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« Diventiamo cinesi per fa...» 2007-11-11 08:52 ANSA.... »

Piovra al-Qaeda

Post n°42 pubblicato il 18 Aprile 2007 da legaitaliana2006

IL FATTO
L’organizzazione di Benladen continua a colpire. E si moltiplicano in molte aree strategiche e a diverse latitudini le sue «filiali». Una strategia di lungo respiro che punta ad affermare che il jihad militare è solo all’inizio E che l’attacco all’Occidente si affianca al tentativo di rovesciare i regimi «infedeli» del mondo islamico

Piovra al-Qaeda
Così la «rete» del terrore allunga i suoi tentacoli

La «succursale» più agguerrita è in Iraq, molto attive le basi dell’Africa Orientale e del Sudest asiatico E anche in Europa il pericolo cresce

Di Camille Eid

Si allungano in tutti i continenti i tentacoli di al-Qaeda. Ne recidi uno e ne spunta un altro. Seminando terrore e procurando morte, come è accaduto pochi giorni fa in Marocco e Algeria. Se, fino a un paio d’anni fa, l’organizzazione terroristica poteva infatti vantare dei gruppi alleati in diverse aree del mondo, da Mombasa a Londra e da Mindanao a Casablanca, ora può invece contare su delle filiali che rivendicano l’uso del suo nome quasi fosse un marchio registrato. La "base" (questo è il significato del termine arabo al-Qaeda, ndr) è diventata "basi", titolava poco tempo fa un giornale mediorientale per significare la moltiplicazione dei rami qaedisti nel mondo. Una decisione che riflette la strategia adottata dall’organizzazione fondata da Ossama Benladen, che consiste nel creare una rete di organizzazioni in diverse aree del mondo.
A parte la centrale guidata dal miliardario saudita e dal suo vice Ayman al-Zawahiri, probabilmente ancora trincerati nelle zone di confine tra Afghanistan e Pakistan, la più nota di queste filiali è quella attiva in Iraq dove, nell’ottobre 2004, Abu Mussab al-Zarqawi ha giurato fedeltà al "capo dei capi" cambiando il nome del suo gruppo dal Tawhid wal Jihad, (Monoteismo e guerra santa) in "Organizzazione di al-Qaeda nella terra dei due fiumi". L’eliminazione di Zarqawi nel giugno dell’anno scorso non ha posto fine al ramo iracheno. Anzi, un segno del suo revival potrebbe essere la proclamazione in Iraq di uno "Stato islamico", nonostante le recenti frizioni con alcuni gruppi armati sunniti.
Il diritto di primogenitura viene comunque rivendicato dalla filiale saudita. O meglio, "l’Organizzazione di al-Qaeda nella Penisola arabica". La terra natale di Benladen ha subito qui cocenti sconfitte (ha cambiato 5 capi in due anni), ma ha anche rivendicato sanguinosi attentati in quasi tutte le principali città della regione: Riad, Dhahran, Aden e Jeddah. Nella filiale militano kuwaitiani, yemeniti, ma anche ciadiani e marocchini recl utati tra la folta manodopera straniera presente nel regno wahhabita.
Sempre in Medio Oriente si è fatta viva in diverse occasioni una filiale di "al-Qaeda nella Grande Siria e in Egitto". Nella sigla araba i terroristi usano i poetici termini cari alla storiografia islamica: Bilad al-Sham e Ard al-Kinana. A questa filiale sono riconducibili gli attentati avvenuti nel Sinai e ad Amman. Secondo alcune informazioni, il ramo si sta ora sviluppando nei campi palestinesi in Libano dove progetta di attaccare la forza dell’Unifil presente nel Sud del Paese.
A rivendicare lo stesso ruolo nei Paesi del Maghreb è il Gruppo salafita per la predicazione e il combattimento (Gspc) che dal settembre scorso ha chiesto di integrare ufficialmente le file di al-Qaeda mutando, due mesi fa, il proprio nome in "Organizzazione di al-Qaeda nel Maghreb islamico". Il leader del ramo, Abu Mussab Abdel-Wadud, ammette di accogliere molti stranieri. È infatti coadiuvato da una Shura (Consiglio consultivo) composta di 16 membri tra cui figurano rappresentanti di gruppi radicali libici, tunisini e mauritani.
Un tentacolo soffoca poi l’Africa orientale dove al-Qaeda si è manifestata ancor prima dell’11 settembre colpendo, lo stesso giorno, le ambasciate americane a Nairobi e Dar es-Salam. Molti dei responsabili di questi attentati sono finiti in manette (come il keniota Sweidan), ma altri sono ancora latitanti e si teme possano rispuntare con le milizie somale delle Corti islamiche.
Più articolata la filiale nel Sudest asiatico. Qui al-Qaeda conta su una nebulosa locale che comprende la Jemaah Islamiyah di Abu Bakar Baasir, attiva in Indonesia e Malaysia, e la Haraka islamiya filippina, più nota sotto il nome di "Gruppo di Abu Sayyaf", guidata da Khadafi Janjalani. Entrambe sono sospettate di essere dietro gli attentati che hanno insanguinato negli ultimi anni l’isola di Bali, Jakarta e Mindanao. Sempre in Asia, al-Qaeda offre il proprio sostegno a diversi gruppi indipendentisti che lotta no nel Kashmir contro le truppe indiane. Gruppi che, come si è visto ultimamente a Bombay, non esitano ad attaccare anche obiettivi civili in nome della vendetta islamica contro il «potere induista».
Meno conosciuto, anche se non meno pericoloso, il ramo presente in Europa. "Cellule dormienti" che vengono alla luce solo in occasione di attentati clamorosi: quella di Amburgo dopo l’11 settembre, quella di Londra dopo gli attentati del luglio 2005.
Perché tutte queste filiali? Forse perché i capi di al-Qaeda vogliono dimostrare che l’organizzazione continua ad avere in mano le redini dello scontro, nonostante i colpi e le perdite subite. Vogliono anzitutto affermare che la guerra cominciata l’11 settembre 2001 è ancora all’inizio, e che il logoramento della superpotenza occidentale continua. E insieme ad esso, prosegue il piano che aspira al rovesciamento dei regimi del mondo islamico.

 
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