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Messaggi del 17/05/2006
Post n°74 pubblicato il 17 Maggio 2006 da fra.gas
Tag: POLITICA AFFARI ITALIANI CINQUEALLECINQUE IL PRIMO QUOTIDIANO ON LINE SU CARTA http://www.libero.it/affaritaliani/ Ecco il governo dell’Unione Sei ministri donna , ma solo una, Livia Turco, in un dicastero che conta, la Salute. Le altre senza portafoglio. Due vicepremier: D’Alema, che ha anche la delega agli Esteri e Rutelli (Beni Culturali). In totale 9 incarichi ai Ds, 7 alla Margherita, uno a Udeur, RnP, Prc, Verdi, IdV e Pdci. E tre personalità in “quota Prodi”: Padoa Schioppa all’Economia, Amato all’Interno e De Castro alle Politiche Agricole. Ecco il governo dell’Unione, che ha giurato al Quirinale. Il Professore: “Durerà cinque anni”. Tra gli altri ministri Mastella (Giustizia), Bersani (Sviluppo), Fioroni (Istruzione), Mussi (Università), Di Pietro (Infrastrutture), Gentiloni (Comunicazioni), Pecoraro Scanio (Ambiente), Damiano (Welfare) e Ferrero (Solidarietà). I nuovi Ministri Come vicepremier sono stati indicati Massimo D’Alema, che incassa anche la nomina al vertice della Farnesina e Francesco Rutelli, per il quale arriva anche la poltrona dei Beni culturali. Otto i ministri senza portafoglio del governo Prodi. Si tratta di Vannino Chiti (Rapporti con il Parlamento), Luigi Nicolais (Funzione pubblica), Linda Lanzillotta (Affari regionali), Giulio Santagata (Attuazione del programma), Barbara Pollastrini (Pari opportunità), Giovanna Melandri (Politiche giovanili), Rosy Bindi (Famiglia) ed Emma Bonino (Politiche comunitarie).Tommaso Padoa Schioppa ha le redini del ministero dell’Economia, Giuliano Amato è ministro dell'Interno. Pierluigi Bersani sale al vertice del ministero per lo Sviluppo economico. Paolo Gentiloni è il nuovo ministro delle Comunicazioni, Arturo Parisi è alla Difesa, Cesare Damiano è al vertice del dicastero del Lavoro, mentre sulla poltrona del nuovo ministero della Solidarietà sociale arriva Paolo Ferrero.
Post n°73 pubblicato il 17 Maggio 2006 da fra.gas
La Repubblica dell'Ossola di Giovanna Giannini La Repubblica dell’Ossola durò solamente 33 giorni. Era un territorio di quasi duemila chilometri quadrati occupato dai partigiani che diventò un vero e proprio Stato con un governo, un esercito e una capitale: Domodossola. Fu un esperimento democratico che stupì il mondo intero perché venne realizzato all’interno di un paese in guerra. Tutto cominciò nell’agosto del 1944, i partigiani della brigata Valdossola comandata dal maggiore Dionigi Superti, della brigata Beltrami agli ordini del capitano Bruno Rutto, della brigata Piave di Filippo Frassati e Armando Calzavara, e infine della brigata Valtoce del tenente Alfredo di Dio, intimano la resa a tutti i presìdi tedeschi e fascisti stipati lungo la riva occidentale del Lago Maggiore. I tedeschi si arrendono subito, i fascisti invece combatteranno alcune ore prima di cedere le armi. Uno alla volta, i piccoli presìdi fascisti cadono. L’8 settembre 1944 l’intera Valdossola viene liberata, tranne Domodossola. A questo punto era necessario prendere una decisione: attaccare Domodossola difesa da ingenti forze nazifasciste o accontentarsi del bottino accumulato? La componente monarchica del gruppo era per l’attacco, quella comunista invece era più esitante. Su tutti s’impose la volontà di un combattivo sacerdote, don Luigi Zoppetti, che sottolineò la necessità di dare vita ad una libera repubblica e da lì poi iniziare la liberazione di tutto il territorio nazionale. Le decisioni in merito vennero prese in assoluta libertà, senza influenze né del governo di Roma, né del CLNAI ( Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia ), né degli Alleati. Il 9 settembre 1944 l’arciprete di Domodossola, don Luigi Pellanda, promosse un incontro al quale parteciparono i comandanti tedeschi e fascisti e i capi partigiani Dionigi Superti e Alfredo di Dio, per evitare inutili spargimenti di sangue. Sia i tedeschi che i fascisti decidono di lasciare Domodossola ai partigiani, a patto di poter evacuare con armi e familiari. I partigiani accettano a condizione che siano da loro abbandonate tutte le armi non fabbricate in Germania. Di tali accordi la componente comunista dei partigiani venne tenuta all’oscuro. Infatti il 10 settembre 1944 una lunga colonna di automezzi tedeschi e fascisti con militari e civili, scortata dai partigiani, lascia Domodossola e s’incammina verso sud. Raggiunta però una postazione dei comunisti che combattono ancora, succede un massacro. Cadranno 33 partigiani. Questo episodio è all’origine dell’inconciliabilità tra i partigiani comunisti e le altre componenti della Resistenza. A Domodossola intanto la gente euforica si riversa per le strade sventolando il tricolore. Vengono aperte le frontiere con la Svizzera consentendo così ai giornalisti di tutto il mondo di poter documentare l’evento. Il comandante della brigata Valdossola ricevette subito l’incarico di formare una Giunta provvisoria a capo della quale venne nominato un chirurgo, il prof. Ettore Tibaldi ( nel dopoguerra sarà vicepresidente del Senato ). In seguito verrà formata una vera e propria Giunta di governo che proclamerà la nascita della Libera Repubblica dell’Ossola. Molti furono i progetti innovativi che vennero realizzati. Nella riorganizzazione dell’attività scolastica e della giustizia furono proposte delle leggi che rimossero la precedente legislazione fascista e che affermarono i nuovi principi democratici. In breve tempo vennero nominati i nuovi ministri: dell’istruzione e della propaganda fu Mario Bonfantini, dell’industria l’ing. Severino Cristofoli, della giustizia l’avv. Ezio Vigorelli, dell’assistenza Gisella Floreanini, che fu la prima donna a ricoprire un incarico di governo nella penisola italiana e 16 sottosegretari. Venne inoltre nominato un ambasciatore accreditato a Berna, Cipriano Facchinetti, dal momento che la Svizzera aveva riconosciuto il nuovo Stato. Tali decisioni non incontrarono il favore del CLNAI che, il 12 settembre 1944 emise un duro comunicato col quale contestava le nomine del comandante Superti. Il governo dell’Ossola non si piegò a nessuna imposizione e continuò a sfornare leggi su leggi. Vennero cambiati i nomi delle strade e varata una carta della scuola alla quale collaborarono famosi docenti come Concetto Marchesi e Carlo Calcaterra. Fu sciolta l’arma dei Carabinieri e la Guardia di Finanza, in sostituzione si creò una Guardia Nazionale comandata dal colonnello Attilio Moneta. Tutte queste iniziative e altre ancora furono di brevissima attuazione a causa della scarsezza delle risorse e dei contrasti all’interno dell’amministrazione del territorio. Apparve subito chiaro l’insufficiente carattere popolare delle amministrazioni e l’errore di impostarle sulla rappresentanza dei partiti. Soprattutto nei piccoli villaggi alcuni partiti erano ignorati ed i restanti mancavano di organizzazione. Infatti chi saliva al potere doveva spesso scegliersi su due piedi un partito. Bastava che qualcuno si dichiarasse rappresentante di un’organizzazione politica ignota ai suoi concittadini, perché diventasse membro della Giunta in rappresentanza di quella organizzazione. Ma il vero problema non era tanto la disorganizzazione dei partiti, quanto la mancanza di rifornimenti e di denaro. L’estrema povertà dei mezzi spingeva le formazioni, appena si erano date un aspetto organico, ad occupare il territorio più ricco soprattutto di generi alimentari, entrando però in competizione con le formazioni più vicine che venivano considerate pericolose concorrenti. La zona libera diventava così un centro di attrazione non solo per i partigiani , ma anche per le loro famiglie e per i civili i genere. Anche i contadini con buoi e gregge al seguito seguivano questi spostamenti, e tra tutti c'era la convinzione che i paesi della Repubblica fossero stati definitivamente liberati. Ma gli alimenti continuavano a scarseggiare. A Domodossola, che contava 14 mila abitanti, dopo 10 giorni erano disponibili solo 500 litri di latte giornalieri. Dalla pianura, a causa dello sbarramento dei tedeschi, non arriva neppure un sacco di farina e dalla Svizzera i treni arrivavano carichi di fuoriusciti ma non di derrate alimentari. La Confederazione, dopo molte esitazioni, decise di assegnare 200 quintali giornalieri di patate ma ad un prezzo elevatissimo, infatti non venivano pagate in denaro ma con acciai speciali fabbricati dalle industrie della zona. Dopo 13 giorni di governo Tibaldi è costretto a procedere ad un rimpasto governativo, ma venti anni di dittatura non si potevano cancellare di colpo. C’era chi disapprovava il carattere troppo innovativo di alcune leggi e i più conservatori volevano addirittura che si restaurasse la vecchia società pre-fascista del 1921. Intanto si sperava sempre negli aiuti degli angloamericani che avanzavano dal sud, soprattutto in aviolanci di armi e derrate. Infatti per facilitare tali operazioni erano stati addirittura organizzati due campi di aviazione, uno a Santa Maria Maggiore nella Val Vigezzo, l’altro a Chavez tra Domodossola e Villadossola. Ma quegli aiuti non arrivarono, toccò quindi alla Giunta riorganizzarsi anche in vista di una controffensiva fascista. I fascisti infatti si stavano organizzando per sferrare un violento attacco alla Repubblica, non era più il momento di trattative e di accordi visto che gli americani avanzavano rapidamente. La compagine fascista era costituita da alcune truppe regolari, dal battaglione paracadutisti Folgore di Tradate, da due compagnie della X Mas, tre battaglioni della GNR (Guardia Nazionale Repubblicana), il battaglione Debiza delle SS italiane e la Brigata Nera Augusto Cristina, tutte queste truppe erano comandate dal prefetto di Novara Enrico Vezzalini che sarà successivamente condannato a morte dalla Corte d’assise speciale di Novara della quale faceva parte come pubblico ministero Oscar Luigi Scalfaro. In totale i fascisti erano 5.000, muniti di tre cannoni, cinque carri armati e dieci autoblindo, i partigiani erano invece 3.000. L’attacco venne sferrato all’alba del 10 ottobre, alle 17 la prima colonna fascista guidata da Vezzalini entrava in Domodossola. Secondo i comunisti la colpa della disfatta fu di Tibaldi e del prete Luigi Zoppetti, rei di essere scappati in Svizzera, dove durante la reggenza ossolana avevano mandato del denaro e alimentari sottratti alla popolazione. Della Repubblica dell’Ossola restarono 150 partigiani che trovarono rifugio in Val Sesia dove comandava Cino Moscatelli, il quale permise ai superstiti dell’Ossola di riprendersi dalla sconfitta e di ricostruire le loro unità. Tra la fine del 1944 e l’inizio del 1945 due formazioni partigiane poterono nuovamente tornare nell’Ossola e lottare fino alla fine della guerra.
Post n°72 pubblicato il 17 Maggio 2006 da fra.gas
Tag: IL CIRCOLO
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Inviato da: edmondo2000
il 16/06/2008 alle 11:41
Inviato da: agboccea
il 06/08/2007 alle 20:33
Inviato da: fiorideldesertoo
il 11/07/2007 alle 15:57
Inviato da: fra.gas
il 17/06/2007 alle 10:17
Inviato da: fra.gas
il 17/06/2007 alle 06:17