzionata con la mia università, esclusivamente donne: al contrario della prima, a lei non consiglierei la carriera di chiaroveggente, in quanto non occorrerebbe possedere doti di particolare sensibilità per accorgersi io preferisca di gran lunga i maschi!

Nuovamente, m’è sembrato di vivere una situazione assurda, poiché, indipendentemente da quale sia il mio orientamento sessuale, e quale potesse eventualmente essere quello di qualsiasi altra persona che chiedesse di poter essere supervisionata, esso non avrebbe dovuto condizionare la scelta d’un candidato al posto d’un altro, tuttavia, è accaduto; ancor più grottesco il fatto che, con riserva, potessero provare a farmi svolgere quest’esperienza formativa presso la comunità maschile, ove è probabile che qualcuno con un occhio più clinico della collega si sarebbe presto accorto di qualche sguardo languido rivolto agli ospiti più carini!

Non ho accettato la seconda proposta, comunque, poiché avrei dovuto raggiungere quotidianamente un paese d’un’altra provincia e, considerato odi guidare e i tirocini non vengano retribuiti, non era il caso di sprecare pure soldi per la benzina!

In compenso, la mia amica Valentina, che, per sua fortuna, abita altrove, è stata ammessa come tirocinante presso l’ospedale militare, ove, nonostante le forze armate adesso accolgano anche le donne, credo continui ad essere preponderante la presenza maschile: nessuno s’è scandalizzato e sono convinto anch’io che non si guadagnerà fama di donna di malaffare!

Fatto sta che il tirocinio m’è slittato d’un semestre: inizialmente, sono stato male anche a causa di ciò, poi, abituato a pensare che i drammi della vita siano altri e avendone sempre avuto il presentimento, ho voltato pagina e deciso d’approfittarne per dedicarmi ad altre attività che mi stanno a cuore; non pago del titolo recentemente conseguito, anzi, forse coltivando un nuovo desiderio di riscatto, sto seriamente prendendo in considerazione la possibilità di tornare ad iscrivermi all’università, senza contare continui cercare lavoro.

Fortunatamente, e me lo ripeterò sempre, non sono ossessionato dal pensiero di svolgere ESATTAMENTE la professione per la quale abbia studiato finora, non rincorro sogni di gloria in ambito lavorativo, m’interessa guadagnare quel tanto che basti a vivere dignitosamente: non desidero un’auto di grossa cilindrata, né abiti firmati, ma solo continuare a trovare il tempo per immergermi nella lettura, coltivare i miei interessi e stare insieme alle persone che mi rendano sereno.

Prenderò una seconda laurea non perché desideri che mi vengano riconosciute una grande intelligenza e cultura, ma per approfondire degli argomenti che reputi essenziali ad una maggiore comprensione di me stesso e della realtà che mi circondi: desidero fortemente conservare la capacità di migliorarmi costantemente e divertirmi con poco, nonché quella d’agire, per quanto possibile, disinteressatamente nei confronti del prossimo, poiché ho continue riprove del fatto la gente, a tutti i livelli, si stia pericolosamente disabituando a farlo, sebbene, prima ancora, basterebbe dire non sia educata e rispettosa delle più elementari norme del vivere civile, si crogioli nel lassismo e quella paranoicità che consenta d’imputare sempre ad altri le cause del proprio malessere e, purtroppo, impedisca pure di rimediarvi!

 

  

 

 

 
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Rivisto

Post n°57 pubblicato il 26 Novembre 2007 da LaChambreDesAmis

Qualcuno penserà debba essersi trattato d’una coincidenza, io credo che fosse inevitabile che accadesse: fatto sta che, pur avendo disertato il convegno del mese scorso per non rivederlo, qualche giorno fa, ho rincontrato l’uomo a lungo e follemente amato, a causa del quale, ancora una volta, mi ritrovo a scrivere nuove pagine del mio diario.

Ciò che dovrebbe stupirmi, forse, è il fatto quest’incontro non m’abbia suscitato alcuna emozione di rilievo, quasi che non si trattasse di lui, ma d’una qualsiasi altra persona che potessi non vedere da lungo tempo e non aver mai amato altrettanto intensamente: ripensandoci, mi dispiace che, col suo comportamento scostante, quando non addirittura irrispettoso nei miei confronti, sia riuscito a rendermi a tal punto refrattario al suo fascino, ma non potrei mai dimenticare quanto m’abbia fatto soffrire.

Sicuramente, gli voglio ancora bene, e desidererei che vivesse sereno, ma tendo pure a credere non sia così e, soprattutto, non solo io non possa fare affidamento sulla sua vicinanza emotiva e morale, ma nemmeno servirebbe che tornassi ad offrirgli la mia amicizia: un incontro apparentemente fortuito e protrattosi per pochi minuti, è stato sufficiente per constatare che non potrebbe mai riuscirgli d’interpretare un ruolo diverso da quello d’onnisciente interlocutore, cui dovrei inesorabilmente riconoscere la ragione, qualunque argomento tornassimo ad affrontare!

Come in passato, avrei potuto parlare per delle ore, per poi vederlo sospirare e calare dall’altro la sua verità, curiosamente, nella sua mente, sempre orfana dell’aggettivo possessivo!

Non penso che non si soffermi mai a riflettere sulle idee ch’esprimano gli altri, tuttavia, non rivela mai un sincero apprezzamento nei riguardi altrui: gli sguardi, le posture ch’assuma, l’esasperante lentezza, a volte, con cui sospiri e poi emetta il suo parere lasciano intendere lo consideri intimamente un verdetto inappellabile e poco conti che l’uditorio lo riconosca o meno; lui rimarrà del suo avviso e, forse, proverà anche una certa pena per le menti obnubilate altrui, ma non si sforzerà più di tanto affinché i suoi messaggi vengano intesi, compiacendosi, anzi, del proprio ruolo d’incompreso sapiente, cui non rimangano alternative, fuorché arroccarsi sulle proprie posizioni e in uno studio sempre più colmo di libri, ma polveroso e tetro.

Mi sembra, addirittura, che, oggi, non stia raccontando qualcosa che riguardi me direttamente, ma una vecchia storia ch’avesse per protagonisti due uomini profondamente diversi ed illusisi di poter alleviare le rispettive pene: è la stessa sensazione che provo quando m’immerga nella lettura della biografia di qualche personaggio famoso del passato e mi sembri di riviverne le avventure, esperendone gli stati d’animo fugacemente soavi ed i tormenti interiori, fino all’inevitabile tragica conclusione delle vicende narrate e quel senso di pietà che porti a rivolgere loro un ultimo pensiero affettuoso, ben felici, però, un solo istante più tardi, di risvegliarsi nel proprio tempo e nella propria casa e poter riprendere le normali occupazioni.

Perfino il luogo in cui l’ho incontrato era diverso dal solito: non s’è trattato dell’elegante sala d’un hotel, piuttosto che d’uno scorcio romantico del nostro lungomare, benché potessimo ugualmente vedere i raggi del sole dorarne la superficie; l’ho visto comparire poco lontano da casa sua e, anche questo diversamente dal solito, arrestare il passo per un tempo considerevolmente più lungo, prima di poter credere che fossi veramente io, riuscire a sfoderare uno dei suoi radiosi sorrisi e dire qualcosa che potesse imbarazzarmi, tant’è che l’ho sentito chiedermi se non fossi una visione!

Quei pochi amici cui abbia raccontato l’episodio hanno trovato scortese quest’osservazione, quasi che stesse rimproverandomi, oltretutto indebitamente, della lunghissima assenza e devo ammettere anch’io l’abbia inizialmente interpretata così, tuttavia, proprio mentre scrivevo, ho cominciato a chiedermi se non esprimesse un significato diverso e più profondo, quale la sincera contentezza di rivedermi e l’inconfessabile auspicio che potessimo riprendere il dialogo bruscamente interrottosi quasi un anno fa.

Eppure, non m’ha chiesto come mai non abbia partecipato all’annuale riedizione del convegno, né di tornare a trovarlo a studio, o, almeno, a scrivergli una lettera di tanto in tanto; quanto a me, quel pomeriggio fui tentato di farlo, sentii nuovamente il cuore colmarsi d’amore e benevolenza per lui, ma fui anche trattenuto, più che dall’orgoglio, che saprei accantonare in qualsiasi momento, dal solito pensiero dell’inutilità d’un tentativo di riavvicinamento nei riguardi d’una persona talmente complicata, schiava delle proprie abitudini e d’un ruolo collaudato, in grado d’assicurargli l’ipocrita considerazione altrui.

Ho voluto e, soprattutto, sentito dovessi, voltar pagina ancora una volta, prima che la malinconia m’assalisse e tornasse a farmi star male: il nostro incontro non s’è protratto che per dieci minuti e, soprattutto, non è stato impreziosito da nessuno dei baci o degli abbracci che, un tempo, scambiassimo con passione e ancor più grande tenerezza; s’è limitato a chiedermi come mi vadano attualmente le cose e, sebbene necessariamente in ritardo, a farmi gli auguri per la laurea, sebbene un sincero interessamento nei miei confronti, a detta di tutti, implicherebbe che s’adoperasse affinché riuscissi a sbloccarmi professionalmente.

Una cosa è certa: nella sua posizione, potrebbe sicuramente farlo, ma, così come non m’aspettavo che accadesse quando ancora ci frequentavamo, non lo ritengo possibile ora, benché lo vorrei; non solo perché ho disperato bisogno d’un lavoro per provvedere alle mie necessità, ma anche, e soprattutto, perché lo considererei un importante segnale d’interessamento alle mie condizioni da parte d’una persona che, invece, reputi destinata ad un sempre maggiore isterilimento nel corso del tempo, rammaricandomene.

In tal senso, continuo a rilevare una sostanziale differenza tra noi: possediamo entrambi dei talenti e creatività, conoscenze e competenze che potremmo porre al servizio degli altri, tuttavia, ho anche l’impressione che lui v’abbia rinunciato irrevocabilmente, mentre io vivo con profondo senso di mortificazione il fatto non mi riesca ancora d’esprimere che in misura minima le mie potenzialità; sicuramente, questo mio ragionamento, l’impegno nel sociale e l’aspirazione a svolgere un lavoro prestigioso, prima ancora che remunerativo, celano un profondo bisogno di sentirmi amato, ma non la coercibilità di quest’anelito: diversamente da lui, non ho difficoltà ad ammettere le mie fragilità, anzi, il loro riconoscimento rappresenta la spinta propulsiva al miglioramento personale ed al superamento di qualsiasi forma d’opportunismo nei riguardi altrui.

Dopo aver ascoltato i miei sfoghi, s’è congedato esortandomi a “fare il bravo”: sul momento, gli ho risposto lo faccia sempre e, qualche volta, la vita mi riservi anche delle belle sorprese, ma sarei curioso di sapere cosa intendesse esattamente dire; forse, ricorrendo ad una frase scherzosa, intendeva esortarmi ad una maggiore prudenza nell’espressione dei miei giudizi sul conto altrui e, particolarmente, dei colleghi fugacemente nominati in quell’occasione, ad una moderazione che rendesse possibile accettare le soluzioni compromissorie che mi vengano spesso proposte sul lavoro e ad abbandonare quell’idealismo che mi consente ancora di provare indignazione quando assista a soprusi di vario genere.

In realtà, ricevo sovente esortazioni simili, tuttavia, pur riconoscendo che vivrei più tranquillamente, sono lieto di riuscire a non adeguarmici, poiché ho l’impressione che mi renderebbero più cinico di quanto sia convinto occorra essere per inseguire i propri obiettivi.

E’ un peccato che si venga continuamente richiamati alla remissività, l’arrendevolezza dinanzi ai guasti della società e l’idea che la scaltrezza possa ottenere al singolo più di quanto la correttezza, il senso civico e, utopisticamente, l’amore verso il prossimo potrebbero guadagnare all’intera collettività, ma tant’è: più che cinico, io sono disilluso, poco incline a sperare in un futuro migliore, in cui l’uomo saprà spingersi oltre la soglia del politically correct, dell’inutile buonismo.

Approssimandosi il Natale, tali pensieri mi renderanno probabilmente ancor più triste e lo sarà altrettanto saperlo lontano da me, come pure altre persone che, un tempo, credessi che avrebbero sempre fatto parte della mia vita, ma almeno, se il dolore dovesse tornare a presentarmi un conto salato, so che potrà riuscirmi di pagarlo ancora una volta.    

  

 

 
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