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IL CODICE DEI PERDENTI

 

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MOGGI RADIATO? SI... NO... FORSE

Post n°151 pubblicato il 30 Aprile 2010 da antonio.salentino

La “genesi” di tutto: sabato 24 aprile, nelle pagine della Gazzetta dello Sport, Ruggiero Palombo lancia la “bomba”

“Una risposta pare sia intanto in arrivo a proposito di Moggi (in grassetto, ndr), Giraudo e Mazzini condannati dalla giustizia sportiva a « cinque anni di squalifica con richiesta di preclusione »: il quesito su chi deve decidere cosa a propriosito della preclusione, posto (finalmente) da Abete alla Commissione consultiva della Corte di Giustizia federale presieduta dal presidente Coraggio, ha ottenuto una risposta che sarà presto ufficializzata e motivata. I tre, scaduti i cinque anni di squalifica, saranno automaticamente preclusi a vita. Cioè radiati”.

A parte quel “pare”, scritto quasi con arroganza (come non ricordare le anticipazioni delle sentenze di Calciopoli, nel 2006..), quello che si legge da questo pezzo citato è che – per decisione della Commissione consultiva (e da quando i pareri di una qualsivoglia commissione Consultiva sono vincolanti? Si tratta, per definizione, di un consulto, un parere..) – sarebbe stato deciso, e in attesa di essere messo nero su bianco, una sorta di meccanismo automatico per cui Luciano Moggi (in grassetto, ovviamente) & co., alla fine del periodo di squalifica (che scade l’estate del 2011), sarebbero stati radiati. Automaticamente.

Ieri, 28 aprile, è stato reso noto e pubblicato il documento prodotto dalla Commissione. Questa è la richiesta di chiarimenti di Abete (potete scorrere giù se non avete tempo per leggerla tutta):

RICHIESTA DEL PRESIDENTE FEDERALE DI PARERE INTERPRETATIVO DELL’ART. 19, COMMA 3, C.G.S.. AI SENSI DELL’ART. 31, COMMA 1 LETT. D) C.G.S.
Oggetto: Richiesta di parere interpretativo inviata il 31 marzo 2010 dal Presidente Federale ai sensi dell’art. 31, comma 1, lett. D) C.G.S., in ordine all’art. 19, comma 3 C.G.S.: L’art. 14, comma 2, del Codice di Giustizia Sportiva, vigente fino al 30 giugno 2007 (allegato 1), prevedeva che qualora l’organo di giustizia avesse valutato di particolare gravità l’infrazione, irrogando nei confronti dei tesserati la sanzione nella durata massima di 5 anni, avrebbe potuto proporre al Presidente Federale la preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C. Il successivo codice di giustizia sportiva, emanato il 21 giugno 2007 dovendo adeguarsi all’art.18 dei principi fondamentali degli statuti federali del C.O.N.I. (all.2), che prevede la netta separazione tra gli organi di gestione sportiva e gli organi di giustizia sportiva, ha modificato la precedente disposizione, attribuendo a questi ultimi il potere di disporre la preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C. ( cfr. art. 19, comma 3, C.G.S.). Vi sono state alcune decisioni assunte dagli organi di giustizia sportiva prima dell’entrata in vigore del nuovo codice, con le quali i medesimi organi hanno proposto al Presidente Federale di adottare il provvedimento di preclusione. Gli organi federali che si sono susseguiti nel tempo, anche in periodo commissariale, non hanno assunto decisioni su dette proposte che pertanto sono rimaste ancora pendenti. È vero peraltro che, alla luce del nuovo codice di giustizia sportiva, il Presidente federale è privato di tale potere e l’esercizio dello stesso seppure riferito a proposte preclusive intervenute prima dell’entrata in vigore del nuovo codice, apparirebbe in contrasto con lo stesso codice ma soprattutto con i principi fondamentali degli Statuti del C.O.N.I. che escludono interferenze nell’attività disciplinare da parte degli organi gestionali.  Alla luce di quanto sopra esposto e delle disposizioni susseguitesi nel tempo, in assenza oggi di una norma transitoria regolatrice della materia, si chiede di conoscere quale organo debba valutare e decidere le proposte di preclusione non ancora definite e formulate prima dell’entrata in vigore del nuovo Codice di Giustizia Sportiva.

Di seguito la risposta della Commissione consultiva a firma Giancarlo Coraggio (anche qui potete direttamente scorrere giù, fino alla parte evidenziata):

La Corte di Giustizia Federale,
vista la richiesta di parere indicata in oggetto;
Considerato:
1. La disposizione dell’art. 14, comma 2, C.G.S. in vigore sino al 30 giugno 2007 stabiliva che: “
le sanzioni previste alle lettere e) ed h) non possono superare la durata di cinque anni. Qualora l’organo di giustizia sportiva valuti di particolare gravità l’infrazione, per la quale irroga una di tali sanzioni nella durata massima, può formulare, con la stessa delibera, motivata proposta al Presidente federale perché venga dichiarata, nei confronti del dirigente, socio di associazione o tesserato, la preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C.”.
Il nuovo codice, entrato in vigore il 1.7.2007, all’art. 19, comma 3, stabilisce che: “
la sanzione prevista dalla lettera h) non può superare la durata di cinque anni. Gli Organi della giustizia sportiva che applichino la predetta sanzione nel massimo edittale e valutino l’infrazione commessa di particolare gravità possono disporre altresì la preclusione alla permanenza in qualsiasi rango o categoria della F.I.G.C.”.
Come si evince dalla richiesta di parere, in vigenza della precedente normativa, vi sono state alcune decisioni assunte dagli organi di giustizia sportiva con le quali è stato proposto al Presidente federale di adottare il provvedimento di preclusione e che risultano tutt’ora inevase.
2. In merito alla sorte di tali situazioni, sorte che costituisce oggetto del quesito proposto, la prima questione da esaminare è se il mancato esercizio del potere da parte del Presidente prima della modifica normativa abbia determinato l’estinzione dello stesso con la formazione – implicita – di una sorta di silenzio-diniego.
A riguardo si premette in via generale che mancava nel Codice una disciplina temporale dell’istituto, cosicché il termine – che ovviamente non poteva non esserci – doveva farsi coincidere con il venir meno della posizione giuridica cui il potere si riferiva e cioè lo stato di sospensione dai ranghi della Federazione. E in questo senso, del resto, si è sviluppata la prassi nell’assetto normativo previgente.
Ne consegue che solo con la cessazione della sanzione e il conseguente rientro nei ranghi della Federazione il potere poteva ritenersi estinto. Dunque, in mancanza del decorso del termine quinquennale, il potere in questione al momento della sopravvenienza normativa era ancora esistente.
3. Occorre ora verificare quale sia stata l’incidenza di detta sopravvenienza normativa. Si potrebbe ipotizzare che la nuova disciplina abbia comportato sic et simpliciter l’estinzione del potere. Tale soluzione, peraltro, sarebbe anzitutto profondamente iniqua poiché si risolverebbe in una sorta di sanatoria priva di qualsivoglia giustificazione sostanziale. Sul piano formale, poi, nella nuova disciplina non vi è alcun elemento che sostenga tale assunto. Difatti, in presenza della prassi menzionata e dei principi ad essa sottesi, sarebbe stata necessaria una esplicita affermazione normativa della estinzione del potere presidenziale non esercitato (magari con la fissazione di un termine ulteriore ad hoc). E ciò anche in considerazione del fatto che le pendenze in questione, per la maggior parte, riguardano le vicende del 2006, con la vasta eco che hanno suscitato, e che quindi non potevano non essere tenute presenti dal “legislatore”.
4. Neanche è ipotizzabile che il potere permanga in capo al Presidente, come giustamente si rileva nella formulazione della richiesta di parere. La modifica infatti, risponde ad una logica di separazione ed autonomia della funzione giustiziale cui devono ispirarsi gli statuti federali del CONI e che non può non essere condivisa: la permanenza di questo potere, del tutto discrezionale e non suscettibile di controllo, in capo ad un organo di amministrazione, costituirebbe una evidente anomalia del sistema. Depone poi in tal senso una disposizione transitoria del nuovo codice – l’articolo 55 – sulla quale torneremo tra breve e che, pur nella sua equivocità rende evidente che comunque la disciplina dell’istituto in questione contenuta nel previgente articolo 14 deve ritenersi superata.
5. Proprio da queste ultime considerazioni occorre prendere le mosse per la soluzione della questione. Il riconoscimento della natura squisitamente giustiziale della radiazione la sua sottrazione a qualsiasi intervento discrezionale amministrativo ne fa una naturale competenza delle corti federali. Il senso e la portata della affermazione vanno però precisate.
6. Fermo dunque che il potere in questione ha come suo attuale centro di imputazione le Corti Federali, appare tecnicamente non perseguibile la strada di un esercizio rinnovato dello stesso, ad integrazione e sostituzione delle pronunzie già adottate. Tale soluzione incontra innanzitutto un impedimento strettamente processuale: gli organi giustiziali – al pari di ogni altro organismo di uguale natura – non possono attivarsi autonomamente ma solo su domanda di parte, e in ipotesi tassative. Non si vede, dunque, come potrebbe essere riaperto d’ufficio un giudizio già concluso né da chi potrebbe partire una eventuale iniziativa. Inoltre questo ipotetico ulteriore grado di “giurisdizione” non avrebbe alcuno spazio decisionale sul piano formale e sarebbe palesemente incongruo su quello sostanziale. Sotto quest’ultimo aspetto, è evidente che la valutazione della “particolare gravità” non potrebbe che essere il frutto di una cognizione integrale della vicenda: occorrerebbe dunque il riesame di tutto il materiale probatorio e una sua valutazione ex novo. Sotto il primo aspetto occorre tener conto del giudicato formatosi sulla decisione a suo tempo adottata. Non c’è dubbio che debba riguardare l’affermazione della responsabilità e con essa anche l’entità della sanzione fissata al suo limite massimo. Ma tale vincolo in realtà non può non riguardare anche la valutazione della gravità dell’infrazione, vincolo che, almeno nella maggior parte dei casi, è stato poi consacrato in sede di Camera Arbitrale. Una pronunzia ulteriore, dunque, non potrebbe che prendere atto di tutto ciò e conseguentemente non potrebbe che limitarsi a convertire la proposta in “preclusione”. Difatti, malgrado le formule apparentemente potestative usate (“possono formulare motivata proposta” ovvero “possono disporre…la preclusione”) non si vede quale valutazione ulteriore possa frapporsi fra l’accertamento della “particolare gravità” e gli effetti in questione.
7. Sulla base delle considerazioni sin qui sviluppate, ritiene la Sezione di dover concludere che se l’accertamento della particolare gravità vi è già stato, e con tutte le garanzie di contraddittorio richieste da un “giusto processo”; se su tale accertamento si è formato il giudicato, l’effetto che ne consegue – sia esso la proposta del vecchio Codice ovvero la “preclusione” del nuovo – discende automaticamente dalla norma. Insomma, al mutare della previsione normativa deve corrispondere una modifica dell’effetto collegato all’avvenuta dichiarazione di “particolare gravità dell’infrazione” e quindi prodursi una conversione ex lege della originaria proposta in una diretta irrogazione della preclusione.
8. Come si è accennato, tale interpretazione, che permette di non lasciare privi di questa sanzione più severa comportamenti qualificati a suo tempo come gravemente scorretti, sembra trovare una conferma letterale in una norma del nuovo Codice. Si allude alla disposizione transitoria dell’art. 55 C.G.S. secondo cui: “
1. Fino al momento della modifica della normativa federale in vigore, i rinvii agli articoli 13 e 14 del Codice di giustizia sportiva contenuti nella stessa normativa si intendono riferiti, per quanto di ragione, rispettivamente, alle corrispondenti disposizioni contenute nei nuovi articoli 18 e 19 del presente Codice”;
La disposizione non è particolarmente perspicua, ma ad essa non sembra potersi attribuire altro significato se non quello che, per i procedimenti ancora pendenti, la pronunzia a suo tempo adottata – e che evidentemente rinviava all’articolo 14 – trova la sua disciplina non più in questo articolo abrogato, bensì nel sopravvenuto articolo 19, e che è alla stregua di quest’ultimo che vanno individuati i suoi effetti.
9. Tutto ciò premesso, rispondendo alla richiesta di parere del Presidente federale, si ritiene che il provvedimento di preclusione debba ritenersi implicito, quale effetto
ex lege, nelle decisioni con cui gli organi della giustizia sportiva, dopo aver irrogato la sanzione della sospensione nella misura massima, si sono pronunciati nel senso della “particolare gravità delle infrazioni”. Ove si condividano le conclusioni del presente parere, agli organi federali competenti non rimane che prendere atto dell’avvenuto prodursi dell’effetto in questione, provvedendo alle necessarie comunicazioni.
P.Q.M.
Nei suesposti motivi è il parere.

IL PRESIDENTE
Giancarlo Coraggio

In effetti, quello che risulta dal parere, è che la radiazione debba ritenersi implicita, automatica. Ma, appunto (e come potrebbe essere altrimenti?), la decisione è rimandata al mittente: Giancarlo Abete, il “cretino che conta” (cit.), il quale – lui e solo lui – ha il potere di prendere la decisione finale e di comunicarla ai diretti interessati, a sua firma.

Vediamo perciò di chiarire alcuni punti:

1) Al momento, Luciano Moggi, Antonio Giraudo e Innocenzo Mazzini non sono stati radiati. Stanno semplicemente scontando il quarto di cinque anni di squalifica.

2) Qualora Abete accogliesse tale interpretazione della Commissione consultiva, Moggi & co. risulterebbero preclusi (radiati) dal 2011 in poi ma, per le stesse motivazioni fornite da questa Commissione, lo dovrebbe essere ad esempio anche Enrico Preziosi, che pure “vanta” una squalifica con richiesta di radiazione (alla quale è seguita un’ulteriore squalifica, tra l’altro).

3) L’avv. Paco D’Onofrio ieri, 29 aprile, in un’intervista rilasciata a La Stampa ha fatto sapere che, qualora Luciano Moggi dovesse ricevere la comunicazione a firma Giancarlo Abete dell’avvenuta radiazione, ci sarebbero gli estremi per adire a vie legali contro la Figc. Questo perchè, una delle motivazioni espressamente riportate dalla Commissione consultiva di Coraggio, è che come fondamento della radiazione dovrebbe esserci la certezza del giusto processo e della gravità dei fatti contestati. Tesi che, soprattutto la prima, è praticamente impossibile da sostenere, essendo nel 2006 avvenuti gli “stupri” che ben conosciamo: in regime commissariale, è stato eliminato un grado di giudizio, si sono cambiati i giudici in corsa, si è concesso alla difesa giusto 15 minuti per i propri interventi, non ci si è avvalsi di prove testimoniali o riscontri sportivi/televisivi, si è di fatto creato un “reato” sportivo per giustificare la condanna della Juventus alla B, eccetera. Sicuri che Giancarlo Abete, che nel 2006 ne restò totalmente fuori, si voglia oggi prendere una responsabilità del genere?

Insomma, la partita è ancora aperta.

 
 
 
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